L’IMPRESA ITALIANA MERITA INFORMAZIONE, NON FAKE NEWS
Le aziende del Gruppo S.E.F.A. Holding – SEFA, TIG, 3D Metal e SEFA Meccanica – confermano il trend di crescita con una proiezione di fatturato che supera i 45 milioni di euro. Benché in Italia la siderurgia abbia attraversato molte difficoltà, lei è fiducioso sul suo rilancio. Perché?
Il settore siderurgico è stato fortemente penalizzato dagli stravolgimenti della guerra, perché moltissime materie prime provenivano da quel bacino minerario che è l’Ucraina. Quindi tutti i materiali ferrosi, compresi alluminio, titanio e semilavorati, escluse terre rare e litio, erano importati da quel paese mentre ora siamo costretti ad acquistarli da altri. A questa emergenza si è aggiunta la crisi energetica, che ha contribuito all’aumento dei costi delle produzioni industriali.
Nonostante tutto questo e la chiusura di fonti di produzione di acciai in Italia, la nostra siderurgia non sta cedendo: l’area bresciana è molto attiva e dinamica nella produzione di tubi e di acciaio per edilizia, i famosi tondini; in Emilia abbiamo stampatori per semilavorati in acciaio destinati alla produzione di macchine agricole, ingranaggi, trasmissioni e oil&gas e un impianto fusorio a Rubiera. In Italia, poi, abbiamo il Gruppo Marcegaglia, per esempio, che, da importatore e distributore, sta diventando anche produttore di acciaio, con alcune acquisizioni mirate nei paesi dell’area scandinava. Un altro leader del settore è Arvedi, cui si aggiungono Terninox, leader negli acciai inossidabili, e Acciaierie Valbruna. In questo paese, quindi, abbiamo una tradizione che non è assolutamente finita e che continua a difendere gli interessi di un paese che ci auguriamo possa dirsi civile, in crescita e democratico – fintanto che, attraverso l’industria, sarà ancora in grado di produrre posti di lavoro –, nonostante gli equilibrismi del cosiddetto sistema paese.
Cosa intende per “sistema paese”?
Il sistema di potere tende a promuovere politiche funzionali alla sua sopravvivenza, in particolare a quella degli apparati. La mentalità del “sistema paese” ha avuto come effetto quello di mettere in ginocchio il più importante stabilimento siderurgico d’Europa, l’ex Ilva, oggi Acciaierie Italia. A Taranto, dopo dodici anni di politiche scellerate, gli apparati non hanno trovato ancora una soluzione ai vecchi problemi. Oggi, però, dopo le difficoltà del 2012, il comparto siderurgico pugliese è entrato in fase di rilancio, ma rimane il conflitto di interesse tra ArcelorMittal e Cassa Depositi e Prestiti, fra privato e Stato, per la mancanza di direzione industriale da parte della politica, sempre poco attenta ai nostri interessi nello scacchiere internazionale. In Italia, le stesse difficoltà sono condivise da altri settori produttivi, come per esempio l’automotive. Soltanto negli anni duemila producevamo circa 1.200.000 auto, mentre oggi sono appena 250.000. In questo caso avrebbe contato moltissimo acquistare i coils quasi a chilometro zero, piuttosto che dalla Corea.
Attualmente, manca la produzione di acciai speciali da utensili e di prodotti aeronautici. Questo è emblematico, perché non è stata attuata una politica che favorisse la trasformazione, se non in un impianto della Cogne di Aosta, che però ora fa parte di una multinazionale. La distribuzione degli acciai da utensili è coperta da importatori come noi, esclusivisti di Uddeholm, poi dalla voestalpine e dalla Böeler. Sono nicchie di mercato di grande qualità e prestigio internazionale. Poi, abbiamo un fiore all’occhiello dell’industria siderurgica di questo paese che è Danieli & C. Officine Meccaniche Spa, già noto nel mondo per la produzione di impianti siderurgici di altissimo livello.
Quali sono le fake news con cui, dal 2012, in Italia è stato portato avanti il tentativo di smantellare la sua tradizione siderurgica?
L’impresa non vive di false notizie o di luoghi comuni, ma ha bisogno di confrontarsi con progetti reali, perché programma gli investimenti nel lungo periodo. Aggredire la siderurgia, tacciandola di reato d’inquinamento o come industria di morte, è stato un modo gravissimo per screditarla. La siderurgia non si può fare secondo processi “bio”, perché esige precise condizioni per produrre, ha bisogno di determinati tempi di sviluppo e di maturazione. Per costruire un impianto siderurgico e coglierne i frutti, per esempio, occorrono almeno cinque anni. Dopo il 12 agosto 2012 i media facevano vedere i tetti delle case – che il Comune di Taranto aveva costruito quasi all’interno dell’Ilva – coperti dalla polvere nera. Ma le istituzioni locali e nazionali avrebbero potuto gestire meglio le relazioni con quell’industria. La messa in onda di immagini di morte ha fatto molto male al paese, complice il compromesso fra politica e giornalismo che è stato devastante per un settore assolutamente strategico per l’Italia.
Io ho visitato altre acciaierie in Europa e posso garantire che, con le dovute precauzioni, le imprese e gli imprenditori che amano il proprio paese e il proprio lavoro riescono a collaborare con le autorità, sempre che non siano ricattati dagli apparati di potere. Notizie come queste si traducono in un danno incalcolabile per tutta la comunità. Oggi, se l’impresa non produce, deve andare all’estero per comperare in contanti i semilavorati da trasformare, disperdendo risorse economiche che sono essenziali invece per il nostro paese. Poi, soprattutto, fra i danni della comunicazione ideologica c’è anche la perdita della cultura manifatturiera, perché oggi abbiamo la necessità d’impiegare uomini che mettano a frutto la propria intelligenza, l’esperienza e la tenacia tanto preziose in questo settore.
Perché in Italia i processi industriali sono ancora tabù per i cittadini?
Sicuramente è in atto un attacco ideologico al fare in generale, tant’è che chi fa in questo paese è messo alla gogna mediatico giudiziaria. Quindi, non si tratta soltanto dell’attacco alla siderurgia o alla grande industria, perché gli effetti si ripercuotono negativamente su tutto l’ambito produttivo. Le grandi aziende mostrano indifferenza alle fake sull’industria soltanto per garantirsi la cosiddetta pace sindacale, mentre tutte le piccole e medie imprese – che sono la gran parte del tessuto produttivo – devono sopperire alla mancanza di decisioni in tempi rapidi da parte della politica.
Negli anni settanta, ho avuto la fortuna di vistare impianti come quelli di Piombino, della Breda e della Falck di Sesto San Giovanni. Se oggi entriamo negli stabilimenti di industrie di questo tipo e confrontiamo gli impianti con quelli dell’epoca, non sembra nemmeno di entrare in uno stabilimento di produzione siderurgica, tanto sono stati migliorati tutti i processi. Se poi andiamo a visitare alcune eccellenze europee del settore, come Uddeholm – di cui siamo distributori esclusivisti da oltre quarantacinque anni –, tocchiamo con mano quali sono stati gli investimenti negli ultimi quindici anni in Svezia per recuperare le polveri e il calore delle fornaci, l’acqua per i raffreddamenti, e così via, in modo da non inquinare l’ambiente. Moltissimi impianti Uddeholm non emettono fumi e polveri, che sono invece recuperati con grandi aspira tori e poi smaltiti. Inoltre, i laghi del Värmland, vicini all’acciaieria, sono stati resi balneabili e pescabili. Oggi, le acciaierie che inquinano sono in altri paesi del mondo.
Il “mondo del lavoro” è sempre stato una questione in Italia. Da cosa dipende, secondo lei?
Il problema è che il paese, per quanto abbia alti costi di produzione, si trascina dietro una miriade di problemi sociali da parte di cittadini che non producono ricchezza e oggi l’industria non riesce ad avere marginalità da investire, oppressa da un sistema fiscale e di welfare costosissimo. Inoltre, oggi in Italia è molto difficile acquisire terreni che siano edificabili per costruire nuovi capannoni e, quando si trovano, sono venduti a cifre da capogiro. Ai nostri competitor in Germania costano la metà. A questo si aggiunge la crisi demografica in atto, per cui anche gli operatori del settore non sono sostituibili. Un lavoratore extracomunitario, per fare un esempio, spesso arriva in Italia senza alcuna formazione e proviene da una cultura non industriale, che lo rende incapace di montare macchine automatiche. Inoltre, il deficit di competenze tecniche è dovuto anche a scuole tecniche che arrancano e a una sempre più diffusa sub cultura del lavoro, che invita a non sporcarsi le mani e a non mettersi in gioco. Le fake news, quindi, sono soprattutto quelle dei luoghi comuni radical-chic che pretendono di raccontare soltanto cose buone e belle senza chiedersi come si ottengono davvero: non si può continuare a raccontare alle persone che è possibile sedersi a tavola senza portare niente e senza dare il proprio contributo! Questa idea del sociale ricorda molto i sistemi totalitari, in cui per vivere è necessario affidarsi ai sussidi di stato, accettando di non mettere a frutto l’ingegno del fare.
Ciascun giorno voi continuate a consigliare come fornitori aziende emiliano-romagnole, in modo che queste continuino a investire nella regione, anziché trasferirsi all’estero…
Anche qualche giorno fa ho segnalato un’azienda che continua a investire in Italia. Il nostro Gruppo è sempre stato sensibile su questo tema. Ma, soprattutto, quello che conta per noi è che i clienti si sentano partecipi dello sviluppo della regione. La siderurgia resta la base dello sviluppo del paese non soltanto in termini di lavoro, ma anche in termini di democrazia: quando ciascuno lavora non ha tempo per i personalismi, perché è impegnato a fare.