IMMUNITÀ E IPERTERMIA

Qualifiche dell'autore: 
oncologo, docente dell'Università di Pavia, direttore del Centro di Ipertermia di Pavia (San Genesio), già presidente dell'International Clinical Hyperthermia Society

L’immunità è il problema centrale nel sorgere, nel progredire o nell’arrestarsi di un tumore. In base alla mia esperienza, posso dire che riusciamo a ottenere una buona risposta terapeutica soltanto in presenza di un adeguato grado d’immunità, altrimenti, la ricaduta è molto rapida. Sta qui il grande problema della cura dei tumori: abbiamo a disposizione alcuni strumenti di aggressione efficaci sul tumore – i chemioterapici e le terapie radianti –, che però sono immunodeprimenti, deprimono l’immunità che invece costituisce la base della risposta efficace a qualsiasi malattia: questo è il dilemma dinanzi a cui ci si trova quando si deve curare un malato di tumore.

La mia tesi di laurea (1965) verteva intorno alla produzione di anticorpi da parte dell’animale immunizzato e trattato con chemioterapici. Operavamo le cavie per inibire la produzione di anticorpi, togliendo la milza, per esempio, o somministrando chemioterapici. Le cavie a cui avevamo tolto la milza erano quasi normali, quelle invece a cui avevamo somministrato chemioterapici erano palesemente sofferenti: avevamo somministrato un topicida. I colleghi oncologi, di fronte a queste affermazioni, potrebbero scandalizzarsi, ma non c’è nulla da scandalizzarsi, se pensiamo che i primi chemioterapici erano derivati chimicamente da un gas tossico – l’iprite –, utilizzato durante la prima guerra mondiale sia dai francesi sia dai tedeschi sul fronte nord per uccidersi a vicenda. Quindi, si usavano sostanze tossiche a scopo terapeutico e nessuno si meravigliava, perché in tutti i farmaci è insita una dose di tossicità che, se ben controllata, va a beneficio del paziente. Però, sicuramente, constatavamo che i chemioterapici avevano un effetto negativo sul benessere dell’animale, quindi sul benessere del paziente quando glielo somministravamo. Da quel momento è partita la ricerca di qualcosa che potesse contribuire a rafforzare l’immunità.

Nel 1980, venne a trovarmi un chirurgo americano che insegnava fisiopatologia all’Università di New York, Harry Le Veen, che aveva incominciato a trattare qualche paziente con sorgenti di calore e aveva avuto risposte cliniche che sembravano soddisfacenti. Aveva scoperto che, dal punto di vista istologico, il tumore trattato con il calore presentava un’infiltrazione di cellule linfatiche, quindi di cellule immunitarie, e voleva trovare una spiegazione. Mi propose di collaborare, diventammo amici e per vent’anni abbiamo proseguito una collaborazione che si è interrotta solo con la sua morte.

Il principio biologico dell’ipertermia punta a ottenere una sofferenza parziale delle cellule, in modo che avvenga una selezione tra cellule tumorali e cellule sane. Gli studi in vitro, effettuati da italiani circa quarant’anni fa, hanno dimostrato che, a 43°, la cellula tumorale tende a morire, mentre la cellula sana ha meccanismi di compensazione che la tengono in vita. Dal punto di vista fisico, l’ipertermia che si utilizza abitualmente in ambito oncologico si ottiene attraverso microonde o radiofrequenze. Si basa sul principio fisico della legge di Joule: facendo attraversare i tessuti da radiofrequenze, si ha uno spostamento molecolare che, per frizione, aumenta la temperatura. È lo stesso principio che viene usato nel funzionamento del forno a microonde.

L’ipertermia è una terapia non tossica, che si combina perfettamente con la terapia immunitaria e in alcuni casi, ben selezionati,  riesce a ottenere risultati impressionanti. Si è sviluppata anche una vasta letteratura sull’utilizzazione dell’ipertermia, che può essere utilizzata in combinazione con la chemioterapia come potenziante dell’efficacia dei farmaci. È risaputo che i farmaci e tutte le sostanze chimiche che introduciamo nell’organismo agiscono attraverso reazioni chimiche o chimico-fisiche: entrambe dipendono in gran parte dalla temperatura. Ecco perché la reazione sarà tanto più efficace e più veloce quanto più la temperatura corporea sarà alta. Quindi, l’ipertermia può essere usata per potenziare la chemioterapia e, con un meccanismo un po’ diverso, può essere usata per potenziare la radioterapia. Il target della radioterapia è costituito prevalentemente dalle cellule ossigenate mantellari del tumore, il target dell’ipertermia dalle cellule poco ossigenate centrali al tumore, quindi, c’è una buona combinazione delle due materie in quanto complementari fra loro. L’ipertermia funziona soprattutto come stimolante immunitario. Abbiamo lavorato molto per dimostrare – e penso che ci siamo riusciti – che l’ipertermia agisce soprattutto come un meccanismo di stimolo immunitario anche a livello locale, a livello delle cellule che nei tessuti producono l’immunità sotto forma di anticorpi. Ma non ci sono solo gli anticorpi, ci sono anche cellule particolari, ad esempio i macrofagi, che agiscono in maniera primordiale, ancestrale, aggredendo la cellula tumorale direttamente. Quindi, l’ipertermia agisce come la febbre nell’individuo che ha una broncopolmonite o un’influenza, agisce direttamente sulla cellula tumorale, come la febbre sul germe con cui si è venuti in contatto.

Grazie all’ipertermia, possiamo avere uno schema terapeutico adeguato, efficace in un discreto numero di casi, non tossico, per pazienti affetti da tumore, anche in fase avanzata. Ma ciò che è più interessante nella nostra esperienza è l’utilizzazione dell’ipertermia in fase pre-chirurgica. Quando abbiamo un tumore pensiamo subito che la chirurgia possa essere risolutiva, ma in realtà non è vero, perché il settanta, l’ottanta, il novanta per cento dei tumori operati recidiva dopo sei mesi, dopo un anno, dopo due o cinque anni. Questo succede perché l’intervento chirurgico non asporta il cento per cento delle cellule tumorali. Quando l’intervento chirurgico riesce a essere radicale guarisce il tumore, però questo avviene in una percentuale abbastanza bassa di casi. Allora, qual è il problema? Rinunciamo alla chirurgia? No, però, se effettuiamo un trattamento d’ipertermia prima dell’intervento chirurgico, mettiamo il chirurgo in condizioni di effettuare un intervento di tipo radicale. Nella nostra esperienza avviene quasi costantemente. Quando riusciamo a trattare il paziente prima dell’intervento chirurgico, probabilmente, riduciamo la massa tumorale e la migrazione delle cellule al di fuori del tumore, sicuramente, miglioriamo lo stato immunitario del paziente, lo mandiamo all’intervento chirurgico in condizioni ottimali e spesso l’intervento chirurgico non è seguito da recidiva o da metastasi.

L’ipertermia non è a costo zero, ma è una metodica di potenziamento non molto costosa. Il problema dei costi, in oncologia, è un problema molto importante, se pensiamo che, negli Stati Uniti, è stato pubblicato uno studio che afferma che la terapia di otto mesi per un tumore del colon è passata dai cinquecento dollari di dieci anni fa agli attuali diecimila. L’utilizzo di nuovi farmaci comporta un aumento di spesa che rischiamo di non riuscire a sopportare. Pertanto, la ricerca deve individuare le molecole più efficaci. Tuttavia, occorre che il sistema sanitario si renda conto che bisogna produrre farmaci che siano a disposizione di tutta la popolazione, altrimenti rischieremo di fare una medicina di elite e di avere solo tre paesi che potranno sopportare le spese delle terapie. Tre paesi che non saranno nel mondo occidentale: l’Arabia Saudita, il Giappone e, forse, la Cina. Il problema per noi è incominciato con le cure delle leucemie: per ogni cura dovevamo fare un’ipotesi di spesa, con cifre importanti anche allora. Il sistema sanitario attuale è riuscito, finora, a sopperire a queste esigenze, ma non si sa come andrà in futuro. Non c’è una previsione di spesa che possa dirci se questi costi saranno sovvenzionati o coperti.