IDENTITÀ E LIBERTÀ

Qualifiche dell'autore: 
già presidente del Parlamento israeliano e dell'Agenzia ebraica, cofondatore di Peace Now

Dopo essersi ritirato quattro anni fa dal parlamento israeliano, lei ha proseguito il suo impegno politico per il dialogo tra israeliani e palestinesi e ha pubblicato vari saggi e libri, in particolare sul concetto d’identità. Può parlarcene, magari con particolare riferimento alla realtà d’Israele oggi?

Nei tempi antichi, l’identità era una questione semplice: si trattava di essere greco, romano e così via. Oggi, l’identità è una realtà stratificata: si può essere femminista, ambientalista, ebreo e umanista, e dare enfasi, in ciascun caso, al proprio essere. Noi viviamo in una realtà incredibile. Da una parte, abbiamo inventato il telescopio con cui osservare le più lontane galassie, dall’altra, abbiamo inventato il microscopio elettronico con cui scrutare le nanoparticelle della materia. Nello stesso momento, possiamo guardare lassù e quaggiù, in alto e in basso. E, improvvisamente, la moderna identità diventa l’abilità di essere telescopico e microscopico nello stesso momento. Devo essere quadrangolare come un telescopio per guardare sia l’intero pianeta e sia là dove trovo la mia appartenenza.

L’identità, la religione, la libertà. Che cosa sono? Se si pone questa domanda in Italia, si riceverà una risposta. Se si chiede la stessa cosa in Australia, si potrà ricevere la stessa risposta oppure una risposta differente, ma, quando si fa questa domanda in Israele, la risposta potrebbe essere veramente molto complessa. Per duemila anni, il popolo d’Israele non ha avuto una continuità di generazione in generazione. È come se avesse saltato un passaggio. Da una parte, deve vivere come tutti i popoli del pianeta e, dall’altra, deve costruire un passato. Non deve costruire solo un presente e un futuro, ma anche un passato. È una sfida incredibile. A volte ci riesce, altre volte no.

Io viaggio spesso per il pianeta e leggo molto, ma alla fine della giornata riconosco di non riuscire a trovare un luogo altrettanto affascinante quanto Israele. È un macrocosmo di realtà: immigrazione dall’ovest, dall’est, dal sud e dal nord, religione, fede, modernità, secolarizzazione, scienza e teologia. Tutto questo in ventitremila chilometri quadrati. È fantastico. È il posto più affascinante del pianeta. Talvolta è difficile viverci, ma è qui la sfida.

Quattro anni fa ho lasciato la politica. In ciò che stava accadendo allora, sentivo che Israele è, sì, un paese politicamente efficiente e persino fantastico, ma senza alcuna previsione. Io provengo da una discendenza ebraica e rabbinica, quindi, sono sempre stato coinvolto in riflessioni teologiche e di altro genere, scrivo anche di teologia. Mi sono detto che non andava bene, se la politica ebraica non ha orientamento né previsione, non va bene. Così, mi sono ritirato a pensare, cosa abbastanza rara per un politico.

Scrivo libri intorno alle questioni dell’identità e della realtà complessa tra spiritualità, psicologia e politica. Vivo tra Israele e altri stati e, nel tempo che mi rimane, sono un uomo d’affari, ho la più grande impresa di lavorazione di frutta e verdura del paese. Il prossimo anno, ho intenzione di valorizzare questa esperienza costituendo aziende in Africa, in modo che le persone che abitano lì possano dirmi: “Sono una vittima del passato, ma voglio aiutare l’economia per le vittime di oggi”.

Quali sono i suoi programmi per quanto riguarda la scrittura?

Io scrivo per me stesso. Scrivo di ciò che mi preoccupa e cerco di trovare risposte. Sei o sette anni fa, è accaduto che mi sono svegliato, una mattina, ed ero molto arrabbiato. Eravamo nel mezzo dello spargimento di sangue tra noi e i palestinesi e nessuno diceva nulla. Pensavo che avrei avuto una crisi. Ero molto arrabbiato e lo ero anche con mio padre, che era morto cinque anni prima. Viveva in Israele ed è morto nel 1999. È stato ministro degli Interni per quarant’anni ed era considerato uno degli uomini più saggi d’Israele, era un filosofo, un grande uomo e una persona meravigliosa, ma non scrisse mai una parola. Quando mi sono svegliato nel pieno della mia crisi, volevo sapere, ho cercato di capire perché ero così arrabbiato e mi sono reso conto che stavo chiedendo a mio padre perché non avesse mai scritto un libro. Così, mi sono seduto e ho incominciato a scrivere un libro per i miei figli. Voglio che sappiano che cosa penso riguardo a Israele. Il mio primo libro s’intitola Dio è tornato e tratta della dimensione religiosa dei conflitti mondiali. Il secondo libro, Sconfiggere Hitler, parla dell’onnipresenza dell’olocausto nella nostra vita e nella vita dell’occidente. Cerco di esplorare le possibilità, per il mio popolo, di passare dal trauma alla fiducia.

Ho appena terminato un libro che sarà pubblicato in Israele il prossimo anno. Parla della nuova interpretazione dei cinque libri di Mosè. Io credo nell’importanza di tramandare la tradizione trasponendola dai testi antichi al nostro attuale modo di vivere. Così, il mio lavoro è quello di dare una lettura differente dei testi antichi, in cui si trova scritta la nostra tradizione.