LA QUESTIONE GIUSTIZIA IN ITALIA

Qualifiche dell'autore: 
storico, giornalista, scrittore

La questione giustizia in Italia non è una questione filosofica o morale, o solo una questione di efficienza. Come la questione scuola in Italia, come la questione mass media in Italia è, e lo dico da storico, un corollario importante della questione comunista, la questione irrisolta, mai affrontata, di questo paese. Che cosa vuol dire questo? Vuol dire che, nonostante siano state cambiate tante volte le sigle e si dica che il comunismo è finito, la semina fatta dal ’45 in poi ha dato i suoi frutti e quei frutti, ancora, in un certo senso, creano l’Italia delle patologie. Io non voglio dire che andava fatta una Norimberga in senso penale, ma quantomeno una Norimberga culturale. Avremmo dovuto, cioè, dire e parlare di cosa era stato il comunismo in Europa e di cos’era stato il comunismo in Italia. Avremmo voluto parlare con i comunisti, con i post, con gli ex, con quelli che poi hanno detto di essere diventati altro, di tutta una serie di nodi che non sono mai stati affrontati. È prevalsa la strategia dell’oblio in questo paese, da un giorno all’altro è successo che il comunismo non c’era più, anzi, si è appreso a un certo punto che non c’erano neppure i comunisti, anzi, che non c’erano mai stati. Attenzione, però, sull’oblio non si costruisce nulla. Sull’oblio si creano soltanto pasticci, soltanto deliri.

Andiamo alla questione giustizia. Mentre Amleto e Shakespeare ci pongono un problema assoluto, se sia possibile la vera giustizia o se la giustizia non sia potere, noi siamo molto più umili, per noi la giustizia è semplicemente una organizzazione, una macchina di autodifesa della polis: noi dalla giustizia non ci attendiamo la giustizia assoluta, ma semplicemente che serva a custodire e a preservare i nostri valori fondanti, per esempio, la libertà e la proprietà privata. Questa è umanamente, prosaicamente, modestamente, la giustizia. Ogni polis si avvale di un potere conservatore, perché la giustizia non può che essere un potere conservatore e a difesa della polis esistente.

Ma da qui viene il corollario culturale, politico, ma alla fine anche strutturale di una questione comunista nella giustizia. Nel ’68 si ha in Italia un sommovimento in vari campi e, ovviamente, anche nella giustizia. Un movimento che già c’era, ma che aveva un connotato laico, socialista, progressista, dal 1969 assume un conclamato e compiaciuto connotato di classe. Stiamo parlando di un fenomeno specificamente italiano, che in ogni altra parte del mondo civile o arretrata, anche nei luoghi più sperduti, susciterebbe scalpore: per la prima volta al mondo, noi abbiamo avuto dei magistrati che si proclamavano pubblicamente anti sistema. Una mostruosità: il magistrato – che di per sé è il conservatore – che dice: “Sfrutto qualsivoglia articolo di legge che possa darmi spazio per interpretarlo in qualche modo, perché il mio fine non è quello di dare la giustizia qui e subito, in nome di alcuni valori fondanti la polis esistente, ma dare una giustizia in nome di altri valori opposti e configgenti, in nome della polis che ci sarà, una polis proletaria”. E a questo seguono congressi, ma anche fatti, perché non stiamo parlando soltanto di parole, che già sono gravi in se stesse, ma di fatti.

Questo s’innesta su un altro aspetto della questione comunista. A Mosca ci sono i documenti di un ordine preciso di Stalin, il quale dice che, per quanto attiene all’occidente, e ai paesi che fanno parte della sezione che a Ialta è data agli alleati, non c’è spazio per la rivoluzione, che semmai è un punto di arrivo a futura memoria, ma c’è la guerra di posizione. Non è opera di Gramsci, ma un ordine preciso di Stalin. Quando Togliatti arriva in Italia e proclama il partito nuovo, in realtà non fa che continuare a fare quello che ha sempre fatto, ubbidire a Stalin. E quindi l’infiltrazione avviene dovunque sia possibile. Così, con tanti problemi che attengono alla giustizia di un paese massacrato da due guerre, l’unica cosa che il guardasigilli di Togliatti fa, ed è decisiva, proprio nel senso della guerra di posizione, è affrancare completamente il pm dall’esecutivo. Anche questa è una cosa unica al mondo. È verissimo che il magistrato deve essere autonomo e indipendente, in tutto il mondo il giudice deve essere sempre più autonomo e indipendente, ma non il pm. Il pm è una parte, che rappresenta la polis, la difesa delle regole, ma anche valori che attengono a quel regime, a quella res publica. Ebbene, con la guerra di posizione, con l’infiltrazione si arriva non soltanto alle parole, ma anche ai fatti. Ci sono stati in Italia magistrati che hanno assolto con questa formula: “Visti gli articoli x, y, z e disattesi, si assolve”. E quando si assolveva? Quando ad esempio c’erano state violenze in piazza, picchettaggi violenti in fabbrica, quando erano stati picchiati e sequestrati non gli Agnelli, i padroni, ma l’operaio che, avendo cinque figli, aveva bisogno di lavorare e quindi non accettava più lo sciopero. Davanti a questi reati interveniva il giudice, mostro, insisto, perché era contrario al suo ruolo, che disattendendo assolveva.

Ma tante cose non vi sono mai giunte proprio perché un altro campo in cui la guerra di posizione ha funzionato alla grande è stato quello dell’editoria e dei media. Per esempio, nessuno vi ha mai raccontato che cosa succede a proposito di critiche ai giudici, a proposito di delegittimazioni. Oggi, se uno fa una critica a un magistrato, il giorno dopo il CSM, l’ANM, i singoli giudici insorgono: “Ah, qui si sta delegittimando il sacro ruolo”. Ma non è così, infatti, i comunisti hanno fatto molto peggio e non è successo mai nulla. Nel 1972 – altro che critiche ai magistrati! –, CGL, CISL e UIL del settore metalmeccanico, dinanzi non soltanto ad alcune sentenze, ma anche soltanto all’apertura di indagini a carico di operai e sindacalisti violenti, insorgono: “Bisogna farla finita con questa giustizia di classe”, e cosa fanno? Stendono una vera e propria scheda informativa in cui chiedono agli operai stessi che sono in causa, agli avvocati democratici e ai magistrati democratici, informazioni, anche anagrafiche, a carico dei giudici che hanno aperto indagini sugli operai e sui sindacalisti che hanno commesso reati. È una cosa gravissima, e nessuno insorge. Guarda caso, poco dopo si apre la stagione del sequestro Sossi e, poi, dei magistrati ammazzati come cani dalle BR.

Vi voglio dire un’ultima chicca, perché io sono uno storico, e mi occupo della giustizia perché ormai la giustizia in Italia è diventata un fatto epocale, che passerà alla storia proprio per la sua mostruosità. Due anni dopo, nel 1974, c’è una campagna furiosa, continua, incessante dei magistrati democratici, attraverso riviste, convegni e dibattiti, contro un magistrato di Genova. Il magistrato si chiamava Coco. Una campagna forsennata. Accusato di essere servo ovviamente della borghesia – pensate un po’, in un paese fondato sulla proprietà privata un giudice viene accusato perché difende principi borghesi. Accuse terribili. Coco viene ammazzato con la sua scorta insieme a due poliziotti e i giudici democratici, proprio per dare l’ultimo tocco, scrivono un articolo in cui dicono che l’omicidio Coco è un omicidio fascista. Era stato firmato dalle BR, Coco era nel mirino di tutta la sinistra e alla fine viene fatta passare come un’operazione fascista. Quando parlo di Coco, quando parlo della scheda con le notizie sui giudici, non sto parlando di cose ormai concluse. La storia ha delle ere che sono concluse e ne ha altre che sono sempre vive. Sono ancora vive, come mostra il mio libro, Storia di un processo politico, che racconta nove anni di una persecuzione giudiziaria contro Berlusconi che non ha precedenti nel mondo.

Noi abbiamo avuto in Italia due brevetti politici. Da un punto di vista politico non siamo un paese molto creativo, ma abbiamo due brevetti unici al mondo: abbiamo inventato il fascismo, un prodotto squisitamente italiano, e il “Manipulitismo”, una cosa unica al mondo. In nessun paese un’inchiesta giudiziaria di cinque pm ha cancellato i partiti democratici, che bene o male avevano dato all’Italia mezzo secolo di libertà e di benessere, con diecimila critiche da fare, certamente. Ma questi partiti non vengono cacciati via dal voto, bensì da una cosa singolarissima, un’alleanza organica tra procure e mass media, una sintesi bestiale e micidiale contro cui non c’è difesa.

Ognuno, se un giorno ha la sventura di capitare all’interno della morsa giornalista-pm, non si può nemmeno difendere perché è condannato in piazza, è condannato quando le indagini sono ancora addirittura all’inizio. Poi, se un giorno sarà assolto, ormai la sua vita è stroncata, la sua professione sarà stata marcata in modo indelebile. Per questo io, umile storico, ho abbandonato il saggio storico vero e proprio e ho pensato di raccontare, con questo libro, la storia in diretta, in fieri, perché questa è storia. È successo anche in Germania, anche in Francia, che abbiano fatto indagini su qualche ministro, ma poi è finita lì. Hanno fatto indagini su Kohl, lui si è dimesso, ma il suo partito è ancora il più importante in Germania, attualmente è arrivato al 50%. “Mani pulite” esplode e diventa incoercibile, quando avvengono due cose importanti: la sintesi coi mass-media e l’intesa cordiale tra toghe rosse e toghe corporative. A quel punto nasce un’altra cosa mostruosa in Italia: un potere, che in realtà era un ordine – perché con la Costituzione si tratta di ordine giudiziario –, un ordine che è diventato potere, ma a questo punto si accorge delle virtualità ulteriori che sono davanti a esso e incomincia con violenza a invadere, a sbattere quasi con violenza incredibile sugli altri poteri. Come accade ancor oggi, come mostro nel mio libro.

Vorrei aggiungere una chiosa. È ovvio che è importante scrivere libri e articoli su un personaggio in vista, ma, scrivendo, io ho in mente non tanto Berlusconi, ma sopra tutto il signor Rossi. Voglio dire l’ultima sui signori Rossi di cui non si parla, perché ultimamente la stampa evita di affrontare certi temi, che sono invece affrontati sulla mia rivista “Il giusto processo”, cui vi esorto a abbonarvi, perché siamo in pochi a fare una storia del genere.

Ebbene, c’è stato un pm a Palermo, il quale ha operato un fermo di un signor Rossi. Il fermo per legge bisogna farlo convalidare entro quarantott’ore da un gip, perché soltanto il giudice può far fare indagini. Il pm non lo fa, il cittadino rimane in carcere oltre un mese sine titulo, senza sapere nemmeno il perché. Il caso finisce davanti al CSM. Il pm non nega, perché il fatto c’è, dice soltanto che, ogni tanto, in ufficio c’erano problemi, c’erano arretrati, poi c’era un segretario nuovo. Il CSM ha detto che era normale, che non era un comportamento illecito del pm che un cittadino stesse in carcere oltre un mese senza ragione. È importante questa cosa che sto dicendo, pressoché da solo: a me del singolo giudice non importa niente, ma ha colto un sintomo, che io provo a fare capire.

 (I testi di Giancarlo Lehner e Luigi Giuseppe Villani qui pubblicati sono tratti dal dibattito tenutosi a Parma il 3 ottobre 2003, organizzato dal Circolo “Kairòs” di Parma)