IL MORALISMO DELLO SPIRITO GIACOBINO

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giornalista, scrittore

L’idea di queste “lettere immaginarie” nacque dall’impegno assunto con l’agenzia “Il Velino” di commentare i fatti politici e culturali del giorno e dal desiderio di frapporre fra me e una materia spesso deprimente una distanza ironica ed eventualmente beffarda. Di qui la decisione di affidare ogni volta alla voce di un più o meno illustre defunto l’espressione delle mie idee. Un espediente che fra l’altro mi ha permesso, credo, di cogliere meglio un aspetto del nostro tempo che non cessa di stupirmi: la montagna di menzogne sulle quali riposa la nostra storia ufficiale degli ultimi due secoli. Ne ricordo solo alcune. 

Ormai dovrebbe essere evidente a tutti che alcune delle principali caratteristiche del fascismo (partito unico, stato etico e interventista, statizzazione di vasti comparti dell’economia, estensione del suo intervento a quasi tutti gli ambiti dell’esistenza, mobilitazione permanente delle masse mediante il loro arruolamento coatto in una struttura militare suddivisa per classi di età, gestione del tempo libero, ecc.) sono comuni ai regimi comunisti. Due sole glorie del comunismo il fascismo non conobbe: gli eccidi di massa e il Gulag, ragion per cui si può dire che nel XX secolo è stato l’unico esempio di socialismo dal volto umano. Ma per la nostra cultura ufficiale questa inoppugnabile evidenza è una bestemmia. 

Un’altra menzogna che ormai tre generazioni di italiani hanno appreso sui banchi di scuola è il mito che la nostra repubblica democratica sia nata dalla resistenza.

Recentemente si è ammesso che la resistenza fu una guerra civile durante la quale le bande partigiane commisero infamie non meno atroci di quelle perpetrate dai repubblichini. Ma il vero problema della resistenza non è questo. Il fatto davvero grave non è la pretesa, coltivata a lungo, di negare il suo carattere di guerra civile, ma la favola secondo la quale fu lei ad abbattere il fascismo e a liberare il paese dal nazismo e dal fascismo. Ovviamente tutti sanno che la vera causa di quella liberazione fu la micidiale batosta che le armate americane e inglesi, verso la fine della seconda guerra mondiale, vibrarono all’Italietta fascista e alla Germania nazista. Ma riconoscere questa inoppugnabile evidenza equivarrebbe ad ammettere che il fascismo non fu battuto affatto dall’antifascismo ma dall’amico angloamericano, e questo è un segreto di Pulcinella che la cultura dell’antifascismo non può permettere che sia svelato. 

Un’altra grande panzana del nostro tempo è l’idea, vecchia ormai di circa due secoli ma tuttora molto diffusa (anch’io purtroppo la condivisi a lungo), che la grande centrale del discorso sessuofobico nella cultura italiana, europea e occidentale, fosse la Chiesa. Quale madornale pregiudizio! La grande centrale di quel discorso, dei suoi effetti persecutori e virtualmente assassini, e persino delle attuali derive gossippare nella nostra lotta politica, è l’ideologia della sinistra illuminista e laicista.

Mai infatti la Chiesa ha manifestato nei confronti dei costumi sessuali degli umani la stessa insaziabile brama di gogne, processi e condanne dimostrata negli ultimi due secoli dalle agenzie del discorso laicista e progressista. Innumerevoli sono gli indizi storici che confermano questa misconosciuta ovvietà. Ne ricorderò solo due.

Il primo è il potente contributo che un odio gonfio di sessuofobica moraloneria diede allo stile della Rivoluzione Francese. Che in effetti non incominciò affatto con gli eventi dell’Ottantanove (Stati generali, giuramento della Pallacorda, presa della Bastiglia, ecc.), ma alcuni anni prima col celebre scandalo della collana: quel turpe complotto che nel 1785 una cricca di impostori e di babbei, tra i quali l’invidioso cardinale di Rohan, ordì contro la regina, e che ne sfregiò per sempre la figura incoraggiando la fama di dissolutezza, dissipazione e superbia, che già da un pezzo si era diffusa fra il popolo di Parigi, creando così le premesse del processo che la mandò al patibolo, e durante il quale le fu fra l’altro rivolto l’insulto più infamante: quello di aver corrotto sessualmente il figlioletto undicenne. Quale sublime espressione della natura psico-patologica della famosa “virtù” giacobina… 

Il secondo è il soave sonetto con cui pochi anni dopo Eleonora Fonseca Pimentel, la mitica musa di quella tragica farsa che fu la Rivoluzione Napoletana del 1799 – rivolgendosi a Maria Carolina d’Asburgo, sorella di Maria Antonietta e, in quanto moglie di Ferdinando IV di Borbone, regina di Napoli, che l’aveva un tempo onorata della sua benevolenza ammettendola anche a corte, e invitandola persino a scrivere e declamare delle odi in onore di Re Nasone, dopo averle simpaticamente affibbiato gli appellativi di “Rediviva Poppea” e “tribade impura”, ossia puttana e lesbica – le promise che anche la sua testa, come quella di sua sorella, sarebbe stata ben presto offerta alla ghigliottina. Ecco la gentile poesiola: “Rediviva Poppea, tribade impura,/d’imbecille tiranno empia consorte,/stringi pur quanto vuoi nostra ritorta,/l’umanità calpesta e la natura./Credi il soglio così premer sicura/e stringer lieto il ciuffo della sorte?/Folle! E non sai ch’entro in nube oscura/quanto compresso è il tuon scoppia più forte?/Al par di te mové guerra e tempesta/sul franco oppresso la tua infame suora/finché al suolo rotò la indegna testa.../E tu, chissà? Tardar ben può, ma l’ora/segreta è in ciel ed un sol filo arresta/la scure appesa sul tuo capo ancora”.

È irriguardoso scorgere in questi versi orripilanti una potente espressione di tutte le nobili passioni (risentimento, ingratitudine, invidia, bigotteria, ferocia sanguinaria, ipocrisia, grotteschi miraggi utopici, brama di potere) che s’intrecciano e si confondono nello spirito giacobino di tutti i tempi?