LA CURIOSITÀ INTELLETTUALE DISTURBA

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presidente di TEC Eurolab, Campogalliano (MO) e di ALPI, vice presidente di EUROLAB

L’accezione comune di disturbo indica qualcosa che dev’essere eliminato, in quanto non funzionale alle attività che si stanno svolgendo. Eppure, non ci sarebbero l’invenzione e l’arte senza il disturbo, che impedisce ogni ordine prestabilito e ogni tentativo di padroneggiare la parola e il fare. In che modo lei constata il disturbo nella vita dell’impresa? La parola “disturbo” viene spesso utilizzata a sproposito e in ambiti molto differenti. Per esempio, alcuni chiedono scusa del disturbo appena si annunciano al telefono. Ma una telefonata non è un disturbo: intanto, sarebbe più appropriato scusarsi dell’interruzione e poi, se serve a comunicare qualcosa d’importante, ben venga una telefonata.
Quando penso al disturbo nella vita dell’azienda, penso a un segnale discordante con il resto della scena o dell’ambiente. Dinanzi a un segnale discordante, la prima cosa da fare è interpretarlo, perché può essere un alert, una sirena che richiede attenzione.
Se, per esempio, durante i nostri incontri in Cda, intervengono segnali che sembrano disturbare, bisognerebbe avere sempre l’umiltà e la disposizione a interpretarli, anche quando non arrivano nel modo e nel momento migliori, ma provengono da collaboratori o da persone che stimiamo, pertanto meritano di essere ascoltati e analizzati. Il disturbo, in questa accezione di nota discordante rispetto a ciò che si sta pensando, facendo o discutendo, è il benvenuto, perché ci costringe a prendere in esame la motivazione di quel segnale, di quella nota.
Guai se non ci fosse questo disturbo.
Invece, il camionista che suona il clacson o dice parolacce sotto la finestra non è un disturbo, è una seccatura.
Mentre la cosa che mi disturba come cittadino, nel senso che non mi dà nessun vantaggio, è l’indifferenza.
Mi disturba che ci sia qualche collega o qualche collaboratore che resti indifferente all’andamento dell’azienda, alle esigenze del cliente o ai dispositivi con i propri colleghi.
Ma forse, più che disturbarmi, dovrei dire che mi ferisce o, semplicemente, che mi colpisce. Il modo in cui sta andando la politica italiana, poi, posso dire che m’infastidisce, perché non mi dà nessun valore aggiunto.
M’infastidiscono tutte quelle cose che non portano alcun valore aggiunto, anzi, frenano, interrompono il lavoro, sono uno spreco per la parola e per il fare.
Così, siamo arrivati a distinguere il disturbo dal fastidio: il disturbo di per sé non è fastidioso. Le cose che infastidiscono possono essere tantissime, ma non tutte disturbano.
In medicina, si parla molto di “disturbo mentale, disturbo dell’alimentazione, dell’attenzione, dell’apprendimento, etc.”: sembra che sia tutto un disturbo. Forse, questa parola andrebbe aiutata a riacquistare la sua nobiltà.
Classificare ed etichettare non serve ad affrontare le cose in modo pragmatico, nella loro specificità, ma a cercare un rimedio. Per esempio, di recente è molto pubblicizzata una pillola per il “disturbo del sonno leggero e dei pensieri costanti, che impediscono il sonno profondo”.
Quindi c’è chi, invece di occuparsi delle cose che non lo fanno dormire, prende la pillola per eliminare il “disturbo del sonno”, anche se poi questa pillola produce altri cosiddetti “disturbi”… In una vignetta erano illustrati dei volti al cui interno c’era un cervello: più si riducevano le dimensioni del cervello disegnato all’interno e più il volto appariva rilassato. Nell’ultima immagine, dove non era disegnato nessun cervello, c’era un volto molto sorridente. Apparteneva alla cosiddetta persona “senza pensieri”, quella che dice: “Ah, io non ho pensieri, nulla mi disturba”.
TEC Eurolab, nella sua attività di testing sui materiali di componenti meccanici, si occupa di eventi che vengono classificati come “disturbi” del funzionamento di automobili, aerei, protesi e oggetti di uso quotidiano. Più che analizzare i disturbi, voi individuate le disfunzioni, attraverso le cause di rottura.
Non solo, fornite al cliente consigli utili per evitare danni futuri e, addirittura, offrite il vostro supporto in fase di progettazione dei componenti, dando così un contributo alla qualificazione dei materiali, a monte del processo produttivo.
Il vostro approccio aiuta il cliente a valorizzare quelli che sembrano “difetti” dei materiali, perché da un apparente disturbo può sorgere un’invenzione, soprattutto in fase di progettazione… Certo. Un componente che si rompe, soprattutto in esercizio, comporta senz’altro disturbo, ma nel nostro lavoro si può affrontare il problema in differenti modi: focalizzandosi esclusivamente su quell’oggetto, analizzandolo e riportando al cliente la causa immediata di rottura (eccessivo carico, corrosione, etc.) oppure andando a monte e chiedendosi quali sono i motivi per cui si è rotto, cercando di entrare nella “storia” di quell’oggetto. Questi approcci differenziano la failure analysis, che trova la causa immediata di rottura, dalla failure investigation, l’investigazione intorno al perché. In breve, ci si può limitare a eliminare il disturbo oppure sfruttarlo come un segnale che esige un approfondimento. La stessa alternativa mi prospetta il mio posturologo se dico che ho mal di schiena: o facciamo qualche applicazione terapeutica, che può funzionare per alleviare il dolore oppure cerchiamo di capire perché ho mal di schiena, quindi facciamo un’analisi del modo in cui cammino, sto in piedi, sto seduto, per provare a correggere eventuali posture errate.
Un mal di schiena è doloroso, un componente che si rompe durante una gara di Formula 1 fa perdere posizioni in classifica, eppure, in ciascun caso, è essenziale cercare di capire, di analizzare e di ascoltare la novità indicata da ciò che è intervenuto come disturbo. Questo può capitare anche nelle riunioni con persone di fiducia, come i collaboratori: qualcuno di loro fa un’affermazione improvvisa o piuttosto ha un atteggiamento, uno sbuffo, che ti disturba. Allora, puoi far finta di niente oppure cercare di utilizzare quel segnale per capire che cosa voleva dirti quella persona, che cosa c’è dietro quell’intervento: forse ti sta sfuggendo qualcosa che la persona non dice perché non rientra nei compiti specifici per cui è stata convocata a quel tavolo, ma, poiché guarda le cose dall’esterno, ha un punto di vista differente e coglie qualcosa cui magari noi abbiamo fatto l’abitudine.
Alle riunioni di Design thinking, oltre a esperti e specialisti, partecipano persone che non hanno alcuna competenza in materia, ma pongono questioni che sembrano disturbare perché non sono pertinenti. Così, però, suscitano dubbi, fanno pensare, quindi, diventano indispensabili nello sviluppo di nuovi progetti in cui non si può dare nulla per scontato, occorrono nuove idee e tanta fantasia.
Si può dire che il disturbo va contro l’omologazione del pensiero.
Vengono definite disturbo anche le provocazioni… I bambini sono eccezionali in questo, perché il loro pensiero non è ancora omologato. Su un giornale ho visto raffigurato un cartone: io da adulto pensavo fosse soltanto uno scatolone, mentre nella pagina successiva un bambino lo aveva trasformato in una casetta. Voltando ancora pagina, ho scoperto che non era nemmeno una casetta, ma un aereo.
L’omologazione porta a eliminare il disturbo perché costa tanta fatica e un supplemento d’intelligenza.
“Non disturbare”, scrive qualcuno sulla porta quando riposa o è concentrato in un’attività che richiede silenzio. Dopo questa intervista, metterò fuori dal mio ufficio un cartello con la scritta: “Il disturbo è ammesso”.
Per fortuna, non sta a noi ammettere il disturbo, è strutturale, nessuno può toglierlo. Anzi, impiegare energie per eliminarlo è uno spreco. Allora, forse, sarebbe meglio fare come i bambini, che non hanno bisogno di aggrapparsi a una realtà preordinata, che tra l’altro non esiste. La vita è nel gerundio. Vivendo, come si può preordinare la vita? La vita preordinata è come un museo dove le cose apparentemente se ne stanno immobili, da contemplare, e non si può toccare niente, tutto è protetto, ma quella non è vita. La vita procede dalla questione aperta… Senza l’apertura non c’è ascolto e il disturbo è inteso come una seccatura: “Fuori di qui! Stiamo lavorando”.
Per accogliere il disturbo occorre l’apertura. Com’è democratico il disturbo: i regimi totalitari eliminano qualsiasi disturbo. Purtroppo, spesso è così anche nella scuola, quando l’attenzione è ottenuta attraverso l’eliminazione del disturbo.
Invece, l’attenzione dovrebbe essere una prerogativa dell’interesse. Un conto è se l’alunno ascolta perché è interessato, un altro se sta zitto perché è obbligato… Il fatto che l’alunno segua la lezione rimanendo composto e in silenzio per alcuni insegnanti è già sufficiente, mentre forse sta pensando a tutt’altro. Ricordo molto bene un paio di miei compagni di scuola alle superiori, erano i due migliori della classe, ma anche due disturbatori seriali, trovavano sempre il modo di interloquire con i professori e apportare tesi argomentate, spesso in contrapposizione non solo con il docente, ma anche tra loro. A volte, le lezioni di materie umanistiche si trasformavano in accesi dibattiti, tanto che un giorno entrò il preside minacciandoci di “sbatterci fuori da tutte le scuole del Regno”: ogni tanto il preside perdeva la cognizione del tempo.
In conclusione, penso sia essenziale distinguere il disturbo dalla seccatura, dall’importunare: per seccare e importunare non serve granché, forse solo un po’ di maleducazione, mentre per disturbare occorrono curiosità intellettuale e spinta alla ricerca.