CUBA AL BIVIO

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saggista e romanziere cubano in esilio negli Stati Uniti

Gli eventi appena accaduti a Cuba non hanno precedenti nella storia del paese negli ultimi sessantadue anni. A partire dall’11 luglio 2021, e nei giorni successivi, si è levata in tutta l’isola una massiccia rivolta popolare, che ha causato una violenta risposta, come era da attendersi, da parte delle forze repressive della tirannia comunista, con un bilancio ancora indeterminato di morti, feriti, prigionieri e dispersi.

Dal 18 luglio, e in sole due settimane, abbiamo assistito alla morte di sette membri di alto rango dell’establishment militare del regime: Agustín Peña Porres (niente meno che maggiore generale e capo dell’esercito cubano orientale), Marcelo Verdecia Perdomo, Rubén Martínez Puente, Manuel Eduardo Lastres Pacheco, Armando Choy Rodríguez, Gilberto Antonio Cardero Sánchez e Pedro Gerardo Gutiérrez Santos (uno degli assalitori della Caserma Moncada).

Durante i sessant’anni di dittatura, le proteste pubbliche sull’isola sono state numerose e affatto singolari. La più famigerata, nel 1994, è stata l’insurrezione popolare nota come “El Maleconazo”, assieme a altre di minor spessore, anche individuali, come quella nel 1989 a Camagüey che è costata una frattura cranica all’autore di questo articolo. Proprio nello stesso momento in cui ha avuto luogo la Causa Número Uno, nella quale il generale Arnaldo Ochoa, il colonnello Antonio de la Guardia, il maggiore Amado Padrón e il capitano Jorge Martínez Valdés furono condannati a morte tramite fucilazione, mentre gli ufficiali Antonio Sánchez Lago y Eduardo Díaz furono condannati a trent’anni, così come il generale Patricio de la Guardia, il capitano Miguel No, il capitano Rosa María Abierno e l’ufficiale Alexis Lago Arocha. Luis Pineda Bermúdez, Gabriel Prendes Gtmez e Leonelt Estévez Soto, subordinati del maggiore Amado Padrón, sono stati condannati a venticinque anni di carcere.

Il colonnello Antonio Rodriguez Estupiñan, aiutante di campo di Ochoa, ha ricevuto la condanna più leggera: dieci anni di carcere. Senza contare che già nel 1959 il comandante Humberto Sorí Marín fu fucilato e il comandante Camilo Cienfuegos scomparve misteriosamente in mare. A quel tempo, il grado di comandante era equivalente a quello di generale all’interno del regime.

Nel caso delle attuali proteste, le novità consisterebbero nell’estensione della rivolta a tutta l’isola, nella loro mole, nella loro durata e nel coordinamento con cui si sono verificate. Nel caso della morte dei militari, la novità è che non vengono fornite spiegazioni alla causa di queste morti (tranne l’ultima, in cui il defunto aveva 92 anni, una buona età per lasciare questo mondo). Rispetto alle proteste passate, la novità rappresentata dalla recente rivolta è stata la generale carenza di cibo e di medicine in cui tutto ciò è avvenuto, oltre al fatto che Cuba si trova nel mezzo di un dilagare esplosivo del Covid-19, con gli ospedali che sono collassati.

Domenica 1° agosto 2021, le autorità comuniste hanno riportato un nuovo record di decessi nel paese a causa del virus cinese, con 87 deceduti in 24 ore, la cifra più alta da quando è iniziata la pandemia. Fino a domenica, il numero più alto di morti, registrato il 24 luglio, era 80.

Di norma, la portata delle proteste cui abbiamo assistito richiede organizzazione e leadership. Di norma, nemmeno i membri della cupola militare sono disposti a “morire per cause naturali”. Sorgono dunque vari interrogativi: chi ha organizzato e diretto le proteste? Ne seguiranno altre? Chi e perché ha fatto tutto il possibile affinché questi capi militari morissero in questo preciso momento? Sono deceduti lo stesso giorno delle proteste e poi ci hanno somministrato le notizie in giorni differenti? Moriranno altri militari di alto rango? Le proteste sono per caso collegate alle morti misteriose? Queste proteste sono state organizzate dal regime stesso, che in questo modo avanza e controlla le proteste, o sarebbero nate in modo spontaneo per la disperazione di un popolo che non ha più nulla da perdere? O sono state organizzate da una fazione dissidente all’interno dello stesso regime? Le ha organizzate l’ambasciata statunitense all’Avana, magari d’accordo con una fazione dissidente dello stesso regime? Nulla di tutto ciò ha importanza. Ciò che importa è che d’ora in poi niente sarà più come prima. Questo popolo ha mostrato che i suoi figli non temono di morire per la libertà e presto imparerà che i suoi figli non hanno neanche paura di uccidere per la libertà.

Queste proteste hanno chiarito alcune cose. Per esempio, che la leadership dell’opposizione pacifista dentro e fuori dall’isola non è la soluzione, ma parte del problema. Questa leadership non fa altro che domandare: domandano sempre che le persone indifese scendano in piazza e, quando queste lo fanno, sono incapaci di guidare e capitalizzare le proteste. Hanno chiarito inoltre che un popolo indifeso non è in grado di combattere con successo la dittatura comunista che non vuole rinunciare al potere. Il blocco orientale fu smantellato dall’alto e, in Romania, dove la dittatura non decise di smantellarsi, il cambiamento avvenne grazie all’intervento dei militari a favore del popolo.

D’ora in poi, lo scontro dovrà essere clandestino, bisogna invertire l’equazione. La paura devono cominciare a sentirla i repressori, non il popolo, come invece è stato finora.

Sono i repressori che devono iniziare a subire le morti, non il popolo, com’è stato finora. Dall’analisi degli ultimi eventi sembra che il regime si stia frammentando (molte voci sostengono che il genera[1]le Raùl Castro sia passato a peggior vita) e che elementi al suo interno siano impegnati a schierarsi dalla parte del popolo, soprattutto tra i militari al comando delle truppe, i colonnelli che hanno combattuto le guerre in Africa senza i benefici capitalistici della leadership e, per lo stesso motivo, sono affamati come il popolo stesso.

Oserei azzardare che da qui a dicembre potrebbero scatenarsi eventi drammatici che farebbero deragliare la dittatura comunista sull’isola. Una situazione favorevole per lo schieramento nazionalista – dentro e fuori Cuba – per unire le forze in modo da porre fine alla tutela dell’oscuro Deep State nordamericano sui destini nazionali.