UNA PRESA DI POSIZIONE FORTE IN FAVORE DELLA VITA

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docente di Semiotica all’Università di Bari

Quando nel 2001 ho incontrato per la prima volta Armando Verdiglione, Augusto Ponzio e io avevamo già pubblicato nel 1998, per Spirali edizioni, una traduzione del libro del semiotico Thomas Sebeok, dal titolo A sign is just a sign.
La semiotica globale, mentre in questo incontro proponevamo una monografia, scritta da Augusto Ponzio e da me, intitolata I segni e la vita.
La semiotica globale di Thomas Sebeok, che uscì l’anno successivo. Da allora abbiamo partecipato a una serie di congressi per me davvero straordinari in quanto si creavano incontri di parola, scambi tra persone che non si incontravano nelle istituzioni universitarie. Quindi, una gioia. Il primo congresso fu Stress, la clinica della vita, nel 2000, con una serie di rappresentanti importanti della semiotica globale segnalati da me e invitati da Verdiglione, alcune delle figure più significative della “rete semiotica planetaria” che Sebeok aveva contribuito a costruire: Jesper Hoffmeyer, docente di chimica biologica nell’Università di Copenhagen, uno dei maggiori studiosi di biosemiotica, autore del libro Signs of Meaning in the Universe; John Deely, dell’Università St. Thomas di Houston, presidente dell’Associazione Americana di Semiotica; e Soeren Brier, studioso di ecosemiotica e di cibersemiotica all’Università di Aarhus. Oltre a questo convegno, ho frequentato congressi dal titolo Medicina e humanitas, nel 2003; Il valore dell’Italia, nel 2006; La politica, nel 2007; La nostra psicanalisi, nel 2008; La democrazia, nello stesso anno; La diplomazia e la pace – con tematiche assolutamente vitali oggi –, nel 2009. E poi, L’impresa intellettuale, nel 2011, l’ultimo congresso al quale abbiamo partecipato. In seguito ai congressi avveniva la pubblicazione degli atti e, quindi, delle nostre relazioni negli atti o nella rivista ”La cifrematica”. Un fermento culturale molto intenso.
Ho incontrato sempre persone di grande valore sia umano sia intellettuale.
Desidero qui ricordare Jorge Luis Borges, i cui colloqui con Verdiglione sono stati pubblicati in un bellissimo libro. E ci ha fatto piacere che nel libro La Grammatica dello spirito europeo Verdiglione abbia citato la poesia di Borges I giusti (La cifra) nella traduzione di Augusto Ponzio. Nei congressi della Villa San Carlo Borromeo abbiamo conosciuto anche l’”antipsichiatra” Thomas Szasz. Dal primo incontro del 2003 al congresso Medicina e humanitas sono nati tanti percorsi interessantissimi: Szasz è venuto a Bari, per un seminario di grande successo, intitolato Il linguaggio del corpo.
Dopo questo, nel 2006, è uscito, ancora con la casa editrice Spirali, il libro di Szasz nella mia traduzione italiana La mia follia mi ha salvato.
La follia e il matrimonio di Virginia Woolf. Grazie a questi collegamenti ho poi avviato rapporti con la casa editrice di Szasz, Transactions, per la quale ho pubblicato una serie di libri negli Stati Uniti. In uno di essi, studiato in corsi di dottorato negli Stati Uniti, c’è un capitolo dedicato a Verdiglione. Sono orgogliosa di contribuire anche alla diffusione internazionale del pensiero di Armando Verdiglione.
Nei dieci anni di partecipazione ai congressi dell’Università del secondo rinascimento era straordinario e sorprendente vedere come la Villa San Carlo Borromeo non venisse semplicemente restaurata, ma migliorata, valorizzata, resa viva e accogliente grazie all’opera di Cristina Frua De Angeli. E questa sorpresa e questo stupore si ripetevano nel giro di pochi mesi, da un congresso all’altro: assistevamo a una valorizzazione di un’opera d’arte e insieme a ciò, nientemeno, al recupero di un modello per il mondo intero, il Rinascimento, che è alla base di ogni immagine artistica. E la Villa Borromeo, oltre a essere immagine artistica in sé, offriva il piacere della vista a molte altre opere d’arte. In questi incontri, come diceva Bachtin (che oggi conosciamo anche grazie a G. D. Gačev, un altro frequentatore dei convegni di Villa Borromeo), c’era la cosiddetta esperienza grande dell’umanità. E ciò in contrasto, purtroppo, con i simboli della cultura ufficiale e istituzionalizzata, dove c’è solo l’esperienza piccola, del tempo piccolo, esperienza relativa soltanto a una parte determinata dell’umanità, in un momento determinato, un’umanità interessata alla sua stabilità, alla riproduzione di ciò che fa, con i piccoli interessi di piccole parti. Non si trattava quindi soltanto della meraviglia suscitata da un’opera d’arte architettonica, la Villa San Carlo Borromeo, sempre più bella. Oggi coltivare la bellezza in termini che non siano autoreferenziali, secondo i principi dell’arte per l’arte, comporta una presa di posizione forte in favore dell’umano, anzi della vita nella sua globalità, contro ogni espressione distruttiva e in questo senso brutta.
Ciò che ha creato Verdiglione è stato straordinario, io l’ho vissuto con grande intensità anche per la mia esperienza personale. Sono figlia dell’immigrazione, i miei genitori sono emigrati dall’Italia e si sono conosciuti in Australia, dove ho studiato dalle suore domenicane, ma attraversando programmi didattici piuttosto scadenti in confronto alla scuola italiana. Lo spostamento in Italia ha rappresentato nella mia vita un viaggio culturale inimmaginabile. L’Italia era per me il Rinascimento, e giustamente Verdiglione parla di secondo rinascimento.
Devo dire, però, che nei quarantacinque anni di vita in questo paese, ho vissuto un’esperienza di dolore che non sembra finire davanti al progressivo smantellamento di un universo culturale senza eguali.
Cioè, ho assistito allo svuotamento di un patrimonio singolare, irripetibile che, invece, Armando Verdiglione e Cristina Frua De Angeli hanno saputo sviluppare. Sicché, purtroppo, la persecuzione contro di loro in questi anni è la metafora e la metonimia di quello che l’Italia fa, e fa sistematicamente, non ad Armando Verdiglione soltanto, ma a se stessa e agli italiani, alla cultura italiana e, quindi, mondiale.