S'IMPARA FACENDO

Qualifiche dell'autore: 
presidente e fondatore della G.B. Gnudi Bruno S.p.A., Bologna

Il suo lungo itinerario d’imprenditore e fondatore della G.B. Gnudi Bruno S.p.A., leader nel settore del packaging, fa seguito alla sua importante formazione nell’ambito più rappresentativo dell’economia della nostra regione, la meccanica. Come incomincia il suo viaggio?

Nel 1935 lavoravo alla Ducati, dapprima solo durante il periodo estivo e poi con regolarità. Qualche anno dopo la fine della guerra, a Bologna operava l’Acma, Azionaria Costruzioni Macchine Automatiche. Era la prima vera scuola di meccanica e produceva macchine per il confezionamento di buste per polveri impiegate nelle acque da tavola da aziende come Gazzoni, Alberani e Star. L’Acma entrò nella mia storia quando, non appena assunto all’O.A.R.E., Officina Automezzi Riparazione Esercito, per un impiego statale che mi occupava solo la mattina, conobbi un giovane tecnico, Giovanni Preci, che lavorava lì. Con lui avviai una collaborazione quando fondò l’azienda che porta il suo nome. Ma l’incontro determinante del mio itinerario fu senza dubbio quello con un altro giovane che si era formato in Acma, Antonio Martelli, che nel 1949 avrebbe costituito la Costruzioni Meccaniche Martelli, poi divenuta CAM. È stata un’esperienza favolosa, che proseguì anche quando, nel 1965, inaugurai la G.B. Gnudi Bruno S.n.c., occupandomi della promozione e della vendita delle macchine a marchio CAM.

Nel Museo del Patrimonio Industriale di Bologna è ancora esposta la prima macchina CAM…

In CAM, partecipavo alla organizzazione della vendita, ero quindi di supporto ad Antonio Martelli. All’epoca, vendevamo tre macchine all’anno, a differenza delle attuali centinaia. Le prime automatiche erano state importate da un’azienda tedesca, la Nipman, ma erano costose e non garantivano l’assistenza. Siamo stati i primi in Italia a produrre quelle per il confezionamento in astuccio. Era tutto da inventare, per questo abbiamo partecipato a numerose fiere presentando novità che abbiamo venduto in tutta Europa.

Qual è stato e quale continua a essere il punto di forza della G.B. Gnudi Bruno S.p.A.?

Se per esempio un cliente aveva bisogno di una linea di riempimento liquidi, si rivolgeva a me chiedendomi che cosa fossi in grado di fare. Ricordo che, per rispondere a una richiesta della Farmomac, con due miei compagni dell’Istituto Aldini, Dino Lullini e Giorgio Cesari, progettammo la prima macchina di riempimento di flaconi, la F33, costruita poi dalla ditta. È importante capire cosa vuole l’utilizzatore e risolvere i suoi problemi. Prima di passare l’ordine alla fabbrica, ho sempre preteso di sapere con precisione che cosa gli occorre effettivamente e se il costruttore ha capito bene la richiesta.

G.B. è nota nel settore per la commercializzazione delle macchine del Gruppo CAM, ma la sua punta di diamante è l’assistenza post-vendita. Il cliente non compra più da fornitori diversi perché poi deve provvedere all’assemblaggio. Noi ce ne assumiamo la responsabilità, offrendo la garanzia anche nel caso in cui abbiamo assemblato macchine che non sono di nostra produzione. Ciascuna vendita comporta che un tecnico specializzato, al momento della consegna, avvii personalmente la macchina. Per questo CAM ha aperto varie sedi in Europa, in Russia e in Inghilterra.

Come spiega la tenuta del mercato nel settore del packaging?

Fare una macchina che funzioni non è facile. Oggi in pochi investono nella formazione tecnica, che si acquisisce lavorando in officina. È più facile vendere computer. Ma così le fabbriche stanno svuotandosi.

Quali caratteristiche dovrebbe avere il bravo “direttore d’orchestra”?

In famiglia, come in azienda, non interpreto mai il ruolo di padre padrone, lavorare con i miei figli, Gabriele e Gabriella, è un piacere. È giusto, anche per una ragione di orgoglio personale, che si sentano a casa. Questo è essenziale in un’impresa del settore meccanico, dove tante persone stringono i bulloni insieme. Non a caso, in queste aziende spesso i figli seguono le orme del padre, mentre questo non avviene dove l’imprenditore si sente un padreterno.

Ha mai pensato di avere sbagliato qualcosa?

Spessissimo. Chi lavora sbaglia, ma poi deve rimediare. Immediatamente dopo, è necessario fare e impiegare tutta l’energia a risolvere il problema che si è prodotto, non a chiedersi perché.

Quando ero bambino, una delle prime cose di cui ho potuto disporre è stata la bicicletta. Che cosa succedeva quando si rompeva? Dovevo farla riparare. Ma, se il meccanico era lontano, l’unica cosa che potevo fare era aggiustarla da solo. E così, pian piano, ho imparato. S’impara, facendo.

Quindi occorre assumere le sfide…

Più che cercarle, occorre affrontarle. D’altronde, ho viaggiato in tutto il mondo e per un anno ho trascorso trecentocinquanta giorni fuori casa, ma questo mi ha dato modo, affrontando diversi problemi e parlando con tante persone, d’imparare molte cose.