UNA CASA SENZA EGUALI

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analista, brainworker, presidente dell'Istituto culturale Centro Industria

Casa, dal latino casa, casae, capanna, dall’accadico kašû, ksū, copertura, e poi ombra, tenda; anche castrum, accampamento, fortezza, riparo, e castellum, che, come diminutivo di castrum, trae il nome dalla famiglia che ne è proprietaria, per cui la dinastia risulta il casato o la casata, ovvero il cognome della famiglia diventa il cognome della casa. Questione di localizzazione, di possesso, di protezione fra le mura?

Già l’etimo indica che il lessema “casa” non è assimilabile a un luogo chiuso, non indica una spazializzazione, ma un’esigenza che interviene lungo il viaggio, lungo il fare, lungo la giornata, che Machiavelli chiama battaglia. L’accampamento da schierare nella battaglia. Accampamento, ovvero porre nel palmo della mano (campus), porre nel campo gli eserciti e, poi, il campo in cui produrre. La casa diventa la casa di produzione.

La casa è la casa nomade, scrive Armando Verdiglione, non è un luogo, è la casa in cui le cose si fanno e, facendosi, trovano la loro piega, la piega pragmatica, la strategia della battaglia. Com’è avvenuto, invece, che la casa sia stata intesa come “stabile”, come fissa dimora? Com’è avvenuto che sia stata intesa come luogo statico e immutabile, “immobile”, e per questo soggetto all’usura del tempo, tanto da codificarne l’intervento di restauro come “riduzione in pristino”, ovvero come “riduzione” a come era prima? L’idea di riduzione contempla un minus, che è sempre rispetto a un’idealità. Come il tempo del ricordo, che è connotato dall’idea di perdita.

Eppure, facendo, il tempo non finisce. Proprio perché è tempo del fare, il tempo non è ideale e rilascia la quantità pragmatica. La casa è in viaggio, è il castello errante, con il suo progetto e con il suo programma, con il suo racconto. Nel gerundio del viaggio non si pone la questione di come fossero le cose prima di intraprenderlo, perché importa la rivoluzione, quella che Leonardo chiama forza, la direzione verso cui le cose si rivolgono.

Allora, il tabù della casa è intervenuto come tabù del tempo, ovvero come idea di tempo che degrada la materia. Anziché essere attraversata dal tempo, la materia lo subisce. Il tempo rovina, il tempo “riduce” alla morte. Questa idea di tempo è rappresentata dalla fenice, l’animale fantastico che risorgeva dalle ceneri, quindi soggetto al destino assegnato, al destino naturale. Il tempo sarebbe circolare, come il ciclo della vita, dalla nascita alla morte. Se il tempo è circolare, allora è anche localizzabile, in modo che tutto torni e ritorni, così la casa può essere intesa come la casa del ritorno.

La casa è stata intesa come luogo abitabile, per marcare ancora una volta l’unità del tempo funzionale alla sua idealità: il tempo uguale per tutti. Il di ritto alla casa sarebbe il diritto al tempo uguale per tutti. Cosa disturba del tempo inideale, ovvero del tempo del fare? La differenza e la varietà pragmatiche con cui la casa, come proprietà dell’industria, esclude l’idea sociale, quindi il canone con il suo carico di invidia che tenta di trarla nell’ideologia dell’uguale e nel confronto spettrale. Non a caso Sigmund Freud scrive come siano i fratelli a spartirsi le membra del totem. L’idea di uguale fonda il tabù del fare secondo l’idea di appartenenza e chi non si conforma a questa idea è colpito per la sua anomalia, per la sua non uguaglianza.

E quale casa potrebbe edificarsi a partire dall’idea di uguale? Per questa idea è colpito chi fa, che sia imprenditore, artigiano, commerciante o proprietario. Ancora peggio se da questa proprietà ne ricava un profitto. Cosa disturba dell’approfittare, del trarre profitto? Certamente non approfitta chi non fa, ovvero chi ha davanti l’idea di sé che diventa idea dell’Altro, Altro ideale: che sia amico o nemico, questo Altro diventa lo spettro di chi non fa. Ecco da dove viene l’ideologia del “consumo di territorio”, per esempio. Chi fa consumerebbe, ovvero toglierebbe all’Altro rappresentato qualcosa che, secondo l’idea di uguale, sarebbe “distribuita” in modo uguale per tutti. Si chiama razzismo contro il privato, contro la particolarità e contro la proprietà, contro l’industria, contro la casa di produzione in cui il fare non consente circolarità e sfata l’idealità.

Il convegno di oggi, dal titolo La casa. La proprietà, l’investimento, l’accoglienza (Bologna, 29 ottobre 2024) procede dalla constatazione che il fare e la casa come proprietà dell’industria non sono inscrivibili nel canone socia le, nel canone convenzionale fondato sull’uguaglianza ideale. Rispetto a questo canone chi non vi si attiene fa un “furto” (Karl Marx). Accade oggi in Italia che un uomo, che lavora da anni nell’impresa che ha fondato, venga criticato per la sua bella casa. Quella casa sarebbe “la prova” che i profitti dell’azienda vanno altrove. L’idea di uguale, ovvero l’idea di sé che diventa l’Altro come proprio spettro, produce queste nefandezze.

La casa, come altre proprietà, è sempre sotto attacco, tra balzelli, espropri e confische. Colpire la casa è colpire il nostro patrimonio e il nostro capitale, che sono intellettuali perché sono frutto della mano dell’uomo, della sua particolarità. La mano è stata intesa come mano che prende e che toglie oppure come la mano caritatevole, ora mano buona ora cattiva, pulita o sporca. Ma la mano è intellettuale perché esige l’intelligenza come arte del fare, il modo del fare, che non è mai naturale. Ecco allora che in Italia, dal Rinascimento in poi, è stato progettato e costruito l’80% del patrimonio artistico mondiale, quando gli artigiani erano anche artisti, viaggiatori e scrittori, mercanti e poeti. Grazie all’integrazione di arte e cultura il nostro paese è ricco di testimonianze materiali di civiltà, come sono i monumenti delle nostre splendide piazze e dei nostri borghi, che restano un unicum nel pianeta.

La casa italiana: la casa del borgo, la casa in collina o in montagna, la casa al mare o la casa di città. In ciascun caso è la casa che viaggia con il suo custode e in questo viaggio le cose che si fanno non finiscono.

La casa è naturale? Esige il modo costruttivo, l’impresa e l’investimento. La casa è la casa che troviamo nella parola, nel racconto del progetto e del programma, è casa bottega e casa di produzione, anziché regno del casalingo, del privato da opporre al pubblico. Per questa via il privato è stato assimilato al domestico e la proprietà privata è divenuta sinonimo di negativo. In nome dell’interesse pubblico, prima il lavoro, poi l’auto e oggi la casa, tutto ciò che è privato da alcuni anni è assediato anche da un apparato di buone ragioni che renderebbero più conveniente non andare a lavorare, non usare l’auto e abbandonare la casa, presunta non più sicura a causa del cambiamento climatico.

È una questione che si usi costantemente l’ira della cosiddetta “madre Terra” – secondo mai sopiti echi del paganesimo – per mettere in pena l’uomo e la sua mano, l’uomo e la sua intelligenza, per mettere in pena e sotto penitenza il fare. Secondo questa religione sarebbe meglio starsene chiusi e non affollare strade, scuole e luoghi di lavoro, “tanto è possibile fare le stesse cose da remoto”, si dice. Ma l’incontro che avviene da remoto non è certamente quello che produce un altro slancio quando avviene de visu, quando interviene in un altro rischio. E poi vi è chi si lamenta che i giovani non parlano? E come fanno i giovani a intraprende re la conversazione, la narrazione e la lettura se i dispositivi della parola sono intesi come automatici o convenzionali.

La parola non ha ambiti di competenza, i più grandi artisti hanno dato prova che nella parola, nel fare, non ci sono i compartimenti stagni. Da sempre gli scienziati sono letterati, matematici, artisti e filosofi. E non c’è un addetto a fare, perché la libertà della ricerca e dell’intrapresa sono intoglibili e inconfiscabili. Non a caso nel suo libro La proprietà sotto attacco (Liberilibri), che presentiamo oggi, Carlo Lottieri scrive: “Se si vuole nutrire qualche speranza per gli anni a venire si deve ricordare che la progressiva mortificazione della libertà individuale produrrà contraccolpi. Nessuna società può costantemente violare i diritti di proprietà senza pagare un prezzo. L’annichilimento della libertà, allora, avrà esiti devastanti. Una politica che si nutre di logiche redistributive alla fine causa la disfatta dei parassitati come dei parassiti. È ovvio che la strada che conduce alla servitù provoca un crollo della creatività, un dissolversi della responsabilità personale e una crescente burocratizzazione”.

Attaccare la proprietà, e con essa la casa di proprietà, nelle sue varie forme, comporta minare la città come base del la civiltà della vita.

 

Il testo di Caterina Giannelli e seguenti, fino a pagina 23, sono tratti dagli interventi al convegno dal titolo

La casa. La proprietà, l’investimento, l’accoglienza (Bologna, 29 ottobre 2024).