UN CARNEVALE DIFFERENTE A MODENA: SANDRONE E IL SUO SPROLOQUIO

Qualifiche dell'autore: 
presidente di Crimo Srl e della Società del Sandrone, Modena

A partire dal 1947, l’unico personaggio pubblico autorizzato a Modena a mandare i suoi messaggi ai cittadini dal balcone del Palazzo Comunale è Sandrone, la maschera tanto cara ai modenesi “dèinter e fòra da la mura” (dentro e fuori le mura), insieme alla moglie Pulonia e al figlio Sgorghiguelo.
Nella città geminiana il carnevale è differente da quello delle altre città che festeggiano questa tradizione con carri e sfilate. Cosa può dirci a questo proposito come presidente della Società del Sandrone, associazione che ha superato i 150 anni dalla sua costituzione? Ogni anno, la famiglia Pavironica (da “pavéra”, l’erba palustre con cui i contadini facevano cappelli e impagliavano le sedie), nel pomeriggio del Giovedì grasso, esce dalla stazione delle Ferrovie dello Stato, fingendo l’arrivo dal leggendario Bosco di Sotto, preceduta da una banda con majorettes e seguita da altre maschere provinciali, regionali e nazionali, giunte a Modena per rendere omaggio a Sandrone. Il carnevale a Modena non è un grande spettacolo dal punto di vista folkloristico, noi non abbiamo magnifici carri che sfilano sfoggiando personaggi di cartapesta che si muovono grazie ai prodigi della robotica. Dopo avere ammirato il corteo della carrozza che trasporta la famiglia Pavironica, donata dai conti Bentivoglio, la gente corre in piazza ad ascoltare ciò che Sandrone dirà nel suo “Sproloquio”: un insieme di tante notizie raccolte durante l’anno, relative a quanto è accaduto o sta per accadere nella nostra città e nella nostra provincia, con qualche riferimento ai governanti di Roma, il tutto condito con il sale della satira e dell’ironia, che muovono al riso e alla gioia. In piazza c’è veramente la città: uomini e donne di ogni età, mestiere e professione; politici, imprenditori, amministratori, insegnanti, anziani e bambini che saltellano orgogliosi di mostrare i loro costumi.
È una festa della parola, che esige ciascun anno l’invenzione della tradizione.
Ma com’è nata la maschera del Sandrone? Il personaggio Sandrone non nasce nel casotto dei burattini, come molti pensano, ma dalla penna di un genio, un autore straordinario che ha scritto circa 500 opere, noto al grande pubblico soprattutto per i personaggi di Bertoldo e Bertoldino. Parliamo di Giulio Cesare Croce, nato a San Giovanni in Persiceto nel 1550, che, con la commedia Le sottilissime astuzie di Bertoldo, mette in risalto l’astuzia e il buon senso del contadino nei confronti dei cortigiani, in una forma di compensazione e di rivalsa rispetto alle angherie che questi era storicamente condannato a subire. Mentre la letteratura dal Medioevo era rimasta insensibile ed estranea ai problemi dei ceti meno abbienti, di cui prendeva di mira la goffaggine e la rusticità, Croce portò in scena personaggi popolari, come quel giovane contadino rozzo ma scaltro, protagonista della commedia Sandrone astuto, che rappresenta il popolo più umile, il contadino maltrattato ed eternamente affamato ma astuto e sempre in cerca di stratagemmi per sbarcare il lunario. Nonostante non avesse alcun appoggio da parte della stampa e dei teatri di corte, la commedia del Sandrone si diffuse in tutta la nostra regione. Non trovando però lo stesso seguito nelle città del Veneto, l’autore dovette inventare la storia di Bertoldo, anticamente ambientata alla corte di re Alboino, che egli portò a Roveré Veronese, paese di provenienza del contadino.
Il Croce provvedeva al sostentamento di due mogli e 14 figli, esibendosi come cantastorie, con l’accompagnamento del suo violino, nelle piazze di Bologna, Modena, Ferrara, Mantova, Venezia, Verona e Firenze. Compose e recitò un importante patrimonio letterario, oggi custodito dalla Biblioteca dell’Archiginnasio di Bologna. Peccato che sia morto poverissimo, nel 1609.
Ma come arrivarono a noi, dopo la morte del Croce, le storie di Sandrone? Attraverso la tradizione orale: erano storie che nella famiglia riunita intorno al fuoco o nelle stalle si raccontavano, perché rimanessero nella memoria e si tramandassero di generazione in generazione, come patrimonio di saggezza per i loro riferimenti all’onore, all’onestà, al lavoro e alla sincera amicizia.
Soltanto verso la fine del Settecento, Luigi Rimini Campogalliani, a Carpi, mette Sandrone nel suo casotto dei burattini e ne fa il protagonista di gustose commedie, lasciandogli sempre le caratteristiche che duecento anni prima gli aveva dato il Croce, unite a quei valori che, ancora oggi, riconosciamo nel patrimonio culturale modenese, alimentato da proverbi e massime intramontabili, in dialetto, che suggeriscono il miglior modo di agire in ciascuna situazione. Qualcuna di queste massime era un misto di fede e superstizione, qualche altra contraddittoria, ma la maggior parte è satura di così fresche intuizioni poetiche da condensare il pensiero in una scienza della vita, che testimonia la capacità di ragionare e, per dir così, di filosofare.
Tutto questo patrimonio Sandrone porta con sé ogni anno quando, per Carnevale, arriva a Modena dal mitico Bosco di Sotto. E questo spiega il motivo di tanto interesse e tanto entusiasmo da parte dei modenesi per il suo Sproloquio: le soluzioni che egli propone a tanti problemi locali, regionali e nazionali sono dettate da quella “saggezza antica” che Sandrone ha ereditato, anche se cerca di spiegare e di risolvere questi problemi a modo suo, scherzosamente, ma con buon senso e con quella vena umoristica tanto cara ai modenesi.
Lei ha vestito i panni dello Sgorghiguelo per molti anni… Nel 1970, alla vicepresidenza della Società del Sandrone c’era Ugo Preti, un grande autore dialettale modenese che ci ha lasciato parecchi scritti intorno al Sandrone. All’epoca avevo vent’anni e frequentavo le manifestazioni organizzate dalla Società. Un giorno, Preti mi disse che sarei stato proprio adatto a fare lo Sgorghiguelo e io non mi feci pregare: da quel momento l’ho impersonato per 22 anni con tanta passione, e mi sono divertito veramente tanto.
Non dimentichiamo che lo slogan della nostra Società è “Divertimento, cultura e beneficienza”. Affinché una tradizione si tramandi per tanti secoli occorre anche il divertimento, il gioco e la gioia di stare insieme, oltre che la soddisfazione nel fare le cose.
La Società del Sandrone assicura – con manifestazioni, dibattiti, incontri culturali e pubblicazioni – il mantenimento del Carnevale e delle tradizioni locali legate alla lingua dialettale in prosa, poesia o nell’uso comune. E, in qualità di presidente, lei fa la sua parte in questo senso. Ma, come imprenditore con cinquant’anni di esperienza nel settore delle ruote industriali (in particolare con la sua azienda, Crimo Srl), lei dà un contributo all’innovazione lungo un’altra tradizione che caratterizza la terra modenese, quella dei motori… Il termine “tradizione” deriva dal latino traditiònem da tràdere (consegnare, trasmettere). Nella mia esperienza lavorativa, mi sono trovato spesso a dovere destreggiarmi fra una tradizione da rispettare e un impulso a sperimentare, innovare, inventare. Quando le cose sembrano andare bene, è facile cadere nella tentazione di adagiarsi o, al contrario, spinti dalla voglia di fare, è altrettanto facile essere troppo avanti con le idee e disperdere energie in progetti non consoni alle esigenze del momento. Espressioni come: “Non possiamo pensare al futuro senza tener conto del passato” hanno una loro ragione di esistere, ma devono essere di sprone al fare, non un inno all’inerzia.
Il lavoro è sempre stato, negli insegnamenti dei nostri antenati, la ragione principale della loro vita. Molto hanno fatto per trasmetterci i segreti del loro mestiere o per coltivare e far crescere in noi la passione verso l’impresa. Se noi oggi siamo “pianta” è perché loro sono le “radici”, che ci hanno insegnato a resistere al vento e alla pioggia, forti della sapienza dettata da esperienze e tradizioni.
Come ricordava lei, la nostra è la terra dei motori, uno degli esempi più importanti al mondo in cui la tradizione legata alla passione per le macchine muove menti e braccia verso sempre nuovi traguardi. Noi dobbiamo fare in modo che questa tradizione continui a essere alimentata dalla genialità, dall’iniziativa e dall’invenzione, nonché dal gioco e dal divertimento che ciascuno trova nel fare.
Per questo è importante lo scambio con le nuove generazioni… Infatti, come Società del Sandrone, stiamo lavorando molto con le scuole, proponendo attività didattiche per trasmettere la storia del Sandrone, dei burattini e delle altre maschere della commedia dell’arte, materia che purtroppo non rientra più nei programmi scolastici. Il legame della nostra Società con la città è essenziale perché Sandrone possa continuare a vivere. La nostra è un’attività che si basa esclusivamente sul volontariato di persone che offrono gratuitamente le loro competenze come carpentieri, fotografi, maestri, professori, ingegneri, dottori; ciascuno dà un apporto, non solo con la quota d’iscrizione, ma anche mettendo a disposizione il proprio lavoro secondo l’occorrenza. E ciascuno è felice di cogliere le occasioni d’incontro o di viaggio che noi organizziamo, per vivere insieme momenti di cultura e di convivialità, anche se quest’anno siamo stati penalizzati dalla pandemia.
Pensi che, per la prima volta nella storia, Sandrone non ha potuto tenere il suo Sproloquio dal balcone del Palazzo Comunale, ma ha invitato le telecamere nella “sua” casa di campagna, dove c’era la stalla con le mucche, il somaro e gli animali da cortile. Incredibile, abbiamo trovato una casa che sembrava originale dell’epoca, con una cucina dei primi del Novecento, proprio qui vicino, in via dell’Olmo 1, sull’argine del fiume Secchia. E ringraziamo la gentile signora che ci ha ospitato, una vera rezdora.