LA COMPETIZIONE NELL'ECONOMIA MONDIALE

Qualifiche dell'autore: 
premio Nobel per l'economia 1992

In un’economia globale la concorrenza rende la vita difficile, soprattutto con la crescita della Cina. In Cina e in India ci sono ancora un gran numero di poveri, che vivono con due o tre dollari al giorno, ma, per la prima volta nella storia dei paesi poveri, la globalizzazione ha permesso a una parte della popolazione di entrare nel benessere. La globalizzazione, quindi, vista su scala mondiale, è stato un fenomeno positivo. Diversa è la questione per i paesi ricchi e occorre chiedersi quali siano le conseguenze per loro. Ritengo che la concorrenza planetaria sia positiva, anche se causa di dolore per le aziende e per i lavoratori.

Allora, vediamo quali sono i vantaggi che si possono ottenere dalla concorrenza internazionale. Il vantaggio per i consumatori è ovvio: tanti prodotti costano poco grazie al reperimento, in altri paesi, di manodopera a basso costo. Per i produttori, il vantaggio è che la globalizzazione rende disponibili mercati molto più ampi. L’Italia è un mercato di media grandezza e, grazie alla globalizzazione, può raggiungere tanti altri paesi, anche al di fuori dell’Unione Europea. Inoltre, l’India e la Cina potenzialmente offrono un mercato ancora più grande di quello attuale, già molto vasto.

E quali sono i costi di questa situazione? I bassi salari in Cina e in India comportano di dover concorrere con lavoratori che guadagnano pochissimo e, per di più, non comportano grandi oneri fiscali. Inoltre, in un ambiente globale si è assoggettati a traumi maggiori e tutti gli shock che si producono sui mercati internazionali si ripercuotono sulle economie dei paesi ricchi. Un esempio è la rapida diffusione degli effetti dell’influenza aviaria. Per questo motivo, occorre adottare un’impostazione dell’economia estremamente flessibile che permetta di rispondere a questi shock. La proprietà intellettuale non viene tutelata. In Cina, dove ignorano i brevetti, le contraffazioni sono la prassi. La conoscenza è la base della redditività e il fondamento del processo produttivo per tante aziende occidentali, ma, purtroppo, una volta copiati i prodotti, questo patrimonio si disperde molto facilmente. È un problema di livello internazionale.

Tra i punti di forza, ossia gli asset dei paesi ricchi, c’è il capitale umano, risorsa strategica che ha un valore in termini di PIL. Capitale umano significa: a) educazione, b) formazione, c) abilità. È ciò che i paesi ricchi hanno in abbondanza rispetto a quelli emergenti. Il numero dei laureati in Cina è niente rispetto al miliardo della popolazione e da questo punto di vista gli Stati Uniti hanno un elevato capitale umano. Oggi è la conoscenza a determinare la produttività di un’economia e i paesi poveri ancora non ce l’hanno, anche se stanno facendo degli investimenti in questa direzione. Occorre che i paesi ricchi promuovano il capitale umano ancora di più ed elevino la qualità dei loro prodotti e la qualificazione del processo di produzione. Non è un esempio in questo senso l’Italia, che investe nel settore dell’istruzione solo il 4% del PIL, rispetto al 5-6% di altri paesi europei e al 7% degli Stati Uniti. Ma anche gli stessi Stati Uniti possono fare di più, perché ci sono al suo interno diverse sacche d’incompetenza.

La flessibilità delle aziende di piccole e medie dimensioni, in cui l’Italia è forte, è un altro dei punti di forza dei paesi ricchi. In Italia c’è un’abilità e una cultura imprenditoriale che ritengo molto attraente, proprio per questa agilità che è impossibile ai grandi colossi asiatici.

In Cina manca assolutamente la facilità di accesso al capitale finanziario, che invece nei paesi ricchi è un altro punto di forza. Il sistema bancario cinese è terrificante: si trova in mano allo stato ed è molto corrotto, non è affatto competitivo e foraggia aziende in perdita, a loro volta in mano allo stato. In Cina quindi il capitale umano è a basso costo ma quello finanziario ha costi molto elevati. In definitiva, la produttività cinese non è così alta, rispetto alla gran massa di lavoratori impiegati, in un sistema di grandissima flessibilità, e la produzione è competitiva solo a livelli bassi.

I punti deboli dell’Europa incominciano nel confronto con paesi che associano l’alta produttività a salari molto bassi e a una flessibilità del lavoro, che in Europa è penalizzata dalle politiche dell’Unione, per non parlare del sistema pensionistico e dell’età pensionabile, che vedono l’Italia agli ultimi posti della classifica, con l’aggravante che è uno dei paesi con il più basso tasso di natalità al mondo.

L’Italia, inoltre, si trova agli ultimi posti anche per la facilità di fare business, valutata in relazione alla flessibilità del mercato del lavoro e di quello dei capitali. Non è facile fare business in Italia e, se aggiungiamo la corruzione nel mondo imprenditoriale, l’Italia scende con l’India al posto più basso tra i paesi industrializzati.

Allora, qual è la direzione che bisogna prendere in questa situazione? Il problema della flessibilità del mercato del lavoro è in gran parte affrontabile con le riforme legislative. È importante rendere i mercati più flessibili, favorire la mobilità dei lavoratori e fare sì che i giovani possano entrare nel mercato del lavoro. Un’altra cosa da fare è aumentare l’età pensionabile perché la situazione attuale proviene da un periodo in cui c’erano moti giovani e pochi anziani. Anche il sistema bancario deve essere migliorato, deve essere reso più internazionale, meno formalizzato sulle questioni minime e quindi più aperto, per permettere agli imprenditori di avere accesso a capitali più cospicui. Bisogna fare maggiori pressioni sulla Cina e sul WTO per la protezione della proprietà intellettuale. Nel XIX secolo anche gli Usa usurpavano la proprietà intellettuale ad altri paesi, in particolare alla Gran Bretagna. Poi, la pressione internazionale è aumentata e le cose sono cambiate.

Se guardo nella mia sfera di cristallo, tendo a essere ottimista. Troveremo sempre maggiori vantaggi dai giganti asiatici che oggi stanno facendo molti prodotti ma di bassa qualità. Per questa ragione occorre portare la qualità ai massimi livelli. In Cina le aziende italiane sono note, la classe media cinese, un mercato di cento milioni di persone, che andrà aumentando, con aspettative simili alle nostre, acquisterà sempre più prodotti di qualità e sempre più cose nuove. Nel mondo globale la specializzazione internazionale porta vantaggi alle aziende ma anche ai lavoratori. E per migliorare, occorrono prima di tutto capitale umano e conoscenza, poi abbiamo bisogno di una legislazione che dia ai lavoratori specializzati la possibilità di concorrere sul mercato internazionale.