FOTOGRAFIE DALL’OSPEDALE PSICHIATRICO
Una mia amica un giorno, a Imola, mi portò all’Osservanza,
una delle due istituzioni psichiatriche della città, dove conobbi Giorgio
Antonucci, con cui diventammo subito molto amici. Ben presto cominciammo a
frequentarci anche con altri, tra i quali artisti che venivano volentieri all’Osservanza:
musicisti, artisti, gruppi musicali. Parlando, coniammo la definizione di
artista come “professionista del delirio”.
In seguito a queste visite, in cui si svolgeva un confronto
costante con chi era ricoverato, il reparto e i luoghi dell’Osservanza dove
Antonucci svolgeva la sua attività divennero piccoli centri culturali. Era
molto gradevole andarci e gli ospiti diventavano a loro volta amici; quando li fotografavo
insieme era come fotografare vecchi amici. Con Antonucci iniziò anche un
dialogo sulle strutture di controllo e lui, portandomi a visitare l’Osservanza,
mi spiegò come quel tipo di architettura adottava gli stessi principi, dai
manicomi alle carceri, ai seminari e a tutti i luoghi in cui le persone
dovevano essere isolate e, possibilmente, tenute sotto controllo, perché non
scappassero e affinché all’interno seguissero inderogabilmente alcune regole di
coercizione. Dopo questa considerazione, incominciai a fotografare questi
luoghi con un forte interesse specifico.
In quegli anni era impossibile fotografare l’interno dei
manicomi; anche a Imola i responsabili degli altri reparti non facevano entrare
per scattare fotografie. Quindi decisi di documentare l’ospedale psichiatrico
senza mai fotografare le persone e senza mai modificare le atmosfere. Ho
raccolto molte di queste immagini per raccontarle in un foto-film. I reparti di
Antonucci risultano praticamente un “ospedale liberato”, perché gli ospiti
vestivano abiti civili e mangiavano in piatti di ceramica, mentre negli altri
reparti vestivano con il pigiama e mangiavano in piatti di latta, come nelle
carceri.