PER VINCERE NON BASTA L’INNOVAZIONE, OCCORRE L’ALLEANZA DELLO STATO

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presidente di CNA Modena e di GIGI MEDICI Srl, Sassuolo (MO)

Al Forum Impresa, humanitas e pubblica amministrazione (Dipartimento di Giurisprudenza, Unimore, 23 maggio 2019), a cui lei ha partecipato come presidente di CNA Modena, Marco Bongiovanni ha citato lo studio condotto dal vostro Osservatorio nazionale sui costi della burocrazia fiscale, che incidono sulle imprese italiane per circa 22 miliardi di euro l’anno… Quello con lo stato dovrebbe essere un rapporto di collaborazione in cui le imprese e i cittadini pagano le tasse e ricevono in cambio servizi e sostegno.
Abbiamo invece a volte l’impressione di uno stato nemico. Abbiamo una pubblica amministrazione spesso autoreferenziale in cui parte degli impiegati pensa alla propria carriera, anziché al servizio da dare a cittadini e imprese, e si arrocca sulle posizioni privilegiate di chi ha il potere di rispondere a una richiesta senza dovere rendere conto in alcun modo della risposta data. Ma non è colpa del singolo, è l’intero sistema che ormai è stato impostato così.
In un altro studio del 2018, abbiamo analizzato il numero e il costo degli adempimenti burocratici per avviare un’attività artigianale: chi apre un bar, quando finalmente arriva a servire il primo caffè, ha affrontato 71 adempimenti burocratici e ha speso, tra bolli, corsi e autorizzazioni, 14.667 euro. Un aspirante autoriparatore, invece, prima di trasformare il suo sogno in realtà, si trova davanti a 86 adempimenti, per una spesa di 18.550 euro. La prima edizione del nostro Osservatorio, intitolato Comune che vai, burocrazia che trovi, fotografa la mappa della burocrazia italiana che, secondo i calcoli di Rete Imprese Italia, costa 33 miliardi di euro ai piccoli imprenditori.
In che modo la CNA sta dando un apporto per contrastare la burocrazia? Sono tante le battaglie che portiamo avanti su vari fronti per aiutare le piccole e medie imprese a crescere, in uno scenario in cui la crisi sta avendo un epilogo piuttosto lento e devastante per migliaia di microimprese, nel silenzio più totale, perché fa più rumore un albero che cade che una foresta che si spoglia. Noi siamo piccoli imprenditori, spesso abbandonati a noi stessi, e nessuno ne parla, ma c’è una guerra in corso.
Fino al 2008, l’Italia ha vissuto sessant’anni senza guerre, quindi un lungo periodo di benessere e crescita economica. A molti sembrava impossibile che le cose potessero cambiare, ma la guerra è arrivata. Non si combatte più con le armi tradizionali, ma con quelle economiche, e ha fatto anch’essa i suoi morti: in particolare, nelle piccole imprese, spesso familiari, composte da due o tre persone. Tra parentesi, i suicidi degli imprenditori di cui si parlava nel 2012 e nel 2013 continuano, si è soltanto smesso di raccontarli.
In questo momento è in atto anche la crisi del credito, in seguito all’apertura dei mercati finanziari mondiali, che fa tanto bene alle grandi aziende, ma spesso uccide le piccole aziende fornitrici. Per non parlare della grande sfida futura del mercato globale in mano ai grandi player della vendita e dei servizi online, che continuano a pagare tasse irrisorie e a occupare sempre maggiori quote di mercato, devastando il commercio e le piccole imprese tradizionali legate al territorio e alle sue regole.
Ma questo vale anche all’interno della stessa Unione europea, dove alcuni stati applicano un vero e proprio dumping fiscale, che permette ad aziende di primo livello un vantaggio fiscale perfettamente legale quanto penalizzante per lo stato in cui producono i beni. Questa politica impoverisce le nostre casse ed erode le disponibilità finanziarie per il nostro tessuto produttivo, costituito al 95 per cento da piccole e medie imprese messe in difficoltà. Basti pensare ai distretti dell’Emilia-Romagna, dalla meccanica alla ceramica, dall’alimentare al biomedicale: migliaia di piccole aziende che lavorano come sub-fornitrici di centinaia di aziende medie, a loro volta fornitrici di aziende grandi.
Ciascun distretto rappresenta il benessere di un territorio ed è una filiera di talenti, che s’ingegnano per trovare il meglio dell’innovazione e rendere i prodotti sempre più perfetti. Se questa filiera dovesse interrompersi, sarebbe un disastro, perché le grandi aziende non sono attrezzate per fare ricerca e offrire servizi come lo fanno le imprese di filiera, con la massima velocità e ingegno. E la ricerca di continuo miglioramento e innovazione attuata dagli artigiani, con la loro esperienza e reattività, per la grande azienda comporterebbe mesi e mesi di lavoro, complicazioni e spese ben più elevate.
E la CNA s’impegna affinché il nostro patrimonio industriale sia valorizzato… A questo proposito, cito la battaglia che CNA ha vinto di recente, salvando centomila piccole aziende dalla nuova tagliola stolidamente posta sulla loro strada. Con un’accorta e convincente azione d’informazione, siamo riusciti a sensibilizzare il mondo politico e, di conseguenza, a ridurre in maniera consistente il numero di piccole imprese costrette all’obbligo di nominare il collegio sindacale previsto dalla nuova norma introdotta dal Codice della crisi d’impresa lo scorso 16 marzo.
Grazie a un emendamento inserito nel cosiddetto Decreto Sblocca-cantieri, i criteri sono stati ritoccati in modo da evitare la spesa di circa seimila euro a testa, vale a dire un costo complessivo di 840 milioni di euro. Sarebbe stato l’ennesimo macigno – un’autentica tassa impropria – sul sistema produttivo, l’ennesimo adempimento burocratico oneroso, vessatorio e inutile, che le nostre imprese, impegnate a distinguersi nel mercato globalizzato, non possono più permettersi.
Quarant’anni fa vinceva chi riusciva ad accaparrarsi le tecnologie in anticipo rispetto agli altri, oggi non basta più, le tecnologie sono a disposizione di tutti i paesi del mondo e non riusciamo a competere solo sul prezzo con quelli che hanno costi del lavoro, burocrazia e tassazione incomparabilmente inferiori ai nostri.
Allora, possiamo e dobbiamo vincere con l’innovazione, con le idee, con la fantasia, producendo sempre meglio prodotti di grande qualità, anziché sempre di più e più velocemente, Ma possiamo vincere soltanto avendo lo stato come alleato, consapevole che abbiamo interessi comuni, concordanti e condivisi con il socio, le imprese, che sono l’unica fonte di gran parte delle entrate con i dividendi rappresentati dalla tassazione diretta e indiretta.
Lei ha fondato quarant’anni fa la Gigi Medici, che è partner di grandi aziende e case automobilistiche nella progettazione e realizzazione di articoli promozionali unici e inconfondibili. Quindi, non soltanto targhe e coppe, come agli esordi. Come ha incominciato? A ventisette anni, di ritorno dal servizio militare, lavoravo come rappresentante per un’azienda di Bologna.
Un giorno, mentre ero in visita presso alcuni clienti nel milanese, vidi un negozio che vendeva coppe, targhe e trofei. Entrai incuriosito e, dopo aver parlato con il titolare, intuii che poteva essere un business interessante anche per Modena. Incominciai così, lavorando per lo sport. Un giorno mi telefonò un signore, Franco Gozzi, che mi convocava in Ferrari perché Enzo Ferrari doveva realizzare un premio per una gara di nuoto alla piscina di Maranello dedicata a suo figlio Dino e voleva sceglierlo di persona.
Da allora è iniziata una collaborazione con la casa di Maranello che prosegue tuttora, con articoli di nostra produzione che hanno accompagnato i momenti più significativi della storia della casa automobilistica più famosa al mondo: dalla medaglia commemorativa in argento per i novant’anni del Drake, con la sua effige su un lato e la sua firma sull’altro, ai tanti altri articoli che, ancora oggi, suggellano tappe importanti e indimenticabili, ma anche accessori auto e qualche particolare della vettura.
E poi anche le altre case automobilistiche si sono avvicinate… Man mano che abbiamo acquisito know-how, ci siamo proposti a nuovi clienti, fornendo servizi studiati con loro in modo specifico, in base alle loro esigenze. Per esempio, con la Aston Martin abbiamo lavorato all’organizzazione di eventi come il lancio di una barca a motore di categoria superlusso.
Oggi il nostro core business ci porta a essere partner tecnici e creativi di grandi aziende, ideando, ingegnerizzando e producendo merchandising e oggetti di marketing, secondo strategie concordate di volta in volta.
Com’è cambiato il vostro mestiere negli anni? Abbiamo fatto passi da gigante, soprattutto nella tecnologia e nella preparazione tecnica. Però conservo ancora con cura il nostro primo pantografo a mano, che ci consentiva di riprodurre in piccolo lettere di ottone infilate all’interno di guide: un compito difficilissimo. Lavoravamo anche a mano libera utilizzando frese da dentista, adattate all’incisione. Poi, trent’anni fa, in collaborazione con un’azienda veneta, abbiamo contribuito a costruire, con la nostra esperienza nel settore, la prima macchina automatica per incidere sui metalli. La macchina numero 3, che abbiamo messo a punto con Luigino De Lazzari, ingegnere, è ancora attiva ed esposta nella nostra azienda. Per noi fu un grande passo: un’apertura intellettuale e uno sforzo finanziario che ci consentirono di aumentare esponenzialmente qualità e diversificazione e di triplicare in pochi mesi la produzione. In seguito, con l’avvento delle nuove tecnologie, soprattutto della tecnologia laser, le lavorazioni di base sono diventate molto più facili, così facili che tutti possono farle.
E allora, tanto oggi come ieri, si vince con le idee e con un approccio nuovo che consenta di divenire veri e propri partner per i nostri clienti, interpretando al meglio le loro esigenze e seguendoli in tutte le fasi del processo, dall’ideazione alla progettazione e alla realizzazione. Questo oggi avviene soprattutto grazie lavoro dei miei figli, Luca e Marcello, che hanno portato un vento nuovo in azienda e sono in grado di proseguire in questa direzione, valorizzando le nuove tecnologie e rilanciando il patrimonio intellettuale dell’impresa per l’avvenire.