IL DISTURBO VANIFICA LA PAURA

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presidente di S.E.F.A. Holding Group Spa, Sala Bolognese (BO)

Nel libro La salute perfetta. Critica di una nuova utopia (Spirali), Lucien Sfez descrive l’ideologia della “salute perfetta” che mira a purificare il corpo dell’uomo e il pianeta da tutto ciò che ne disturba l’ideale. L’economia del disturbo – inteso come ciò che mette in questione l’ordine prestabilito delle cose – è però attuata anche in altri ambiti, tanto da promuovere ingenti finanziamenti a livello mondiale per la prevenzione. Ma è l’attività dell’impresa a indicare che il disturbo è proprio dell’esperienza e, anzi, evitare ciò che disturba priva l’impresa di occasioni di riuscita. Quante volte, lungo la sua esperienza nel settore siderurgico, qualcosa che sembrava disturbare poi ha favorito il rilancio del progetto e del programma? Il progetto dell’impresa può proseguire soltanto se non evitiamo ciò che disturba. T.I.G., l’azienda del nostro gruppo attiva nel commercio e nella distribuzione di titanio, rappresenta uno di questi casi. Nel 2000, quando abbiamo incominciato la scommessa di fornire il titanio in tutte le aziende delle zone di nostra competenza, un socio si è posto subito come elemento di disturbo, dimostrando di avere visioni diverse del business e del modo di proporsi ai clienti. Per lui erano un disturbo il ritmo e lo sforzo messo in atto per attenerci alla decisione assoluta di riuscire: eravamo fermamente convinti di aver lanciato un progetto vincente e così è stato. Ma non per quel socio, che liquidò quasi subito la propria quota.
Il vero patrimonio dell’azienda è il cliente ed è necessario avere cura delle sue esigenze in modo assoluto.
S.E.F.A., attiva invece nel commercio e distribuzione di acciai, è un esempio di questo approccio. Il cliente che vent’anni fa effettuava piccoli ordini – e sembrava quasi un disturbo garantirgli la fornitura di esigue quantità di acciai – poi ha ampliato le sue produzioni e oggi ordina forniture più consistenti, diventando uno dei più importanti dell’azienda. Questa è la politica che il nostro Gruppo ha sempre seguito e che continuo a trasmettere ai nostri venditori, monitorando minuto per minuto, chilometro per chilometro, il tessuto industriale delle aree di competenza senza escludere nessuno.
Il nostro compito è favorire la riuscita delle aziende manifatturiere e dei distretti di nostra competenza, che costituiscono il valore aggiunto di questo paese.
Anche la crisi finanziaria 2007-2009 sembrava un disturbo per l’azienda… Quella crisi rischiava di mettere in discussione il lavoro di trent’anni a causa della scarsa liquidità dell’azienda, dal momento che avevamo già sottoscritto impegni con alcuni istituti bancari per investimenti e assunzioni. Inoltre, avevamo siglato accordi con la multinazionale Uddeholm per raggiungere precisi obiettivi di fatturato nei due anni successivi. In momenti come quelli, che però sono strutturali dell’impresa, occorre fare appello all’ingegno e trovare l’umiltà necessaria per mettere in questione i propri pregiudizi.
Un giorno, mentre ero al bar con un mio amico che si lamentava perché i suoi risparmi rendevano poco, mi venne in mente di proporgli un tasso maggiore di quello che percepiva dalla banca se li avesse prestati all’azienda. Lui accettò e incominciai a proporre la stessa cosa ad altri amici e collaboratori, e anche a mia madre. Iniziammo così a raccogliere circa 660.000 euro, che restituimmo a ciascuno con gli interessi dopo tre anni. Un disturbo che dava grande preoccupazione, perché sembrava sacrificare il nostro progetto per mancanza di liquidità, è diventato l’occasione per rilanciare le sorti dell’azienda. In quel periodo, questo genere di problema è costato il fallimento dell’azienda a uno fra i miei molti amici.
Oggi, l’attuale emergenza da pandemia è avvertita sempre più come disturbo… Il Covid-19 è un grande disturbo, per esempio mette in questione la mentalità e l’idea di sicurezza che abbiamo avuto finora, fomentando la paura. Noi non abbiamo paura, perché possiamo contare sulle capacità tecniche che abbiamo acquisito in oltre quarant’anni di esperienza nella siderurgia. La paura è propria di chi non ha direzione e non ha i termini delle cose che fa. Da marzo abbiamo attuato un programma di riunioni e appuntamenti con dipendenti, clienti e altri interlocutori delle nostre aziende. Grazie a questa tenuta organizzativa non abbiamo fatto ricorso neanche a un’ora di cassa integrazione e abbiamo continuato a ricevere ordini. Durante il cosiddetto “anno del Covid” noi abbiamo acquistato un capannone e messo in cantiere nuovi progetti ed è stata l’occasione per valutare in modo critico i nostri punti di forza.
Poi, addirittura, una delle nostre aziende ha raggiunto un fatturato migliore dell’anno precedente.
Il disturbo dell’esperienza mette in questione abitudini e consuetudini… La caratteristica dell’impresa è che, se prosegue nella difficoltà, poi trova anche il modo di svolgerla e i risultati arrivano. Quanto è inteso come disturbo, quindi, sembra tale verso le certezze acquisite, costringendo a pensare in altro modo, a impegnarsi e a dedicare tempo che, idealmente, doveva essere investito nello sviluppo del progetto, per esempio. Ma è proprio ciò che disturba che dà un apporto allo sviluppo.
Poi, anche l’errore è spesso inteso come disturbo, ma, ancora una volta, se lo esamini con spirito costruttivo, puoi cogliere l’occasione per riuscire in quello che stai facendo.
Questo è ciò che non avviene in ambito scolastico o universitario, in cui spesso l’insegnamento si specifica per un’economia dell’errore. Ecco perché non c’è scuola in cui si possa intendere come divenire imprenditore, se non assumendo il rischio assoluto di riuscita, proprio dell’impresa di ciascuno… Il quotidiano dell’imprenditore è costellato di errori, a partire per esempio dalla gestione delle non conformità, che ci costringono a esaminare le cause che le hanno generate e a trovare il modo di migliorare per non trovarsi nella stessa situazione. Il disturbo rappresenta la rottura di un sistema che non tiene più, è quindi strutturale dell’esperienza imprenditoriale, che necessita della continua messa in questione di schemi.
Ho constatato che mettersi in discussione è un disturbo soprattutto per chi non ha un’impresa, perché in questi casi la colpa di ciò che disturba è sempre riferita all’altro. È diffuso il confronto in negativo fra “io” e gli altri. Invece l’impresa ragiona con il “noi”, perché è un’esperienza che non segue l’idealità ed è costituita da uomini, che talvolta sbagliano ma che possono crescere, imparando a fare ancora meglio. Io sollecito ciascuno dei miei collaboratori a mettersi in discussione ciascuna volta in cui interviene qualcosa che non va come avevamo programmato. Chi si attiene a questo esercizio di umiltà poi incomincia anche a fare le cose in modo più propositivo.
Chi oggi va in piazza e dice “io”, lamentandosi di non poter uscire di casa, non ha mai vissuto l’impresa.
Oggi il disturbo sarebbe non uscire di casa, per esempio per una persona di settant’anni che incassa due pensioni? È un disturbo questo? È una limitazione del proprio io, più che della libertà. Il disturbo è semmai quello dell’imprenditore che deve assicurare a decine, a volte anche migliaia, di famiglie un reddito tale che possano pagare le rette scolastiche dei figli e il mutuo per la casa, per esempio. Fare impresa è una partita che si gioca assieme, in modo che sia ancora possibile avere il diritto di andare in ospedale quando ce n’è bisogno. Senza impresa viene meno anche il diritto alla cura e il diritto alla cultura. Ecco perché lo stato che vuole davvero rilanciare il paese deve mettere al centro delle sue politiche le imprese manifatturiere.
Anche perché oggi il Sud Est asiatico sta facendo incetta di materie prime, speculando sui prezzi e lasciando languire i paesi terzi d’importazione.
La siderurgia è essenziale per fermare la deindustrializzazione in atto in Italia. La manifattura oggi, per esempio nell’automotive e nell’illuminazione, è totalmente dipendente dall’importazione di alluminio, il cui costo è aumentato di circa il 30-40 per cento nel giro di pochi mesi. Questo conferma che la pandemia è diventata anche una guerra commerciale.
Del 2020, oltre al Covid-19, resterà nella memoria la serie di 500 bottiglie numerate dell’ottima annata vitivinicola delle Cantine Conti, quasi a mettere in rilievo che la vita procede dall’ironia.
Quali sono gli elementi di valore che lei ha riscontrato nelle imprese del Gruppo SEFA Holding in occasione della pandemia? Noi forniamo acciai e i prodotti per ciascuna specifica applicazione industriale alle diverse filiere manifatturiere delle regioni di nostra competenza, quindi il lavoro di squadra nelle nostre aziende e con i nostri clienti è stato fondamentale in questa fase. Ci sono stati momenti in cui il nostro contributo di fornitori è stato riconosciuto essenziale per esempio per costruire gli stampi per le siringhe, per i tamponi e le provette, ma anche per il packaging degli alimenti. Ciascun oggetto di uso quotidiano alla cui costruzione diamo il nostro apporto, dal tappo delle bottiglie ai blister per le compresse farmaceutiche, è frutto di un processo di intelligenza che coinvolge milioni di persone, il cui valore è ancora sconosciuto alla maggioranza degli italiani. Ciascun dettaglio della produzione è davvero essenziale nell’industria, perché basta che un piccolo oggetto non sia progettato, combinato o trattato con l’acciaio giusto, o che sia impiegata anche un’esigua quantità di materiale non adatto in una macchina del valore di centinaia di milioni di euro, per compromettere il risultato. Ma, anche in questi casi, ciò che disturba può diventare elemento di valore.