PROPOSTE PER LA VALORIZZAZIONE DEL MANIFATTURIERO

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presidente di S.E.F.A. Holding Group Spa, Sala Bolognese (BO)

Ringrazio la “Città del secondo rinascimento” per l’invito e per l’opportunità di parlare in questo
convegno dal titolo Industrial Brain. L’apporto del manifatturiero, fra crisi energetica e transizione ecologica. Io opero nella siderurgia da cinquant’anni e il nostro Gruppo SEFA Holding – oggi costituito da quattro aziende attive nel settore dei metalli e loro trasformazione, S.E.F.A., T.I.G.,S.E.F.A. Machining Center e 3D Metal – commercializza e distribuisce i migliori acciai da utensili ed è il principale distributore per fatturato del Gruppo voestalpine, leader mondiale nella siderurgia. Siamo fornitori di riferimento di importanti industrie italiane, sia per la qualità di acciai e titanio, sia per i servizi che offriamo e per il valore della nostra esperienza. Con i nostri acciai vengono prodotti milioni di pezzi impiegati in tutti i settori industriali, dal packaging all’automotive, al biomedicale, agli strumenti chirurgici, alle protesi, agli aerei, tramite la divisione titanio. Tutto quello che voi toccate oggi nasce dall’impiego degli acciai da stampo. La nostra fornitura copre un terzo dell’Italia e contribuisce a una parte rilevante del PIL nazionale. Oggi il Gruppo SEFA ci consente di essere un osservatorio speciale della siderurgia in Italia, perché interveniamo nel cuore pulsante della manifattura di questo paese, incontrando migliaia di piccole, medie e grandi aziende. Il nostro Gruppo è l’unico distributore privato al mondo e siamo diventati un modello anche per altre realtà della siderurgia europea per la capacità di servire migliaia di nostri clienti.

Il manifatturiero sta attraversando una fase di grande trasformazione interna, anche per l’emergenza della crisi energetica e per la guerra. Da molti decenni la politica del nostro paese non ha difeso sufficientemente gli interessi della sua industria, quindi del paese. Dopo la crisi petrolifera del 1973, ha deciso di mettere in discussione le sue fonti energetiche e di dismettere il nucleare. Oggi, quelle decisioni hanno inciso moltissimo sulla cultura e sulle scelte delle famiglie rispetto all’avvenire dei propri figli: è sotto gli occhi di tutti la continua “fuga di cervelli”, che talvolta si aggiunge a quella delle imprese. Oggi si aggiunge l’aumento dei prezzi dell’energia che rende le nostre produzioni fuori mercato e in alcuni casi siamo costretti ad acquistare merce di qualità inferiore.

In particolare, nella metallurgia noi stiamo registrando costi a doppia cifra perché questa guerra è stata scatenata da parte di alcune potenze, come la Cina, per appropriarsi di materie prime essenziali per l’avvenire del pianeta e dei suoi abitanti. L’Ucraina non è solo “badanti”, ma è un paese ricco di carbone, terre rare, ferro, litio, titanio, nichel, magnesio, manganese, fertilizzanti e materie agroalimentari, con numeri di produzione esorbitanti e che spesso sono stati ignorati dall’Europa. La maggior parte di questi minerali è nel Donbass, anche ricco di un gas nobile, il neon, che si ricava dalla dissociazione della lavorazione dei metalli ed è impiegato in processi importantissimi, come quello medicale, e nella produzione dei microchip. Riguardo all’alimentare, oggi questo paese che ha 46 milioni di abitanti e 1,2 milioni di nuovi nati (in Italia sono fra i 300 e i 350000) è secondo nella produzione di grano, terzo in quella di orzo e granoturco, e primo in Europa e nel mondo in quella di olio di girasole (l’85% arriva dall’Ucraina). Per avere un’idea di cosa significa, per esempio, la produzione in Ucraina di 77000 tonnellate di miele, potremmo dividerle per 25000 chili: immaginate quanti chilometri di autostrade occuperebbero i tir. Nelle materie prime, senza considerare il settore alimentare – con i suoi prodotti quella terra può alimentare più di mezzo milione di persone –, questo equilibrio oggi si è rotto e non si ristabilirà prima di dieci anni, almeno. Dall’Ucraina arriva gran parte delle materie prime che il nostro manifatturiero trasforma e che esporta a sua volta. Oggi ci stiamo accorgendo che l’Ucraina è il primo paese europeo per riserve di carbone, un carbone povero di CO2. Inoltre, il 50-60% del caolino e dell’argilla che importavamo dall’Ucraina ci permetteva di essere leader in assoluto nel mondo per la produzione delle lastre di ceramica.

In particolare nel settore dei metalli, le imprese italiane stanno subendo un grosso contraccolpo da questa guerra. Le sanzioni contro la Russia da febbraio scorso impediscono ad alcune grandi industrie siderurgiche d’importare milioni di tonnellate di lamiere. Questa situazione ha trovato il nostro paese ancora più sbilanciato, perché non abbiamo più fonti di approvvigionamento come era l’Ilva, l’ex azienda di Stato Italsider, in cui nel 2012 si producevano 25 milioni di tonnellate di prodotti siderurgici. Oggi, in Italia ne produciamo 20 milioni in meno. In questo paese non abbiamo avuto rispetto della qualità del nostro manifatturiero, per esempio nel settore auto, in quello delle trasmissioni o in quello degli ingranaggi, perché qualcuno non ha inteso che l’acciaio è un elemento essenziale per ciascun aspetto della vita.

La siderurgia è anche uno dei settori più energivori, assieme a quelli delle ceramiche, del vetro e di altri comparti manifatturieri, come l’industria del freddo per l’alimentare. Con il fotovoltaico si può fare poco, ma si potrebbero utilizzare l’idroelettrico, l’eolico e il nucleare, che importiamo dalla Francia. Sono queste le fonti di cui disponiamo oggi. Nei prossimi dieci anni si utilizzerà sempre più l’idrogeno, ma non sarà semplice da gestire il fattore sicurezza, perché non è come aprire il rubinetto dell’acqua. La siderurgia serve a costruire case, ponti e tutte le infrastrutture di un paese, per esempio tutti i ponti della Bologna-Rimini sono costruiti con il ferro. Ma oggi, se l’impianto di un’azienda siderurgica non è performante, perché consuma molta energia e i volumi sono sempre più ridotti, lo si chiude, quindi è necessario importare acciai da altri paesi, come Cina, Corea, Turchia e India, che però sono anche quelli più inquinanti.

Eppure, il collante sociale di un paese bellissimo come l’Italia è proprio il manifatturiero, con operatori bravissimi e con 27 distretti di eccellenza mondiale. Oggi l’impresa va curata come si cura un bambino, facendo crescere culturalmente gli uomini che vi lavorano (altro che fuga di cervelli!). Questi uomini sono un elemento importantissimo per le nostre imprese. L’altro grave problema è il nuovo equilibrio mondiale nella fornitura di materie prime. La transizione ecologica ha creato un conflitto sotterraneo, per recuperare tutte le materie prime che servono al settore dell’intelligenza artificiale. Di questo passo speriamo di non perdere la nostra intelligenza! La transizione ecologica, e l’auto elettrica in particolare, sarà la terza emergenza dopo il Covid e la guerra, perché per costruirla sono impiegati 700 pezzi, mentre in quella tradizionale sono 1500, ciò significa che avremo meno posti di lavoro, gettando sul lastrico migliaia di famiglie. E tutto questo grazie all’auto elettrica, che poi qualcuno dovrà comprare, lavoro permettendo. Senza contare che il litio della batteria di queste auto è in mano ai cinesi per l’80%.

Tutti hanno acconsentito al potere politico di promuovere sordamente l’onda dell’ecologia. Io non entro nel merito, perché non so se lo scioglimento dei ghiacciai è dovuto a un mio atteggiamento o all’avanzare di una nuova era geologica, però la cosiddetta transizione ecologica fatta in questi termini sta diventando transizione alla miseria, in termini di posti di lavoro e di qualità della vita. L’unico paese che sarà capace di sfruttare questa transizione ecologica è la Cina, che peraltro non ha ancora aderito agli accordi internazionali sul clima.

In questa fase è allora necessario dare alle imprese la possibilità di abbassare almeno del 30-40% il costo dell’energia. Inoltre, occorre togliere il “numero chiuso” per l’accesso alle università, perché noi abbiamo bisogno di medici, di ingegneri e di rilanciare la scuola tecnica. Poi, è vitale intervenire nelle infrastrutture del paese. Non è possibile attraversare una città come Bologna, impiegando un’ora e mezza nel tragitto da San Lazzaro a Casalecchio di Reno, bloccando la viabilità alle 5000 macchine e camion che transitano nelle ore di punta. Per forza che la tangenziale è intasata! Ma questo inquinamento è causato dalla mala gestione della viabilità e dalle infrastrutture non costruite. Occorre, ancora, che il settore del credito sia più elastico e conceda fiducia alle aziende manifatturiere. Poi, è importantissimo che siano favorite le condizioni per approcciarsi al lavoro manifatturiero, in modo che la tradizione e la cultura della nostra manifattura non si perda. In Italia, però, questa trasmissione avviene con costi troppo alti, quindi le imprese preferiscono licenziare chi ha raggiunto l’età pensionabile e assumere giovani, perché costano meno. La manifattura ha necessità d’impiegare e valorizzare cervelli, ma domanda e offerta di lavoro in Italia spesso non riescono a incontrarsi, anche a causa d’interventi politici come “il reddito di cittadinanza”. È essenziale, allora, ridurre l’ingente carico burocratico che grava sulle imprese, in modo che invece possano investire nell’industrial brain, nella valorizzazione dei cervelli, dando un contributo di civiltà ai cittadini e all’avvenire del paese.