I NUOVI ASPETTI DEL TOTALITARISMO DELL’EPOCA

Il libro di Dario Fertilio Il virus totalitario (Rubbettino)
ha il merito di segnalare gli elementi che costituiscono le premesse dei regimi
totalitari. In Italia, per molti versi, siamo oltre tali premesse e ce ne
rendiamo conto. La coercizione è costante, è strisciante, è accerchiante: ci
sono paesi che attendono come avvoltoi di cibarsi della carcassa dell’Italia.
Ad esempio, un documento della Deutsche Bank intitolato Guadagni,
concorrenza, crescita proponeva già nel 2011 alla “Troika” (Commissione
europea, Fondo Monetario Internazionale e Banca Mondiale) e al governo tedesco
di promuovere un piano di dismissioni gigantesche dei beni altrui, dettagliando
in particolare le “potenziali entrate derivanti dalla vendita di partecipazioni
in grandi aziende italiane” e soprattutto degli “edifici
pubblici, terreni e fabbricati” stimati per un valore complessivo di 421
miliardi e la cui vendita “si potrebbe effettuare con relativamente poco
sforzo”. Per arrivare a tempi più recenti, solo pochi giorni fa, dopo
l’iniezione di denaro pubblico italiano nel Monte dei Paschi di Siena, l’Unione
Europea ha avanzato la pretesa che la stessa banca vendesse comunque le proprie
opere d’arte e i propri edifici rinascimentali.
Un paese vinto, ha scritto Claudio Borghi Aquilini sul
“Giornale”, che paga danni di guerra senza avere nemmeno combattuto.
Noi avvertiamo le nostre “catene”, ma riescono a farci
credere pure di meritarcele. Conoscere quelle altrui, invece, fa capire che
rientriamo in un sistema. Per esempio, abbiamo imparato dall’elezione di Trump
che esiste il termine fake news. Pensavamo che fossero soltanto nostre
le bugie sui media, invece sono dappertutto, persino sul “New York Times”.
Sempre da Trump abbiamo imparato a chiamare “stato profondo” (deep state)
quella burocrazia silenziosa che detta legge, la burocrazia senza volto che è
il vero centro di comando di cui tenere conto.
Il libro Il virus totalitario fornisce un’utile
analisi degli elementi in comune, permettendo di riconoscerli, prima che si
chiudano gli ultimi cerchi concentrici nell’acqua sopra le nostre teste.
Dario Fertilio analizza principalmente tre sistemi
totalitari: l’islamismo, il nazismo e il comunismo. In questo ambito, mi ha
interessato particolarmente la descrizione del sistema non dichiarato, ma molto
visibile, che è il movimento cosiddetto antiglobalizzazione.
In realtà, i no-global sono global, le loro manifestazioni
contro la globalizzazione del libero mercato, iniziate ai tempi del Wto di
Seattle, arrivano in ultima analisi a premere per la globalizzazione del potere
di controllo delle autorità che essi aspirano ad affiancare. Non a caso non
disturba i no-global il fatto che Bruxelles stabilisca che tutti i fagiolini
abbiano una certa curvatura e i pomodori una certa colorazione: questo riduce i
fattori su cui può giocare la concorrenza sul libero mercato globale, ma lascia
intatta la concorrenza sul prezzo, per cui hanno buon gioco le multinazionali a
scendere di prezzo fino a estromettere dal mercato i produttori più piccoli. La
lotta no-global alla globalizzazione non è un’opposizione all’accentramento di
potere nelle burocrazie mondiali, bensì una lotta a favore di una
globalizzazione che sia sottoposta al controllo proprio delle
organizzazioni internazionali del tipo di quelle che vanno contestando. Non a
caso, già da Seattle venne proposta l’adozione di vari strumenti che avrebbero
dato alle Ong un ruolo permanente nelle decisioni del Wto, un po’ com’è
successo in Italia con i sindacati, che si sono inseriti fra i componenti di
diritti di comitati, enti e commissioni locali e nazionali.
In questi esempi risiede il nocciolo, oggi, almeno da noi,
del “virus totalitario”.
Se esaminiamo da vicino la lettera di Santa Cruz – scrive
Fertilio – approvata su impulso del presidente-dittatore boliviano Evo Morales
e da Papa Bergoglio, ritroviamo i segni di una complessa ideologia in cui si
mescolano il marxismo e la teologia cattolica della liberazione, con
l’obiettivo d’imporre a livello planetario l’ecologia illiberale da applicare
forzatamente ai paesi sviluppati. La lettera fa appello al principio secondo
cui non sarebbe la terra ad appartenere all’umanità, ma il contrario. Si
proclama il rifiuto del capitalismo e dell’imperialismo e si condanna in blocco
l’Occidente; si promuove un profondo disprezzo verso il mercato e il consumo
diffuso dei beni; si dogmatizza il primato del diritto al lavoro sulla libera
impresa e si giunge perfino a proporre la limitazione del denaro.
Questi concetti sarebbero stati sicuramente apprezzati dagli
intellettuali che hanno posto le basi dei regimi totalitari, sia di destra sia
di sinistra, già all’inizio del Novecento. E la gigantesca macchina
propagandistica dell’ecologismo globale, con le sue pretese di mettere sotto
controllo il mondo intero mediante pratiche intrusive da imporre alle singole
economie, evidenzia la crescente diffusione dell’ideologia integralista. È
recente l’entusiasmo per l’approvazione universale del patto di Parigi, con cui
finalmente gli Stati Uniti guidati da Barack Obama avevano accettato di “salvare
la terra” arrendendosi di fronte alla presunta evidenza scientifica.
Peccato che la scienza indipendente affermi il contrario, il
che rivela la vera natura del patto di Parigi: è un patto politico, ha ragione
Trump nel denunciarlo.
La questione è che, evocando una scienza artefatta,
prezzolata, si punta a mettere le nostre vite sempre di più sotto il controllo
arbitrario di chi aderisce al consensus artificiale, imposto dall’alto.
Quindi, ben vengano i libri che richiamano l’attenzione sul
virus totalitario, una metafora della malattia molto utile e interessante.
Però, per evitare l’omologazione, non bisogna rassegnarsi a pensare che sia una
malattia ineluttabile, ma fare sempre riferimento e ricorso a ciò che
contraddistingue l’uomo dalle piante e dagli animali, ossia l’uso della ragione.