L’INGEGNO, LA CUCINA, L’OSPITALITÀ

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titolare dell’azienda agricola, acetaia, ristorante La Noce, Montagnana di Serramazzoni (MO)

Oltre a essere uno dei ristoranti più rinomati della provincia di Modena, La Noce è anche acetaia, azienda agricola e museo dell’arte contadina, quindi un polo in cui confluiscono culture, tradizioni, amore per il saper fare e l’ingegno, ma anche luogo prediletto per incontri di affari da centinaia di persone provenienti da varie città d’Italia e di altri paesi, anche d’oltreoceano, in visita alle aziende del comprensorio ceramico.
Lei mantiene sempre vivi il gusto dell’ospitalità — che distingue la famiglia Muzzarelli, albergatori e ristoratori da almeno cinque generazioni — e la ricerca del bello, legata a un nome di cui si trova traccia nella nobiltà Estense, tant’è che a Ferrara troviamo palazzo Muzzarelli...
È una traccia che ho voluto seguire, fin da bambino, quando ascoltavo i racconti degli adulti, mentre vivevo nella casa grande della Noce, già albergo duecento anni fa, che mio nonno Dario comprò all’inizio del Novecento. Ho voluto fare la mia parte, conservando il più possibile e, all’inizio degli anni settanta, restaurando le antiche case intorno alla Noce, che nel frattempo era diventata un’abitazione privata. Quelle che oggi sono le sedi delle nostre attività erano edifici fatiscenti, quindi hanno richiesto tanto lavoro e molti investimenti, ma devo dire che hanno dato e stanno dando i loro frutti: pensiamo alla casa di 340 anni, che ospita il museo, con centinaia di utensili dell’arte contadina — catalogati specificando il nome e l’utilizzo —, e l’acetaia, con centocinquanta barili del prezioso Aceto Balsamico Tradizionale di Modena, comprese alcune batterie di proprietà di clienti stranieri i quali vengono ogni anno a prendere il prodotto maturato; o pensiamo al vecchio mulino, dove abbiamo allestito una suite che è quasi un gioiello incastonato nella struttura in pietra, molto richiesta da clienti di ogni parte del mondo, americani, australiani, sudafricani e europei, oltre che italiani; e poi pensiamo al cantinone e alla stalla, che abbiamo trasformato in ristorante e abitazione.
Immaginiamo il grande piacere per i clienti che vengono al ristorante o che soggiornano nella suite nel potere visitare il museo e l’acetaia, ascoltare il vostro racconto, che è anche la storia di Modena e dei prodotti del suo territorio, e addirittura acquistare una bottiglietta del prezioso aceto e le altre specialità di vostra produzione, come la saba e le composte, realizzate tutte a partire dal mosto cotto proveniente dall’uva della vostra antica vigna. È sempre lei a coltivarla?
Con tutto quello che avevo da fare, non avrei mai pensato di dedicarmi alla coltivazione della terra, ma quando ho comprato queste case fatiscenti, ho acquistato anche il podere e ricordavo che, seppellito sotto un’enorme quantità di rampicanti, c’era ancora il vigneto del nonno. Così, con l’aiuto di mio padre, ho cercato di riesumarlo. Ci sono voluti tre mesi di intenso lavoro, ma l’abbiamo rimesso in piedi e ci ha dato subito tante soddisfazioni, perché l’uva che matura ogni anno da questo vigneto è sempre eccellente. Seguendo lo spirito eclettico di noi Muzzarelli, mi sono ingegnato anche in un’attività che non avevo mai svolto, ho dovuto attrezzarmi per fare anche il contadino. Solo in un secondo momento, ho scoperto che il nome Giorgio vuol dire agricoltore.
Mi piace mettermi in gioco e sperimentare sempre cose nuove, mentre quando mi fermo il mio spirito decade e incomincio a essere stanco.
Grazie a lei e sua moglie Ivanna, rinomata chef del ristorante, La Noce continua la sua attività incominciata duecento anni fa...
Addirittura abbiamo ancora la licenza del 1902 di mio nonno, che porta il nome di “Ristorante albergo La Noce”. Se pensiamo che il nome “ristorante” è nato in Francia alla fine dell’Ottocento, ed è stato importato in Italia proprio all’inizio del Novecento, ne deduciamo che era uno dei primi locali con questa denominazione, e questo denota la modernità di mio nonno, la sua volontà di cavalcare le innovazioni: quando si è intestato la licenza non ha adottato la vecchia denominazione “albergo osteria”, ma la nuova “albergo ristorante”.
Era quel nonno che lei ascoltava da bambino?
Sì, la nostra famiglia si riuniva a pranzo e a cena intorno al grande tavolo che era stato ricavato dall’albero di noce, da cui prendeva il nome il ristorante, e io ascoltavo i racconti del nonno, ma intanto imparavo anche quella umiltà che è alla base dell’ospitalità: un dono che deve acquisire chi vuol fare bene il nostro mestiere. Un tempo, nei manuali delle scuole alberghiere, il ristorante o l’albergo veniva chiamato “casa”, perché il senso dell’ospitalità era imprescindibile.