QUANDO UNA FOTOGRAFIA NON È SOLO UN’IMMAGINE

Qualifiche dell'autore: 
titolare dello Studio Rocco Casaluci Fotografo, Bologna

In oltre vent’anni di attività, lei ha attraversato le diverse fasi dell’arte della fotografia. L’immagine, il suono e perfino la poesia sono gli strumenti che le consentono ciascuna volta di cogliere l’eternità dell’istante…

Vincenzo Casaluci, mio padre, aveva incominciato l’attività di fotografo in un paese del Salento, Corigliano d’Otranto, e ha trasmesso subito la sua passione ai miei due fratelli più grandi. Dunque sono figlio d’arte o, più esattamente, d’artigiano. Dopo la sua prematura scomparsa, mia madre rimase da sola con noi cinque figli, tutti in tenera età, per cui mio fratello maggiore decise di portare avanti la bottega di fotografia, dove io stesso ho mosso i primi passi all’età di 17 anni. Oggi, la bottega Casaluci prosegue la sua tradizione in Veneto, a Verona, in Salento, a Galatina, anche con l’apporto della nuova generazione di nipoti, e in Emilia Romagna, a Bologna, dove ho avviato lo studio fotografico nel 1996. La passione per la fotografia è nata in particolare con la pratica della camera oscura. Con il sistema analogico si scattavano le fotografie che poi si sviluppavano in laboratorio, appunto in camera oscura, in cui da oltre un secolo si producevano stampe di qualità notevole, tanto che spesso ho eseguito il lavoro anche per altri fotografi. Poi, con il nuovo millennio, siamo entrati nell’era del digitale anche per la fotografia, ed è stata una vera rivoluzione perché ora si possono riprodurre le fotografie immediatamente dal computer e inviarle on line. Questa trasformazione ha finito per causare la chiusura di diversi studi fotografici, che non sono riusciti a rinnovarsi. Mi sono dunque lanciato in questo ambito, avvalendomi dei nuovi strumenti digitali e traendone grandi soddisfazioni, com’è avvenuto, per esempio, per la realizzazione di servizi per importanti mostre internazionali, fra cui quella itinerante organizzata dal collega Luca Capuano per l’Unesco sui siti italiani. Ciascuna delle oltre quattrocento stampe ospitate negli Stati Uniti, a New York in particolare, in Sud America e in Asia sono state stampate a Bologna.

Purtroppo, temo che la figura del fotografo professionista tenderà sempre più a scomparire. Ormai si parla quasi esclusivamente di immagine, più che di fotografia. Ognuno crede che qualsiasi immagine possa essere ottenuta da strumenti che non siano macchine fotografiche, come per esempio i cellulari, che favoriscono una straordinaria velocità di esecuzione e di fruizione. La fotografia non è realizzata dallo strumento, ma dall’intervento di chi la scatta, traendo nell’immagine le pieghe di ciò che si va svolgendo in quel preciso istante. Ecco perché, pur disponendo di diverse fotocamere digitali, spesso preferisco utilizzare la fotocamera manuale, ottenendo così risultati differenti.

Nel suo itinerario entrano in scena il cinema e il teatro, ma non solo. Come nasce questo intreccio?

Nel 2007 ho avuto la fortuna di lavorare agli aspetti della fotografia con giovani registi che stavano girando un cortometraggio per il Teatro Comunale di Bologna. Ho sempre avuto la passione per il teatro, ma non potevo immaginare che ne avrei calcato le scene. Ricordo ancora quando i componenti della commissione esaminatrice del Teatro guardarono per la prima volta alcune mie foto. Sui loro volti c’era una sorpresa inaudita, tanto che pensai perfino che fosse un modo gentile di nascondere l’imbarazzo per qualcosa che non rispondeva alle aspettative. Invece, m’invitarono subito a fare il servizio per lo spettacolo della settimana successiva e, da allora, sono il fotografo di scena del Teatro.

Vorrei sottolineare anche la collaborazione con la Fondazione Mast, Manifattura di Arti, Sperimentazione e Tecnologia, fortemente voluta da Isabella Seragnoli, da sempre sostenitrice dell’arte. Nel mio percorso ho avuto la fortuna d’incontrare persone del valore di Guido Piacentini, che, oltre a essere un bravissimo fotografo, ha la mia gratitudine per avermi sostenuto; tuttora collaboro con lui, in particolare in occasione della mostra sull’arte islamica al Museo Medievale di Bologna, di cui è il primo al mondo per numero di opere.

Quali sono i suoi progetti in questo momento?

A parte il sogno nel cassetto di tornare a vivere il sole, il mare e il colore intenso della terra del Salento, mi piacerebbe valorizzare la riscoperta della manualità, quindi dell’artigianalità, con l’apertura di una moderna bottega che divenga un centro di idee, storie e saperi, non per creare competizioni ma per favorire lo scambio di esperienze, affinché ne traggano giovamento tutti i cittadini interessati e dove ciascuno ha l’occasione di divenire prezioso interlocutore della ricerca in cui si trova. La scuola della bottega insegna che la riuscita non è mai quella di uno solo, ma è di quanti lavorano alla realizzazione del progetto, ciascuno con le proprie competenze e specificità. E questa è sempre stata la forza dell’Italia.