LE RAGIONI DEL MONUMENTO

Qualifiche dell'autore: 
ingegnere, docente di Tecnica delle Costruzioni al Politecnico di Milano

Sono grato ai relatori che mi hanno preceduto, ciascuno dei quali ha notato sfaccettature differenti della mia attività di restauro strutturale ed ha evocato il rispetto, l’accessibilità e anche il coraggio che, in qualche caso, si può riscontrare nei miei interventi.

Questa sera abbiamo parlato dell’importanza di considerare l’intero centro storico come un monumento, abbiamo parlato delle nuove frontiere del restauro, delle difficoltà che esso comporta, insieme all’amore e alla passione, e dei tanti aspetti che fanno parte del mio modo di agire e che in questi anni mi hanno visto sperimentare nuovi criteri, combinando didattica, ricerca e operatività. Pensando ai contenuti di un seminario che sto preparando per Barcellona, per esempio, mi sono rivisto nella mia passione per i modelli, e parlo della modellazione fisica, non soltanto di quella numerica, alla quale noi ingegneri siamo chiamati spesso. La modellazione fisica passa attraverso un modo assolutamente immediato, diretto, di andare all’essenziale delle cose. Ecco, dunque, che appena è possibile cerco di andare nella direzione dei modelli, per rendere chiaramente e per spiegare, senza “filtri”, ciò che intendo eseguire.

A proposito di didattica, ricordo una bella esperienza di alcuni anni fa, proprio a Modena: un corso di otto giorni tenuto a un gruppo d’ingegneri e di architetti, sul tema del restauro. Ci divertimmo molto a confrontare i diversi approcci, e divertirsi in modo operativo nel nostro lavoro è molto importante, così com’è importante fare interventi garbati e mantenere un equilibrio costante, ricordando che ciascuna struttura che affrontiamo nel restauro è più vecchia di noi e dobbiamo incessantemente e necessariamente chiederle che cosa vuole. Sicuramente non possiamo trascurare l’innovazione – non saremmo bravi ingegneri e architetti se ci limitassimo a riproporre esclusivamente cose già fatte o prevedibili –, ma occorre tenere conto dell’unicità del monumento e intervenire in modo specifico e rispettoso, con piena coscienza e conoscenza dell’antico.

In anni di esperienza ho avuto modo di constatare che occorrono interventi efficaci, non invasivi, reversibili, necessari. La nuova struttura, la struttura affiancata a quella esistente, non deve solamente limitarsi a supportarla, deve convivere con essa. Quindi, il fatto di essere visibile, riconoscibile, anche se non ostentata, è altrettanto importante. Questo criterio di conservazione prudente deve essere anche capace di scelte innovative. Spesso emergono incomprensioni con le soprintendenze, proprio perché novità come “l’arco armato”, per esempio, accanto alla curiosità, in un primo momento possono suscitare perplessità. E allora è necessario passare attraverso la verità sperimentale, attraverso prove concrete e semplici.

Ricordo un episodio in cui il Comune di Milano aveva previsto di eliminare da una chiesa settecentesca ben sette capriate, giudicate incapaci di sostenere i pesanti carichi della copertura. Provammo a mettere un puntello, ma ci accorgemmo che avrebbe scardinato la struttura sottostante. E, allora, applicando il criterio del “primum non nocere” abbiamo introdotto dei cavetti al di sotto di questi puntelli riuscendo a contenere, accogliere e trasferire i carichi in posizioni ottimali. Così la struttura originaria e autentica è rimasta esattamente la stessa senza alcuna sottrazione e con la semplice aggiunta di alcuni cavetti. Mi pare bello che questi cavetti possano essere visti, allo stesso modo in cui possono continuare a vedersi le capriate e il sottotetto. Essi costituiscono un piccolo filtro aggiuntivo, quello del tempo e delle tecnologie che mutano; costituiscono un’aggiunta posizionata in modo da non celare l’esistente, che deve essere rispettato. Il rispetto, molto spesso, passa attraverso dettagli. Occorre introdurre strutture leggere, in grado tuttavia di modificare in modo efficace il comportamento delle strutture preesistenti e renderle utilizzabili e accessibili.

Lasciare a vista gli elementi di collegamento e contemporaneamente dare accessibilità alla struttura sono aspetti essenziali per la manutenzione e per eventuali interventi successivi. L’accessibilità e la visibilità in architettura non hanno prezzo, perché consentono a chiunque di verificare quali sono state le nostre conclusioni e le nostre scelte, anziché fermarsi a supposizioni intorno all’esistente. Penso che la visibilità dell’intervento sia una questione legata alla dignità dell’uomo che lo ha eseguito, insieme a quella del monumento.

Tra le soluzioni che ritengo interessanti ricordo quella realizzata per rinforzare un solaio in un edificio di Voghera, dove abbiamo aggiunto due nuove travi alle due esistenti, costituendo un “graticcio”, e abbiamo aiutato tutte e quattro con cavi esterni di collegamento, posizionati al di sotto, anche in questo caso riconoscibili e visibili. Con questo intervento di semplice aggiunta, che non ha modificato l’esistente, abbiamo trasformato un solaio su cui si riusciva a malapena a camminare, in una struttura aperta al pubblico, che sopporta 500 kg al metro quadrato.

Un altro esempio riguarda una torre in muratura nella città di Mortara, le cui pareti si stavano “cartellando”, ossia dove lo strato superficiale stava separandosi da quello più profondo. Si è trattato d’inchiodarle, con garbo, alla struttura sottostante. In casi come questo si cerca di operare un “confinamento”, cioè di contenere la muratura, quasi di abbracciarla, in modo da impedirle di collassare e di consentirle di sopportare carichi maggiori.

In alcuni casi di restauro di torri medievali, abbiamo realizzato vere e proprie “torri nelle torri”. Esemplare è il caso della torre San Dalmazio di Pavia, in cui, sfruttando lo spazio interno alla nuova torre metallica, è stato inserito addirittura un piccolo ascensore, utilissimo per gli stessi lavori di montaggio e manutenzione della struttura, ma anche per ragioni didattiche: ciascun anno, infatti, accompagno i miei allievi della scuola di specializzazione in restauro dei monumenti a visitare l’interno della torre.

Se la didattica, la ricerca e la professione hanno la possibilità di procedere insieme, come nel mio caso, ritengo che sia una grande fortuna, perché importanti suggerimenti vengono anche dalle domande degli studenti, così come dalle strutture stesse e dalla sperimentazione in grande e in piccola scala.

Soluzioni interessanti vengono infatti dai modelli che, per quanto semplici, fanno capire un’infinità di cose. Altrettanto importante è sapere chi e come ha realizzato una struttura. Sono informazioni essenziali per procedere con il rispetto dell’esistente. Essenziale poi la fase diagnostica e soprattutto le ispezioni in situ, per prendere in considerazione ciascun particolare senza mai fermarsi a esso. Oggi, nelle nostre valutazioni statiche, siamo finalmente passati dal bidimensionale al tridimensionale e sono molto utili i rilievi e i controlli tridimensionali, anche per dimostrare che un edificio è “fermo”, ossia che le fessure non stanno crescendo. Ricordo spesso ai miei studenti (e talora ai miei colleghi) che siamo noi a dovere “correre dietro” alla realtà, anziché cercare di violentarla con i nostri schemi teorici. Infatti, è lei che ha ragione e noi dobbiamo seguirla.

E poi occorrono gli strumenti del mestiere: guardare, modellare, disegnare, raccontare e ascoltare, persino le critiche. Anzi, soprattutto le critiche, procedendo poi come si ritiene giusto. Infine, è importante anche l’economia della soluzione, come mi chiedono i miei committenti, e la definizione delle modalità per ottenerla, nel rispetto dei criteri adottati. È un lavoro di grande responsabilità quello del consolidamento dei monumenti, il cui obiettivo è di consentire la continuità della storia. Ed è certamente un lavoro di grande fascino, in cui si vive immersi nella bellezza. Vi ringrazio per avermi dato l’occasione di rivivere con voi queste emozioni.