SCIENZA E ETICA DELLA MEDICINA

Qualifiche dell'autore: 
medico, membro del direttivo dell'Ordine dei Medici della provincia di Bologna

Il libro di Lucien Sfez, La salute perfetta, si legge molto volentieri, perché racconta eventi e li commenta in maniera estremamente dinamica e divertente. Posso citare un aneddoto, in riferimento a quello che scrive Sfez: oggi ho visitato una signora che molti mesi fa pesava centosettantacinque chili e ora è calata a novantasei. Il successo della sua dieta consiste nel fatto che si è fatta asportare una quota di stomaco (si chiama gastroplastica), per cui la sua capacità di alimetarsi è ridotta. Sono molto perplesso riguardo a queste tecniche, perché per televisione ho visto i bimbi dell’Angola e dell’Etiopia e loro il problema della dieta non ce l’hanno. Quindi, come dice Sfez, il problema del colesterolo forse è un problema che vede distinti due mondi ben precisi: quello della sopravvivenza più difficile e atroce e quello nostro, che è quello della sopravvivenza al fatto che non abbiamo più il problema della sopravvivenza. 
Per citare un altro aneddoto, un ecografista è stato denunciato perché ha diagnosticato la nascita di una bimba, invece che di un bimbo. Io non so quale sia il motivo del ricorso, questa bimba è sicuramente normale nell’aspetto; probabilmente c’è un danno di tipo consumistico, nel senso che i corredi sono stati comprati tutti azzurri e non rosa. Questo è un elemento che deve farci pensare, ci troviamo di fronte a una situazione e a una società che devono farci riflettere molto. Ho qui un testo che si chiama Gli orientamenti bioetici per i test genetici. Le raccomandazioni del Comitato Nazionale per la Bioetica. Giorni fa, alcuni ordini di altre città e province hanno deciso di bocciare il codice deontologico. Per questo motivo sono stati denunciati e c’è una polemica in atto. In realtà, qual è il problema? C’è un codice deontologico dei medici, c’è un codice di bioetica, però queste cose non possono essere fisse nella nostra società, sono in continuo divenire e sono strettamente legate anche al sistema politico. Pensiamo al codice deontologico dei medici dell’Unione Sovietica: non so con quale deontologia gli psichiatri giudicassero alcuni personaggi come Solgenitzin o Bukoskij. Pensiamo al regime nazista: c’è stato un intervento guidato da idee di conoscenza scientifica o sanitaria, ma anche di tortura nei confronti di altri individui usati a fini di studio. L’obiettivo era la razza pura, ariana, quello che Sfez chiama “eugenismo”. L’eugenismo mira a creare un superindividuo, e per trovare un esempio non c’è bisogno di andare così lontano. Quando Valery Borzov fu prescelto come l’uomo che avrebbe battuto gli americani nella corsa dei cento metri, fu selezionato attraverso una ricerca computerizzata e si venne alla conclusione che lui era l’uomo che poteva veramente dare di più. E così è stato. Ma mi ha fatto molto piacere quando un individuo di Barletta, meschino nell’aspetto, che si chiamava Mennea, venuto su a carote e broccoli, a un certo momento, con la forza della volontà, con lo spirito di adattamento, riuscì a battere questo fenomeno da computer. Queste cose, secondo me, hanno un loro significato: l’adattamento dell’ambiente, l’imprevedibile, l’imponderabile comunque agirà, ancora per molto tempo, su quella che è la struttura, la fisicità, per quanto perfetta, che noi possiamo perseguire nell’uomo. Forse, una delle nostre condanne è stata proprio la scoperta del DNA, perché, da quando c’è stata questa scoperta, c’è stato un incremento esponenziale dei lavori sul DNA: prima la conoscenza, adesso, purtroppo, la manipolazione. E qui voglio distinguere tra studiosi scienziati e medici. Spesso gli studiosi scienziati sono anche medici, ma appartengono già a un’altra categoria. A mio avviso, nel giuramento della classe medica, che ormai ha il sapore dell’aneddoto, c’è un principio fondamentale, quello di curare secondo scienza e coscienza, e anche di non nuocere. Io non credo che nella ricerca del gene perfetto, dell’individuo perfetto, del genoma perfetto, non possa non esserci anche qualcosa che nuoce. Dirò di più, esistono due categorie di medici: i medici bravi e i bravi medici. Sembra un sofisma, o forse lo è, ma i medici bravi sono quelli che ho sempre invidiato, mentre i bravi medici sono quelli a cui mi sono sempre ispirato. Il medico bravo è quello che conosce molto e studia molto, si aggiorna, riesce a seguire gli aggiornamenti anche tecnologici, impiega immediatamente queste tecniche, esegue trapianti, (ora, ad esempio, trapianta mani), inserisce microchip. Il bravo medico è quello che si compara con un paziente che ha tutta una realtà sua, magari ha una casa poco decorosa, una stufa al posto dell’impianto centralizzato. Non so se riesco a spiegare l’idea, ma c’è una differenza. Il medico bravo è quello che tenta l’intervento impossibile anche, magari, nel soggetto ormai con una biologia non più valida. Il bravo medico, forse, è quello che si accontenta di un risultato, eliminare il dolore o la sofferenza nell’individuo che si trova di fronte.
Peggio ancora, a mio avviso, stanno in questo momento gli studiosi. A me sta benissimo che si vada sempre avanti nella tecnologia: lo sviluppo e il progresso non possono essere fermati, ma qualche perplessità e terrore ce l’ho proprio in questo adattamento continuo dei codici bioetici e dei codici deontologici, perché con questo sistema noi non abbiamo interrotto la ricerca dell’eugenismo: quello che stavano facendo i nazisti, noi lo stiamo continuando. Stiamo cercando di individuare e classificare le malattie genetiche per impedire che insorgano, ma c’è una natura che si ribella perché, per ogni malattia che scompare, come il vaiolo, ne compaiono quattro o cinque nuove. È scomparso il vaiolo, è comparso l’Aids. Abbiamo combattuto l’epatite virale con i vaccini decombinanti, cioè ottenuti proprio da una manipolazione genetica, assolutamente sicuri di non trasmettere, nel corso della vaccinazione, la malattia all’individuo vaccinato. Una tecnica sofisticata, che ha dato grandi risultati. Però altre malattie insorgono. La stessa cosa potrei dire per il Progetto Biosfera, che è un tentativo di difendere il pianeta e il genere umano dall’insulto che abbiamo portato con le radiazioni, i gas che eliminano l’ozono, la distruzione delle foreste e tutto il resto. Ma, attenzione, noi non stiamo difendendo il pianeta, in realtà stiamo difendendo il genere umano. Il pianeta ha una sua forza, per cui, quando il genere umano sarà sparito, come sono spariti i dinosauri, non sarà sparito il pianeta, continuerà ad esistere e avrà suoi cicli.
Tornando al Progetto Genoma, ecco alcuni punti delle raccomandazioni del Comitato Nazionale di Bioetica circa gli orientamenti bioetici e genetici: “Il problema centrale di una conoscenza sempre più estesa dei nostri geni sarà tuttavia quello della discriminazione genetica”. A un certo momento, ci troveremo di fronte fabbriche che (speriamo sia solo un’utopia) sceglieranno degli operai in grado di resistere a un determinato ritmo di produzione perché hanno un gene che lo consente; sceglieremo i nostri riproduttori umani, come si sceglieva Tornese o Ribot per gli stalloni da corsa. Adesso ci sono addirittura difese d’ufficio di avvocati, negli Stati Uniti, per cui si dice: “Questo signore è un violento non per colpa sua, ma perché fondamentalmente ha in sé un gene della violenza e quindi è da assolvere”. Per cui, magari lo ritroveremo libero. In Italia è molto facile che accada, perché è più facile essere fuori se si è violenti ed essere arrestati per non aver pagato il canone della televisione. Il Progetto Genoma Umano ha sollevato anche altre preoccupazioni, come il timore che i suoi risultati possano condurre non solo alla discriminazione di gruppi di individui, ma anche alla loro stigmatizzazione. Quindi, veramente si discrimina per la razza o per il gene, perché uno ha i capelli ricci o lisci, è una cosa possibile, però è su questo che dobbiamo vigilare, anche se credo che la situazione ci sfugga di mano. A proposito di mano, nonostante faccia il medico e sia abituato anche alle sale operatorie, ho una certa sensazione di disagio nel sapere che un giorno mi possa essere trapiantata la mano di un altro. Mentre per gli organi interni non ho subito questa sorta di disagio, stranamente, per un organo esterno, come la mano, ho una sensazione di difficoltà. È un fatto epidermico, non ha un motivo razionale. Mentre ho appreso con una certa soddisfazione, sempre in questi giorni, che quel signore che ha passato i suoi anni migliori, dai trenta ai trentotto, su una sedia a rotelle per un grave incidente, adesso, con l’applicazione di un piccolo computer, riesce ad avere di nuovo una postura eretta e, addirittura, a deambulare e a compiere movimenti quasi naturali. 
Oggi sta virando anche il comportamento umano. C’erano le signore, ma anche i signori (c’è un livellamento anche in questi termini), che una volta cercavano l’abbronzatura a tutti i costi. Adesso si è invertita la tendenza, siamo passati alle signore che non stanno più al sole, non tanto perché il sole faccia male o possa indurre i tumori della pelle, ma sopra tutto perché si è scoperto, o si pensa di aver scoperto, che l’eccesso di sole crea un invecchiamento precoce della pelle. Allora, il problema non è più essere attraenti adesso, ma continuare ad avere un’attraenza fisica tra venti, trenta, o quarant’anni. Quindi, vogliamo allungare non soltanto la nostra longevità, ma anche la nostra autonomia, il nostro aspetto fisico, il nostro modo di essere. È difficile dare un’interpretazione di tipo filosofico a questo atteggiamento, è sicuramente un’utopia, ma quello che mi turba non sono tanto i cardini dell’utopia, che Sfez cita nel suo libro, ma quanto l’utopia sia presente in noi stessi. Poi, sono terrorizzato dall’evoluzione di carattere informatico e tecnico, o dal pensiero di mangiare carote di alluminio perché probabilmente sono più nutritive, oppure superpomodori biologici ottenuti con la ricombinazione genetica. 
A fronte di questa spinta verso il tecnicismo spregiudicato, sopra tutto verso la composizione dell’uomo in maniera assolutamente perfetta, mi chiedo quanti di voi vorrebbero una prole ricavata da una serie di artifici. Concludo dicendo che troviamo una stranissima condizione: da una parte, questa ricerca dell’utopia tecnicistica futuribile (fantascienza di ieri, già realtà di oggi), dall’altra, uno strano culto degli oggetti antichi. Ciascuno di noi va in giro per mercatini rionali, più o meni importanti, per antiquari più o meno di fama, cercando gli oggetti dell’antico. Ci circondiamo di cose fatte a mano, non al computer. Quindi, io intravvedo una speranza, una salvezza proprio nella parte più imponderabile, meno palpabile della mente umana.