DIARIO DELL'IMMEMORIALE

Qualifiche dell'autore: 
cifrematico, direttore Coop. Sociale "Sanitas atque Salus"

"Via via che conoscevo meglio la vita del manicomio mi rendevo conto che le persone internate ricorrono alle strategie e agli accorgimenti di sopravvivenza di cui tutti hanno bisogno quando si trovano costretti in luoghi di soggiorno forzato, dopo essere stati strappati con l’inganno e con la violenza alla loro casa, ai loro rapporti reali, ai loro affetti e al loro ambiente originale”.

Tra le centinaia di testimonianze e di riflessioni che possiamo leggere nel Diario dal manicomio. Ricordi e pensieri (Spirali), di Giorgio Antonucci, considero questo uno tra i brani più significativi per indicare quella particolare logica, espressa dal pensiero occidentale dal quattordicesimo secolo a oggi – a eccezione del rinascimento – che porta gli umani a giudicare l’altro togliendone prima di tutto il diritto, quindi pretendendo di modificarne il pensiero, per correggerlo, per indirizzarlo, per riportarlo su una via presunta retta in termini di morale e di ragione. La mitologia di Procuste, molti dialoghi di Platone, tra cui il Menone, i libri dell’inquisizione religiosa, tra cui il Martello delle streghe, ma anche quelli dell’inquisizione filosofica, politica e mediatica di anni più recenti ce lo indicano. Correggere il pensiero dell’altro, togliere poesia, arte e invenzione, sogno e dimenticanza, e sessualità, in nome del logos e di principi di ragionamento e di valori che cambiano secondo le diverse epoche e le differenti mode culturali e politiche, è rimasta una pratica costante del pensiero occidentale.

“Il lavoro rende liberi” era l’epigrafe all’ingresso dei campi di sterminio nazisti, altre si potevano leggere nei campi di rieducazione dei regimi sovietici, altre ancora nei catechismi religiosi e in gran parte delle pratiche psicopedagogiche. Lo stesso “mestiere” di genitore, tuttora, risponde a quest’istanza di correzione, portata avanti, in numerosi casi, anche come volontà di bene.

Il libro di Giorgio Antonucci individua due elementi cardine che consentono il perpetuarsi di quest’istanza e delle pratiche conseguenti: quello che lui chiama pensiero psichiatrico e l’istituzione totale di reclusione, in questo caso manicomiale, che lo sottende. Questa distinzione di elementi, presente in filigrana in tutto il testo di Antonucci, è estremamente importante. In questo modo, in vari paesi e soprattutto in Italia, l’istituzione manicomiale è stata sì modificata o smantellata fisicamente, ma gran parte delle premesse che la costituivano – come la possibilità di togliere la libertà di ciascuno, di sospendere l’“habeas corpus” e altri diritti individuali con il TSO (Trattamento Sanitario Obbligatorio), il TSV (Trattamento Sanitario Volontario), l’ASO (Accertamento Sanitario Obbligatorio) e con altri provvedimenti analoghi che stanno nascendo – è rimasta invariata.

Diario dal manicomio è un libro importante perché narra questi aspetti senza riduzionismi e senza accomodamenti, partendo dalla testimonianza e dalla memoria proprie, senza tralasciare l’immenso patrimonio di sensazioni, d’istanze e d’intelligenza di quanti l’Autore ha incontrato nella sua esperienza. Il loro narrare, a tratti drammatico, risulta un appello alla sospensione di ogni facile adesione al luogo comune e di ogni facile giudizio e pregiudizio.

Alcuni hanno obiettato che quanto scrive Antonucci si riferisce ad anni remoti e che oggi le cose sono cambiate. Lo stesso Antonucci pone in rilievo gli autori che hanno contribuito in modo particolare a porre in questione con efficacia la psichiatria: Freud, con la scoperta che il disagio non è una malattia del cervello; Szasz, con la dimostrazione che le malattie mentali sono un pregiudizio; Basaglia, con la sua critica alle istituzioni totali e con la sua opera fattiva, anche politica, di demolizione delle secolari strutture manicomiali e asilari. Oggi, tuttavia, sono nati nuovi fronti: la psicofarmacologizzazione sempre più diffusa; la trasformazione dei contenuti del pregiudizio psichiatrico, con l’introduzione di nuovi strumenti e di nuove fonti di riferimento e di catalogazione, primo fra tutti il DSM (Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders); il coinvolgimento di altri stati sociali: ieri quelli appartenenti alla cultura e alla società contadina, oggi quelli di giovani, studenti, extracomunitari, portatori di altre forme culturali. Le diagnosi psichiatriche aumentano costantemente e ora sono molte di più rispetto agli anni descritti da Antonucci nel libro. E c’è, recente, la questione dell’ADHD (Attention-Deficit Hyperactivity Disorder), l’ultima “scoperta” della neuropsichiatria infantile: quella sindrome da deficit d’attenzione e iperattività che una volta era una caratteristica della crescita di ciascun bambino e che ora è diventata una patologia, con un farmaco già pronto, il discusso Ritalin, appartenente al gruppo delle anfetamine, dato a bambini anche piccolissimi, precedentemente segnalati e schedati su un apposito registro pubblico.