LA CURIOSITÀ INTELLETTUALE DISTURBA
L’accezione comune di disturbo indica qualcosa che
dev’essere eliminato, in quanto non funzionale alle attività che si stanno
svolgendo. Eppure, non ci sarebbero l’invenzione e l’arte senza il disturbo, che
impedisce ogni ordine prestabilito e ogni tentativo di padroneggiare la parola
e il fare. In che modo lei constata il disturbo nella vita dell’impresa? La
parola “disturbo” viene spesso utilizzata a sproposito e in ambiti molto
differenti. Per esempio, alcuni chiedono scusa del disturbo appena si annunciano
al telefono. Ma una telefonata non è un disturbo: intanto, sarebbe più
appropriato scusarsi dell’interruzione e poi, se serve a comunicare qualcosa
d’importante, ben venga una telefonata.
Quando penso al disturbo nella vita dell’azienda, penso a un
segnale discordante con il resto della scena o dell’ambiente. Dinanzi a un
segnale discordante, la prima cosa da fare è interpretarlo, perché può essere un
alert, una sirena che richiede attenzione.
Se, per esempio, durante i nostri incontri in Cda,
intervengono segnali che sembrano disturbare, bisognerebbe avere sempre
l’umiltà e la disposizione a interpretarli, anche quando non arrivano nel modo
e nel momento migliori, ma provengono da collaboratori o da persone che
stimiamo, pertanto meritano di essere ascoltati e analizzati. Il disturbo, in questa
accezione di nota discordante rispetto a ciò che si sta pensando, facendo o
discutendo, è il benvenuto, perché ci costringe a prendere in esame la
motivazione di quel segnale, di quella nota.
Guai se non ci fosse questo disturbo.
Invece, il camionista che suona il clacson o dice parolacce
sotto la finestra non è un disturbo, è una seccatura.
Mentre la cosa che mi disturba come cittadino, nel
senso che non mi dà nessun vantaggio, è l’indifferenza.
Mi disturba che ci sia qualche collega o qualche
collaboratore che resti indifferente all’andamento dell’azienda, alle esigenze
del cliente o ai dispositivi con i propri colleghi.
Ma forse, più che disturbarmi, dovrei dire che mi ferisce o,
semplicemente, che mi colpisce. Il modo in cui sta andando la politica
italiana, poi, posso dire che m’infastidisce, perché non mi dà nessun valore
aggiunto.
M’infastidiscono tutte quelle cose che non portano alcun
valore aggiunto, anzi, frenano, interrompono il lavoro, sono uno spreco per la parola
e per il fare.
Così, siamo arrivati a distinguere il disturbo dal fastidio:
il disturbo di per sé non è fastidioso. Le cose che infastidiscono possono
essere tantissime, ma non tutte disturbano.
In medicina, si parla molto di “disturbo mentale, disturbo
dell’alimentazione, dell’attenzione, dell’apprendimento, etc.”: sembra che sia tutto
un disturbo. Forse, questa parola andrebbe aiutata a riacquistare la sua
nobiltà.
Classificare ed etichettare non serve ad affrontare le
cose in modo pragmatico, nella loro specificità, ma a cercare un rimedio. Per
esempio, di recente è molto pubblicizzata una pillola per il “disturbo del
sonno leggero e dei pensieri costanti, che impediscono il sonno profondo”.
Quindi c’è chi, invece di occuparsi delle cose che non lo
fanno dormire, prende la pillola per eliminare il “disturbo del sonno”, anche
se poi questa pillola produce altri cosiddetti “disturbi”… In una vignetta
erano illustrati dei volti al cui interno c’era un cervello: più si riducevano
le dimensioni del cervello disegnato all’interno e più il volto appariva
rilassato. Nell’ultima immagine, dove non era disegnato nessun cervello, c’era
un volto molto sorridente. Apparteneva alla cosiddetta persona “senza
pensieri”, quella che dice: “Ah, io non ho pensieri, nulla mi disturba”.
TEC Eurolab, nella sua attività di testing sui materiali
di componenti meccanici, si occupa di eventi che vengono classificati come
“disturbi” del funzionamento di automobili, aerei, protesi e oggetti di uso
quotidiano. Più che analizzare i disturbi, voi individuate le disfunzioni, attraverso
le cause di rottura.
Non solo, fornite al cliente consigli utili per evitare
danni futuri e, addirittura, offrite il vostro supporto in fase di
progettazione dei componenti, dando così un contributo alla qualificazione dei materiali,
a monte del processo produttivo.
Il vostro approccio aiuta il cliente a valorizzare quelli
che sembrano “difetti” dei materiali, perché da un apparente disturbo può
sorgere un’invenzione, soprattutto in fase di progettazione… Certo. Un
componente che si rompe, soprattutto in esercizio, comporta senz’altro
disturbo, ma nel nostro lavoro si può affrontare il problema in differenti
modi: focalizzandosi esclusivamente su quell’oggetto, analizzandolo e
riportando al cliente la causa immediata di rottura (eccessivo carico,
corrosione, etc.) oppure andando a monte e chiedendosi quali sono i motivi per
cui si è rotto, cercando di entrare nella “storia” di quell’oggetto. Questi
approcci differenziano la failure analysis, che trova la causa immediata
di rottura, dalla failure investigation, l’investigazione intorno al
perché. In breve, ci si può limitare a eliminare il disturbo oppure sfruttarlo
come un segnale che esige un approfondimento. La stessa alternativa mi
prospetta il mio posturologo se dico che ho mal di schiena: o facciamo qualche
applicazione terapeutica, che può funzionare per alleviare il dolore oppure cerchiamo
di capire perché ho mal di schiena, quindi facciamo un’analisi del modo in cui
cammino, sto in piedi, sto seduto, per provare a correggere eventuali posture
errate.
Un mal di schiena è doloroso, un componente che si rompe
durante una gara di Formula 1 fa perdere posizioni in classifica, eppure, in ciascun
caso, è essenziale cercare di capire, di analizzare e di ascoltare la novità
indicata da ciò che è intervenuto come disturbo. Questo può capitare anche
nelle riunioni con persone di fiducia, come i collaboratori: qualcuno di loro
fa un’affermazione improvvisa o piuttosto ha un atteggiamento, uno sbuffo, che ti
disturba. Allora, puoi far finta di niente oppure cercare di utilizzare quel
segnale per capire che cosa voleva dirti quella persona, che cosa c’è dietro
quell’intervento: forse ti sta sfuggendo qualcosa che la persona non dice
perché non rientra nei compiti specifici per cui è stata convocata a quel
tavolo, ma, poiché guarda le cose dall’esterno, ha un punto di vista differente
e coglie qualcosa cui magari noi abbiamo fatto l’abitudine.
Alle riunioni di Design thinking, oltre a esperti e
specialisti, partecipano persone che non hanno alcuna competenza in materia, ma
pongono questioni che sembrano disturbare perché non sono pertinenti. Così, però,
suscitano dubbi, fanno pensare, quindi, diventano indispensabili nello sviluppo
di nuovi progetti in cui non si può dare nulla per scontato, occorrono nuove
idee e tanta fantasia.
Si può dire che il disturbo va contro l’omologazione del
pensiero.
Vengono definite disturbo anche le provocazioni… I
bambini sono eccezionali in questo, perché il loro pensiero non è ancora omologato.
Su un giornale ho visto raffigurato un cartone: io da adulto pensavo fosse
soltanto uno scatolone, mentre nella pagina successiva un bambino lo aveva
trasformato in una casetta. Voltando ancora pagina, ho scoperto che non era nemmeno
una casetta, ma un aereo.
L’omologazione porta a eliminare il disturbo perché costa
tanta fatica e un supplemento d’intelligenza.
“Non disturbare”, scrive qualcuno sulla porta quando riposa
o è concentrato in un’attività che richiede silenzio. Dopo questa intervista, metterò
fuori dal mio ufficio un cartello con la scritta: “Il disturbo è ammesso”.
Per fortuna, non sta a noi ammettere il disturbo, è
strutturale, nessuno può toglierlo. Anzi, impiegare energie per eliminarlo è
uno spreco. Allora, forse, sarebbe meglio fare come i bambini, che non hanno
bisogno di aggrapparsi a una realtà preordinata, che tra l’altro non esiste. La
vita è nel gerundio. Vivendo, come si può preordinare la vita? La vita
preordinata è come un museo dove le cose apparentemente se ne stanno immobili,
da contemplare, e non si può toccare niente, tutto è protetto, ma quella non è
vita. La vita procede dalla questione aperta… Senza l’apertura non c’è
ascolto e il disturbo è inteso come una seccatura: “Fuori di qui! Stiamo
lavorando”.
Per accogliere il disturbo occorre l’apertura. Com’è
democratico il disturbo: i regimi totalitari eliminano qualsiasi disturbo.
Purtroppo, spesso è così anche nella scuola, quando l’attenzione è ottenuta
attraverso l’eliminazione del disturbo.
Invece, l’attenzione dovrebbe essere una prerogativa
dell’interesse. Un conto è se l’alunno ascolta perché è interessato, un altro
se sta zitto perché è obbligato… Il fatto che l’alunno segua la lezione rimanendo
composto e in silenzio per alcuni insegnanti è già sufficiente, mentre forse
sta pensando a tutt’altro. Ricordo molto bene un paio di miei compagni di
scuola alle superiori, erano i due migliori della classe, ma anche due
disturbatori seriali, trovavano sempre il modo di interloquire con i professori
e apportare tesi argomentate, spesso in contrapposizione non solo con il docente,
ma anche tra loro. A volte, le lezioni di materie umanistiche si trasformavano
in accesi dibattiti, tanto che un giorno entrò il preside minacciandoci di
“sbatterci fuori da tutte le scuole del Regno”: ogni tanto il preside perdeva
la cognizione del tempo.
In conclusione, penso sia essenziale distinguere il disturbo
dalla seccatura, dall’importunare: per seccare e importunare non serve granché,
forse solo un po’ di maleducazione, mentre per disturbare occorrono curiosità
intellettuale e spinta alla ricerca.