QUALITÀ E SICUREZZA DEI NOSTRI VESTITI

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presidente del Centro Qualità Tessile, Carpi (MO)

Nel tessile-abbigliamento, come in altri settori, la qualità esige prove e controlli mirati, necessari alla certificazione di tessuti, filati e confezioni. Dall’anno 1986, in cui fu fondato il Consorzio Carpi Qualità – nel cui laboratorio lei inaugurò il suo itinerario di chimico al servizio dell’impresa –, all’attuale Centro Qualità Tessile che lei ha avviato nel 1995, com’è cambiato il panorama del settore a Carpi e com’è cambiata la sensibilità del cliente verso la qualità del prodotto?

Innanzitutto occorre dire che la maggior parte delle imprese carpigiane nel 1986 svolgeva attività di subfornitura per aziende di altre regioni e paesi, che non avevano alcun interesse a mettere in risalto l’origine carpigiana del prodotto, mentre i marchi forti come Blumarine, per esempio, erano solo agli albori. Questo fu il motivo per cui il Consorzio Carpi Qualità – il cui cespite principale proveniva dall’apposizione del proprio marchio sui prodotti – non riuscì ad autofinanziarsi. Abbandonando questa esperienza, quindi, sul finire degli anni ottanta, gli stessi soci del Consorzio – Comune, Camera di Commercio, Provincia e associazioni di categoria – diedero vita al Laboratorio Analisi Tessili, per assistere le aziende carpigiane nella loro esportazione verso l’estero: i grandi gruppi d’acquisto stranieri, che si rifornivano a Carpi soprattutto per la maglieria, esigevano già le certificazioni di qualità che nel nostro paese sono richieste soltanto da tempi più recenti. Con l’inizio degli anni novanta, poi, non solo entrarono in scena i primi marchi forti, la cui produzione doveva essere garantita per la fidelizzazione del cliente, ma la tendenza a delocalizzare all’estero che richiedeva un aumento del controllo qualità per i prodotti provenienti da paesi lontani come la Cina, ma anche più vicini come Romania e Bulgaria.

Sia nel 1995, quando fondai il mio laboratorio, sia nel 2004, quando rilevai il laboratorio ramo d’azienda del Citer, dalla cui fusione è poi nato l’attuale Centro Qualità Tessile, l’obiettivo primario era quello di assistere le aziende del settore, nella loro esigenza crescente di controllo qualità, sia dei prodotti che esportavano sia di quelli che provenivano dall’estero per poi essere rivenduti sul mercato interno o internazionale. La sensibilità da parte dei gruppi di acquisto esteri verso un controllo di tutte le caratteristiche dei capi – taglie, colori, stabilità dimensionali, pilling – determinava la necessità dei maglifici di evitare contestazioni, resi e ingenti penali sul venduto.

E oggi da che cosa sono dettate le esigenze di controllo qualità a cui rispondete?

Mentre prima eseguivamo prevalentemente prove fisico-meccaniche o chimiche di base, oggi si fa sempre più strada l’esigenza di dare al cliente un prodotto che non contenga sostanze nocive o pericolose, quindi noi ci adoperiamo nella chimica fine, per certificare l’assenza dal capo tessile di sostanze tossiche come le ammine aromatiche e la formaldeide. La tendenza di questi ultimi anni a fornire prodotti sicuri è anche frutto della normativa europea che, dal 2002, attribuisce al produttore la responsabilità del prodotto realizzato, che prima ricadeva su chi lo metteva in vendita.

Di recente, il Centro Qualità Tessile si sta attrezzando anche per fornire attività formative ai propri clienti…

Considerando che le normative cambiano molto rapidamente e investono i responsabili di quasi tutti i comparti dell’azienda, compresi gli stilisti, che devono tenere conto dei requisiti necessari per produrre articoli sicuri, oltre che rispondenti a parametri qualitativi stabiliti dalle norme vigenti, stiamo avviando un programma di corsi di formazione mirati, rivolti sia agli uffici acquisti sia agli uffici tecnici, che possono così mantenere un aggiornamento costante sull’evoluzione delle normative e del mercato per i prodotti ai quali sono interessati.

C’è chi pensa che le normative siano un impedimento alla creatività…

Libertà di creare non vuol dire mettere in pericolo chi utilizza il prodotto. Inoltre, quando si pensa di lanciare sul mercato un nuovo prodotto moda, occorre pensare anche che deve funzionare, e le normative ci aiutano a valutarlo, anche perché ci fanno capire quali sono le prove da effettuare per evitare di andare incontro a problemi e contestazioni. Il pilling, per esempio, la tendenza del tessuto a formare palline antiestetiche, è un problema che in Italia fino a poco tempo fa non era sentito, perché il cliente italiano non era abituato a contestare e, se il capo si rovinava, pensava di non avere eseguito una corretta manutenzione. Oggi invece la sensibilità del consumatore è aumentata, insieme ai resi, per cui alle aziende preme garantire le caratteristiche dichiarate, prima d’immettere un prodotto sul mercato. Anche per questo, è in corso uno studio per far percepire al cliente la qualità di un prodotto, attraverso simboli specifici indicati sui cartellini che ne elencano le varie caratteristiche.

Quando si avvia un’attività, si parte dall’inventario. Possiamo dire che il vostro laboratorio sia una sorta d’inventario per le aziende clienti?

Soprattutto se pensiamo al fatto che le aziende spesso cambiano personale, possiamo dire che il laboratorio rappresenta la loro memoria storica: in presenza di tessuti che in passato hanno creato problemi, per esempio, e vengono riproposti perché tornano di moda, noi ricordiamo alle aziende come li abbiamo affrontati per ottenere prodotti di qualità.