AMERIGO 1934: LA MEMORIA DEL GUSTO

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Amerigo 1934 (Trattoria, Locanda, Dispensa), Savigno (BO)

Se l’esploratore Amerigo Vespucci aveva fatto conoscere il Nuovo Mondo all’Europa, un altro Amerigo Vespucci, oltre quattro secoli dopo, nel 1934, apriva a Savigno la Trattoria che, dagli anni novanta a oggi, avrebbe portato nella Valle del Samoggia esploratori del gusto da tutti i continenti, raggiunti dall’eco della sua cucina. Ma come si è sviluppato questo processo per cui la Trattoria Amerigo 1934 è chiamata a rappresentare la cucina italiana nel mondo, come due anni fa, per esempio, quando Amerigo e Bologna erano ospiti all’evento italiano più importante di Tokyo presso il Mitsukoshi a Nihombashi, dove siete stati anche quest’anno con l’Osteria La Francescana di Massimo Bottura e il Ristorante La Buca di Cesenatico di Stefano Bartolini?

Potrei dire che abbia contribuito la cura della comunicazione: basti pensare che abbiamo lanciato la prima versione del nostro sito internet nel 1996, quando è nata la Dispensa di Amerigo, con l’idea di mettere in vaso le ricette della Trattoria e di farle viaggiare. Oppure, potrei aggiungere che i risultati sono frutto dell’impegno e della serietà costanti dal 1934 a oggi. Ma penso che una buona parte spetti all’ironia, quella stessa che aveva mio nonno Amerigo a tre anni, immortalato sul triciclo con due sigarette in bocca. Con l’ironia, le cose non sono mai pesanti, si fanno quasi per gioco, anche se poi si capisce che non c’è cosa più seria del gioco, dove l’impegno è forse maggiore che nel lavoro. Tuttavia, la soddisfazione è grande quando vediamo che il nostro locale è frequentato sia da clienti della zona sia da persone che si recano qui da varie città d’Italia e di altri paesi per poter gustare i nostri piatti. E ancor di più lo è quando siamo invitati dai nostri distributori alle occasioni internazionali (tanto per citare le più recenti, da Valencia a Londra a New York, dove saremo in agosto per cucinare, insieme ad altri undici ristoratori italiani, in occasione dell’apertura di Eataly). Di recente, due docenti della Ca’ Foscari, che tengono un corso sull’influenza della gastronomia nei flussi turistici, ci hanno citato insieme al ristorante Chez Panisse di Berkeley (CA) come esempio di sviluppo territoriale legato all’attività enogastronomica.

I vostri piatti, oltre che delle materie prime di qualità assoluta, che valorizzano le produzioni locali, sono frutto di un’interpretazione della tradizione…

Infatti, è un’assurdità pensare a una presunta unità di misura per definire la cucina tradizionale, casalinga o del territorio. Sicuramente, nei tortellini e nelle tagliatelle al ragù che faceva mia nonna in casa non c’è nulla da cambiare, quello che è cambiato è la materia prima, che in realtà oggi è molto più buona di quella che si usava fino a vent’anni fa, quando nessuno la curava. Ma i miei fornitori non sono semplicemente contadini – non basterebbe a garantire la qualità dei prodotti –, sono agricoltori che si dedicano alla campagna con entusiasmo e con i quali collaboriamo durante tutte le fasi della filiera. Allora, dobbiamo dedurre che c’è chi vive di ricordi e chi invece si avvale della memoria come base di partenza per andare oltre: ecco perché, per la preparazione di piatti classici, interpreto in maniera classica le materie prime della zona, ma per i piatti in cui non c’è un’unità di misura, mi sento libero d’inventare, cercando di accostare le materie prime anche a seconda delle stagioni.

Nel menu primavera, un “Capretto dei piani di Savigno arrostito al forno, la lombatina in padella con carciofi brasati e frittelline della sua ricotta”, che rende l’idea della vostra arte culinaria, che deve prodigarsi in differenti cotture per ciascuna parte del capretto, tanto da lasciare la memoria del gusto…

Questa memoria è merito della materia, ma anche dell’interpretazione giusta, e a volte lo scopo è semplicemente presentare nel piatto un pezzo di carne cotta. Poi però alla lunga puoi interpretare quel pezzo anche in un altro modo e cercare di renderlo più interessante, stimolando la curiosità dell’ospite, anche se spesso i clienti si affezionano a un piatto e vogliono mangiarlo sempre uguale. Ma io insisto, dico che sarebbe come andare al cinema dieci volte e vedere sempre lo stesso film, e allora si lasciano guidare verso nuove avventure.

È lo stesso spirito di ricerca della novità che è alla base della Locanda di Amerigo?

Sì, quando abbiamo riaperto la Locanda, nel 2003, non volevamo né finte “camere rustiche della nonna”, né stanze minimaliste. L’incontro con Paolo Fiorentini, talentuoso designer e arredatore, è stato illuminante. Le nostre idee collimavano e insieme abbiamo costruito cinque camere in un’antica abitazione nel centro di Savigno, proprio come le volevamo, con un mix di oggetti disegnati da lui – principalmente i letti e i bagni, nati dal suo stile di riuso di materiale proveniente da officine e ambienti diversi – e oggetti di designer italiani degli ultimi cento anni, come Fontana, Venini, Barovier & Toso, Gae Aulenti, Roviello, Galli, Magistretti e Castiglioni.

Il vostro incontro con l’arte ha portato un risultato come gli affreschi di Gino Pellegrini nella sala al primo piano del ristorante, che sarà inaugurata mercoledì 23 giugno alle 20…

Artista, pittore, scenografo, Gino Pellegrini nella sua vita ha viaggiato molto. Ha ‘vestito’ pellicole come 2001: Odissea nello spazio, Gli uccelli, Il pianeta delle scimmie e Mary Poppins, per citarne alcuni. Noi gli abbiamo raccontato chi siamo, qual è la nostra storia e in cosa crediamo. Lui ha interpretato a modo suo il nostro messaggio.