LA CARDIOLOGIA DEL TERRITORIO

Qualifiche dell'autore: 
cardiologo, Azienda USL, Bologna Sud

Cercherò di fare un quadro di che cos’è la cardiologia del territorio, come nasce, come si sviluppa e qual è la sua situazione oggi, attraverso la normativa che l’ha fatta sopravvivere, dico sopravvivere perché sembrava quasi dovesse scomparire e ancora oggi è in serio pericolo. L’ultima legge approvata è la cosiddetta “Riforma sanitaria zero”, in atto in questo momento. La Legge 229, di due anni fa, corretta da successivo decreto dell’8 luglio del 2000, ha stabilito che il diritto alla salute deve essere garantito a tutti attraverso una programmazione sanitaria e si deve definire il livello essenziale uniforme di assistenza, di cui abbiamo sentito parlare molto alcuni mesi fa. I livelli essenziali di assistenza sono: assistenza sanitaria collettiva, assistenza distrettuale e assistenza ospedaliera. Gli specialisti si collocano nell’assistenza distrettuale.

Il distretto assicura i servizi di assistenza primaria a una popolazione di almeno 60.000 abitanti e il coordinamento delle proprie attività con quelle dei dipartimenti e dei servizi aziendali, incluse le strutture ospedaliere ed extra ospedaliere accreditate. Il distretto garantisce l’assistenza primaria, ivi compresa la continuità assistenziale specialistica e ambulatoriale. Quindi, il paziente non ospedalizzato è sempre sotto la copertura dell’ombrello sanitario del distretto. L’accreditamento è un altro passaggio importantissimo, perché è rilasciato dalla Regione sia alle strutture pubbliche e private, sia ai singoli professionisti, subordinatamente alla loro rispondenza ai requisiti stabiliti dalla normativa nazionale e regionale.

Tra l’ospedale e il territorio dev’esserci un particolare impegno, dedicato soprattutto all’allocazione delle risorse. Si deve passare dalla prevenzione alla cura, dalla generalità della popolazione ai gruppi a rischio, dall’assistenza territoriale all’assistenza ospedaliera, e l’allocazione delle risorse dev’essere realizzata attraverso l’elaborazione di programmi che favoriscono un diffuso coordinamento tra differenti aziende USL. Attualmente, la situazione è la seguente: abbiamo le risorse divise nei tre livelli di assistenza che ho illustrato sopra, con valori medi, minimi e massimi, che compaiono in queste cifre, in cui l’assistenza distrettuale varia molto da minimi del 38% a massimi del 51%; quella ospedaliera varia da un minimo del 44% a un massimo del 59%, in base alle regioni e alle situazioni ambientali locali. Gli specialisti del territorio, come il sottoscritto, sono distribuiti maggiormente al Sud dell’Italia, a Nord Est sono molto pochi e un po’ di più a Nord Ovest. Tra Bologna e l’area metropolitana siamo in 12, su circa 700.000 abitanti che dovrebbero rivolgersi ed essere soddisfatti dalle nostre prestazioni. Attualmente, le ore di cardiologia censite, in tutto il territorio nazionale, sono 12.000, quindi sarebbero necessari 6.000 specialisti, per 248.000 ore. Questo calcolo è stato fatto tenendo conto dei bisogni e dell’età della popolazione.

Vediamo adesso alcuni dati statistici: a Bologna la prima causa di morte è data dalle malattie del sistema circolatorio (oltre il 40%), la seconda dai tumori. Però dobbiamo anche dire che la nostra popolazione invecchia, soprattutto quella che ha più di 64 anni, ma anche quella con più di 74 anni. C’è una buona sanità, infatti la mortalità da malattie del sistema cardiocircolatorio si sta riducendo.

La Regione ha programmato il fabbisogno di procedure cardiologiche, d’interventi cardiochirurgici nel prossimo triennio dedicando sempre più risorse alle coronarografie e alla riattazione del palloncino (BTCA) e ha lasciato le stesse risorse per la rivascolarizzazione del By Pass. Nel 2001 sono state programmate in tutta la regione 12.400 coronarografie, in tutte le province, anche in enti privati accreditati. A fronte di tanto sforzo, però, il numero di infarti nella regione non si è ridotto. Si è ridotta la mortalità per infarto, ma non il numero di infarti. Questo è il segno del fallimento della prevenzione: abbiamo dato più procedure e più diagnostica, però ci sono stati più eventi, perché non abbiamo investito nella prevenzione, sono aumentati i diabetici, gli ipertesi, i fumatori (soprattutto le donne), e questo è il risultato.

La legislazione della sanità è vissuta oggi da tutti con un po’ di timore, perché comporta astrattezza e genericità delle soluzioni progettuali a carattere nazionale, spesso inapplicabili localmente. Le normative e le strategie regionali sono sempre più diversificate, chi è curato in Emilia è curato in maniera diversa che in Umbria o in Sicilia o in Lombardia. Non ci sono obiettivi unici, le metodologie sono differenti e incompatibili: a volte c’è priorità del pubblico, a volte priorità della libera competizione tra pubblico e privato.

La diversificazione tra le regioni, le province e le aziende anche contigue, la progettualità è basata sul bilancio più che sulla continuità assistenziale. Questa è la realtà attuale della nostra sanità in Italia. Quindi, la capacità di iniziativa e la progettualità, il superamento della competitività, i percorsi assistenziali, la continuità assistenziale, la diversità di ruolo, l’interfaccia con il territorio, i medici di medicina generale, i distretti, le cardiologie extraospedaliere, l’interfaccia con le cardiologie di riferimento, l’organizzazione distribuita, la delega, la partecipazione comportano che non ci sia comunicazione, che ciascuno svolga la propria attività in autonomia, senza comunicazione.

Oggi più che mai, è sentita l’esigenza di rendere più efficiente la catena fornitore-cliente. I presidi di offerta devono dare allo stato garanzie tecniche, di sicurezza per i pazienti con ampi margini di libertà sulla scelta delle strutture, gli standard qualitativi devono essere elevati, deve esserci equità e facilità di accesso, trasparenza e informazione sulle procedure.

Per svolgere bene l’attività sanitaria occorre essere attrezzati per farlo, e occorre un controllore esterno che ne verifichi i risultati. Il gruppo sanitario deve essere affiatato perché gli interventi devono essere mirati, complementari, pur nel rispetto della specificità delle funzioni.

Oggi noi suoniamo in un’orchestra stonata.