PACE E LIBERTÀ PER GLI UIGURI

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presidente del Congresso mondiale degli uiguri, candidata al premio Nobel per la pace

In questi anni lei si è battuta per l’autonomia e la libertà degli uiguri, etnia turcofona del nord ovest della Cina, ma ha vissuto sulla sua pelle la persecuzione del regime comunista...

Mio marito è stato in prigione per sei anni, io per nove, uno dei miei figli è stato condannato a sei anni di carcere, un altro a sette e gli altri tre sono agli arresti domiciliari. Il nostro unico reato è quello di avere richiesto pace e libertà per gli uiguri e per coloro che vivono nel Turkestan orientale, che attualmente corrisponde alla provincia autonoma dello Xinjiang, e di aver chiesto al governo cinese di concedere al popolo uiguro l’autonomia che aveva promesso. Il nostro territorio è un sesto di quello cinese e ha tantissime risorse naturali fra cui il petrolio, il gas, l’oro, l’uranio e migliaia di altri minerali. Quando la Cina continentale ha occupato il nostro paese, nel 1949, i cinesi contavano soltanto il 2 per cento della popolazione; oggi, se andate a visitare la Cina orientale, dall’Europa facilmente raggiungibile oltrepassando la Russia, vedrete milioni e milioni di cinesi che vivono nel nostro territorio.

Qual è la finalità di questa sorta d’invasione legalizzata?

Non saremmo contrari alla convivenza con i cinesi, se il governo comunista creasse le condizioni necessarie per convivere in pace con i nuovi occupanti cinesi che si sono insediati da noi e che in sessant’anni di regime comunista non ci hanno concesso un solo giorno di pace né il rispetto dei nostri diritti civili. Noi uiguri, insieme ai kazaki, abbiamo svolto un ruolo importantissimo nel processo di crescita culturale e economica dell’Asia centrale. Ma, nell’arco di sei decenni, il governo comunista cinese è riuscito a ridurci in povertà, facendo regredire la cultura e la civiltà, e soprattutto facendoci perdere qualsiasi diritto. Oltre a perseguitarci, i cinesi hanno ufficialmente vietato l’uso della nostra lingua e recentemente hanno trasferito dalla Cina orientale quattrocentomila donne celibi tra i quattordici e i venticinque anni affinché fungano da manodopera a buon mercato. Nella nostra patria non abbiamo la possibilità di lavorare e di vivere come esseri umani normali e addirittura vorrebbero obbligarci a dimenticare anche la nostra storia e la nostra civiltà.

Che ne è della libertà di pensiero e degli intellettuali?

Fin da subito, il governo ha preso di mira gli scrittori: coloro che hanno scritto mantenendo il punto di vista degli uiguri sono stati incarcerati. Vorrei citare alcuni esempi. Un giovane ventitreenne autore di racconti ha scritto la storia di una colomba della pace messa in gabbia. Solo per avere scritto questo racconto, l’autorità cinese gli ha confiscato i quaderni e gli ha negato la libertà di scrivere. Un altro scrittore che ha compiuto delle ricerche sulla storia degli uiguri è stato condannato a quattordici anni di carcere. Anche mio marito, che ha scritto alcuni articoli denunciando le pesanti problematiche sociali che viviamo, è stato costretto a trovare rifugio negli Stati Uniti. Come ho già spiegato altrove, io avevo una vita ricca ed ero membro del parlamento cinese, ma non potendo mentire sul mio popolo e continuando a chiedere dei cambiamenti nel sistema, il governo comunista cinese mi ha trattato da traditrice e mi ha messo in prigione.

Vorrei raccontare brevemente quanto è accaduto il 26 giugno scorso. Una settimana prima, ottocento donne cinesi sono state costrette a emigrare per lavorare in una fabbrica di giocattoli. Questo ha provocato il malcontento dei cinesi del posto, che non hanno accolto bene le nuove lavoratrici a basso costo perché si sono sentiti depredati. Il 26 giugno, all’una di notte, circa diecimila cinesi hanno attaccato i dormitori di queste donne e le hanno pestate a morte. La folla si è sentita confortata dal fatto che il governo cinese non ha alzato un dito per evitare l’attacco e gli scontri sono cresciuti e hanno causato la morte, tra gli altri, di due donne uiguri. Il massacro ha provocato manifestazioni pacifiche nei quartieri di popolazione uigura che sono state represse con la forza.

La vostra situazione sembra ancora peggiore di quella del Tibet, il cui presidente del Congresso, Tsewang Rigzin, vi ha più volte espresso solidarietà. Quali sono le vostre chance per l’avvenire?

Visto che non esiste pace sotto il governo cinese, molti sono convinti che l’unica possibilità sarebbe l’indipendenza e, nonostante tutte le sofferenze e le usurpazioni, stiamo lottato pacificamente sperando di ottenere la libertà. Il governo cinese non sembra intenzionato a trovare un accordo, anzi, mira alla completa eliminazione del popolo uiguro, attraverso una lenta assimilazione nell’etnia cinese, allo scopo di prendere il potere sul territorio per sempre. Questa è una strategia tipica della Cina, che ha occupato varie etnie inglobandole sotto di sé, dopo aver favorito le ostilità tra di loro. È questo il modo con cui il governo cinese riesce a creare una tensione altissima.

Se lei ha la possibilità di recarsi nel nostro paese, venga a visitare le nostre città: troverà le sofferenze di cui le ho parlato e potrà constatare che la pace e la libertà sono fortemente assenti. E, al suo ritorno, racconti e scriva ciò che ha visto, perché solo grazie alle testimonianze riusciremo a ottenere la libertà lungo il processo di negoziazione con il governo cinese.