L’INDUSTRIA È UTILE ALL'ESPERIENZA

Immagine: 
Qualifiche dell'autore: 
presidente di Officina Meccanica Marchetti Srl, Sala Bolognese (BO)

Il Ministero dello sviluppo economico italiano descrive l’Industria 4.0, la cosiddetta quarta rivoluzione industriale, un’opportunità per “ottimizzare i processi produttivi; supportare i processi di automazione industriale; favorire la collaborazione produttiva tra imprese attraverso tecniche avanzate di pianificazione distribuita, gestione integrata della logistica in rete e interoperabilità dei sistemi informativi”. In molti, fra consulenti e imprenditori, sono però concordi nell’affermare che questa rivoluzione industriale produrrà la drastica riduzione dei posti di lavoro. La vostra impresa, leader nello stampaggio a iniezione nei settori cleaning, automotive, medicale e di articoli tecnici in materiali termoplastici, come intende avvalersi di questi nuovi processi industriali?
Non ritengo che il connubio tra informatica, elettronica e automazione si traduca necessariamente nella diminuzione dei posti di lavoro, penso invece che possa offrire uno stimolo per formare manodopera più qualificata e, soprattutto, più disposta a ragionare sul modo in cui interviene nella produzione, più di quanto non lo fosse in passato. In Italia, la maggioranza delle imprese è costituita da aziende manifatturiere e di dimensione medio-piccola, perciò sarà necessario che ciascuna si costruisca la “sua” versione dell’Industria 4.0. In Germania ho visto aziende che producono secondo questo modello di industria già da alcuni anni, ma si tratta, per lo più, di aziende di grandi dimensioni abituate ad avere tempi di produzione molto lunghi. Le dimensioni delle aziende in Italia, in particolare le piccole-medie, che costituiscono la maggior parte del tessuto produttivo, non consentono di produrre secondo schemi standard. Nelle nostre imprese lavorano uomini che sono abituati a ragionare, per questo è così elevata la vocazione a inventare. Quando uno di loro ottiene alcuni risultati, gli altri partecipano emulando questo approccio.
Nel vostro processo produttivo, infatti, avete introdotto alcune varianti…
Per fare in modo che tutti gli addetti alla produzione si rendano conto dell’importanza del compito che svolgono, abbiamo posizionato il disegno del progetto complessivo dello stampo nella postazione di lavoro di ciascuno, per ora soltanto in forma cartacea, ma presto sarà trasmesso sui display dei computer attigui alle macchina. Ciascuno potrà quindi capire in quale punto della catena produttiva sta intervenendo e, quando intenderà qual è il suo contributo, saprà anche valutare l’importanza del compito che svolge.
Qual è la via dell’utile per un’impresa di stampaggio come la vostra?
L’utile non è quel piccolo numero che alla fine dell’anno sottolineiamo con una riga, quando esaminiamo i bilanci. Anche quando il bilancio registra una flessione negativa, non è detto che questa non sottenda anche, per esempio, un miglioramento nell’esperienza del lavoro dei collaboratori.
Bisogna distinguere se l’azienda è intesa come un’attività che deve proseguire nella prospettiva di migliorare o se invece la sua funzione è finalizzata all’utile di bilancio. In altre parole, il conto economico e lo stato patrimoniale del bilancio, così come gli investimenti, fanno parte di una branca del bilancio, l’altra è costituita da fattori non quantificabili subito in termini economici, ma essenziali per la prospettiva futura dell’azienda.
Inoltre, se ignoriamo la trasformazione che interviene nel modo di ragionare dei collaboratori, gestire un’azienda diventa una questione meramente finanziaria. In questa logica, l’Industria 4.0 può essere intesa soltanto secondo finalità finanziarie. Le nostre imprese manifatturiere hanno un futuro soltanto nella misura in cui faranno prevalere lo spirito inventivo che ci ha sempre contraddistinto senza ricorrere alle grandi strutture industriali che invece hanno altri paesi. Allora, occorre prestare attenzione perché, se l’Industria 4.0 non considera il contributo dell’uomo nella produzione, corriamo il rischio di trovarci nelle stesse condizioni che hanno predisposto all’avvento delle dittature. Queste trasformazioni economiche hanno portato a trasformazioni politiche che sono sfociate nel fascismo, in Italia, e nel nazismo, in Germania. Siamo arrivati a pensare che il fascismo in Italia era una cosa buona perché non c’era disoccupazione e che la Germania aveva buone ragioni per dare l’avvio alla Seconda Guerra Mondiale.
La rivoluzione industriale non può essere esente dalla crescita intellettuale di chi lavora nelle nostre imprese perché il nostro tessuto imprenditoriale è costituito da aziende medio-piccole e quindi da uomini che ragionano ancora.