LA SOCIETÀ DELLE INCERTEZZE

Qualifiche dell'autore: 
ingegnere, amministratore di SIR, Modena

La nazione in cui oggi viviamo è il prodotto di una serie di fattori che affondano le radici negli ultimi trent’anni della storia del nostro paese. E, se da un lato possiamo essere fieri del progresso e delle conquiste dell’uomo, dall’altro dovremmo sinceramente preoccuparci per la decadenza che accompagna la maggior parte dei comparti della nostra vita sociale, partendo dalla famiglia, passando per le aggregazioni e le imprese, giungendo infine a tutto il sistema paese. Nella nostra quotidianità, abbiamo perso i valori della più piccola delle aziende, la famiglia, dove i genitori non possiedono più l’autorevolezza necessaria e i figli non sanno o non vogliono più rispettare regole che si rivelano invece basilari per la formazione di ciascun uomo. È un male che nasce dagli angoli più reconditi delle nostre case, per propagarsi attraverso la grande piramide del nostro vivere collettivo: dalle famiglie alle imprese, dalle imprese allo stato, alla collettività, ai sistemi di informazione, alle istituzioni, alla politica. E, muovendo dalla diffusa tentazione di sottrarsi a ogni minima responsabilità, molti di noi hanno perduto le certezze fondamentali del vivere civile, dentro e fuori l’ambiente di lavoro. La correttezza nei rapporti, l’onestà intellettuale, il rispetto della cosa pubblica, delle gerarchie e delle istituzioni: le pietre angolari della civiltà sono andate smarrite come gocce d’acqua nel mare. Tutto questo ha generato nell’onesto cittadino un notevole senso di sconforto, di abbandono, di decadenza: ci si sente soli e impotenti dinnanzi al declino. L’imprenditore, in particolare, non viene minimamente supportato dal sistema Italia e si ritrova ingabbiato tra infrastrutture fatiscenti e indegne di un paese civile, incatenato da un sistema burocratico subdolo e perverso. L’abnorme tassazione ha poi contribuito alla perdita di competitività delle nostre imprese in un mercato sempre più difficile ed esigente, innescando una forte escalation del costo della manodopera, che comunque non volge a favore del lavoratore, spesso limitato da un reddito netto troppo basso per vivere dignitosamente. In un futuro non troppo lontano, l’aumento della percentuale di lavoratori che si ritroveranno sotto la soglia della povertà sarà uno dei grandi problemi a cui i nostri governanti dovranno trovare una soluzione coraggiosa.

A tutto questo si aggiunge il problema della gestione del risparmio: molte famiglie hanno visto svanire in poco tempo gli accantonamenti di una vita, spesso ottenuti a prezzo di grandi sacrifici, perché si sono fidate di funzionari o promotori finanziari molto abili nel proporre, anche in malafede, piani di risparmio che spesso sono andati a erodere pesantemente il capitale fisso. La ricchezza accumulata dai piccoli risparmiatori si è quindi assottigliata a vantaggio di grandi gruppi finanziari e speculativi che, pilotando questi giochi al limite della legalità, hanno ormai assunto la funzione di vere e proprie sanguisughe dell’onesta società. È una situazione, un modo di fare, che deve giungere a un termine: la gente è stanca di vivere in una società di furbi, dove chi non lavora arricchisce a dismisura, mentre chi ha un’attività onesta, sia esso dipendente o imprenditore, non riesce a percepire un reddito adeguato. I guadagni e la ricchezza dovranno essere ripartiti in modo più equo e meno mortificante per tutti coloro che intraprendono attività produttive e imprenditoriali a costo di investimenti, sacrifici e notevoli rischi. La gente è stanca di sistemi speculativi e distributivi che, rischiando poco, raccolgono i più lauti profitti. Come pure è stanca di esempi negativi rappresentati da personaggi che vivono in un mondo fatato – attori, cantanti, calciatori –, che non hanno nemmeno il buon gusto di ostentare i loro averi con un po’ di decenza e di rispetto verso le classi meno abbienti. La nostra è una stanchezza congenita, che si abbatte su un mondo dove la furbizia ha sostituito la capacità: ne è lo specchio la nostra classe politica, interessata esclusivamente al potere, alle interviste, ai dibattiti televisivi, capace solo di stordire i cittadini con fiumi di parole aride e vuote, senza alcuna voglia di occuparsi dei reali interessi e problemi del paese. Una classe organizzata in decine di partiti uguali e senza idee, quando invece avremmo bisogno semplicemente di capitani che intervengano, con audacia e senso pratico, nelle famiglie, nelle imprese, nelle istituzioni. Capitani che sappiano anche prendere le decisioni drastiche, per quanto dolorose, che sono e saranno necessarie per evitare il declino. Un vecchio proverbio modenese recita: “medico pietoso fece piaga puzzolente”. In altre parole, quando giunge il tempo di prendere una decisione drastica, occorre farlo senza indugi: non si può continuare a curare una ferita in cancrena. Per esempio, i provvedimenti necessari a ridare al nostro paese serenità e fiducia nel futuro passano anche attraverso una ridefinizione del concetto di sicurezza. Il cittadino si sente oggi completamente indifeso e a corto di quella libertà che è un concetto portante di tutte le civiltà evolute: le forze dell’ordine vengono continuamente mortificate e incentivate di conseguenza a chiudere un occhio dinnanzi a soprusi e reati. Manca la certezza di una pena e di una legge chiare, in un paese in cui il cittadino onesto viene continuamente e ingiustamente costretto a rendere conto del proprio operato, mentre chi delinque, che non ha nulla da temere, riesce sempre, prima o poi, in un modo o nell’altro, a farla franca.

Ma ormai la misura è colma e si può avvertire chiaramente a tutti i livelli: i nostri cittadini pretendono il ripristino dei valori basilari di uno stato civile e democratico, esigono quella libertà che è il bene fondamentale e necessario per il progresso dell’uomo.

Dovremo ricreare certezze e solidi valori a partire dalla famiglia e dalla scuola, che dovranno saper riaffermare la propria autorevolezza, affinché i giovani possano nutrire la speranza di un futuro programmabile, non vissuto alla giornata come accade ora. Certezze che dovranno farsi strada nella società, riscoprendo i valori della vita collettiva, e anche nell’impresa, che dovrà ritornare a rischiare come un tempo e a produrre con entusiasmo, passione, aggressività. E in questo dovrà essere supportata da una classe politica che ancora non riesce a comprendere che l’industria non è un male da combattere, ma una fonte di benessere e di prosperità per tutti, imprenditori o lavoratori che siano. Per questo avremo bisogno non di primedonne, ma di politici ricettivi e decisi, attenti gestori della cosa pubblica.

Ma riuscirà davvero il nostro paese a trasformarsi e a rinascere, gettando nel fuoco quel velo d’ipocrisia, d’incapacità decisionale, di disonestà intellettuale, di sete di potere, di disinteresse per il bene della collettività? Riusciremo a trasformare la società della furbizia nella società dell’onestà? A fare in modo che destra e sinistra abbandonino le chiacchiere inutili e si mettano al servizio del paese? E chi assumerà l’onere di spiegare alle organizzazioni sindacali che, per difendere i posti di lavoro, occorre rilanciare la competitività delle nostre imprese, operazione che passa anche attraverso l’incentivazione dei lavoratori più preparati e l’isolamento di quelli meno responsabili? Chi riuscirà a rendere finalmente funzionante la gestione della cosa pubblica e delle aziende statali? Chi riuscirà a far capire ai nostri politici che sono lontani anni luce dai cittadini?

Forse siamo ancora in tempo per sognare un’Italia migliore, dove giornali e televisioni non parlino esclusivamente di cose futili e non facciano da cassa di risonanza solamente ai fenomeni negativi.

Dove la presa di coscienza della necessaria trasformazione sia capillare e quotidiana, per giungere alla ricostruzione dell’intero tessuto sociale. Non so ancora chi saprà fare tutto ciò, ma è indubbio che questa ricostruzione dovrà essere un passo immediato e necessario per il nostro futuro.