LE SOCIETÀ DI RIQUALIFICAZIONE URBANA

Qualifiche dell'autore: 
docente del Politecnico di Milano

Vorrei sottolineare in primo luogo la rilevanza del lavoro di Gianni Verga per la chiarezza con cui viene affrontato il tema della manutenzione e riqualificazione della città. Con il volume Come avere cura della città dimostra ampiamente la conoscenza dei principi dell’economia dello sviluppo sostenibile e, quindi, la propria consapevolezza della necessità di disporre di una classe politica che sappia operare per garantire il miglioramento della qualità della vita non soltanto attraverso l’attuazione di grandi progetti ma soprattutto mediante un insieme di interventi minori in grado di creare un ambiente urbano realmente vivibile. La validità di una tale politica viene espressa con forza e con parole tali da far comprendere a molti suoi colleghi che non si può assolutamente sottovalutare lo stretto rapporto tra la città e l’uomo o meglio che la città è per l’uomo.

Nel renderla sostenibile il decisore non può peraltro ritenere di potersi sostituire all’impresa privata e di far diventare il “comune imprenditore”.

La mia è una critica verso le Società di Trasformazione Urbana (S.T.U.); non a caso abbiamo previsto all’interno della proposta di progetto di legge presentata da Società Libera recante norme in materia di riqualificazione urbana, le Società di Riqualificazione Urbana (S.R.U.). La legislazione delle S.T.U. è estremamente pericolosa. Anche se si sta cercando in qualche modo di limitarne gli effetti inizialmente voluti. Ricordiamo che esse sono state introdotte dalla Bassanini due nel 1997, e più precisamente dalla legge 127, art.17, comma 59: sono nate nell’affermazione o nella riaffermazione totale di quell’ideologia che era già stata superata per le varie vicende che tutti conosciamo, a partire dalla caduta del muro di Berlino. Le S.T.U. vogliono in sostanza dare un ruolo di imprenditore ai comuni, alle province e alle regioni, in quanto le società devono essere a maggioranza comunale o comunque pubblica. Questo ruolo appare improprio, soprattutto se si pensa che già all’inizio del Novecento Giovanni Montemartini (di sicura fede socialista e al quale si deve la legge per le municipalizzate) sosteneva che l’impresa politica cessa laddove vi è spazio per l’impresa privata, laddove l’impresa privata riesce a essere più competitiva rispetto alla stessa impresa politica. Ecco, la legge sulle S.T.U. rinnega, non ammette, questa possibilità; non tiene neanche conto di un principio che ormai sembra estremamente chiaro a molti politici, o quanto meno presente nella legislazione di questo Stato, quello sulla sussidiarietà. Il comune non può sostituirsi all’impresa, laddove il compito del comune è quello di decidere il destino della città, di definire i piani e le strategie per il raggiungimento degli obiettivi migliori possibili rispetto ai bisogni dei cittadini.

La nostra proposta delle S.R.U. vuole rendere possibile la trasformazione urbana mediante un ampio ricorso allo strumento del project financing, nella contemporanea garanzia della massima autonomia del decisore nella definizione delle strategie e nella individuazione (mediante la procedura dell’accordo di programma o di altre semplificate) della soluzione più soddisfacente, rispetto a una pluralità di alternative presentate dai soggetti promotori per ogni singolo comparto di riqualificazione urbana.

Una volta effettuata la scelta non può che cessare il ruolo del comune, il ruolo della politica, il ruolo dell’impresa politica.