L’EREDITÀ DELLA TRADIZIONE IN CUCINA… DA DANILO

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titolare e collaboratrice del ristorante Belvedere da Danilo, Modena

Al ristorante Belvedere da Danilo ave te molto da dire a proposito del titolo di questo numero della rivista, L’eredità intellettuale, sia perché portate avanti la tradizione culinaria modenese che ha origini antichissime sia perché proseguite nel solco dell’esperienza di sua madre, Angiolina Dondi, e della mitica Paola Caselli, scomparsa prematuramente il 22 ottobre 2021, che ne aveva ereditato la memoria e l’aveva trasmessa alla vostra “brigata” in cucina…

L’eredità nella cucina tradizionale non è una cosa semplice, non consiste nel trasmettere ricette che descrivono in modo dettagliato le quantità d’ingredienti e la loro combinazione, anzi, le cose si fanno lungo l’esperienza. Noi, in cucina, per fortuna possiamo avvalerci di Luca – che tira ancora al mattarello la sfoglia per i tortellini, le tagliatelle e le lasagne come si faceva una volta –, di Cinzia – che prepara i sughi per i primi piatti seguendo la tradizione –, e di Georgiana, che è riuscita a dare continuità a tutti i tipi di dolci e di piatti in cui eccelleva Paola.

Georgiana, ci racconta qualche aneddoto a proposito degli insegnamenti di Paola, magari qualche ricetta…

Le ricette non posso raccontarle per ché non me le ha lasciate, io le ho “rubate”: mentre faceva i dolci, stavo dietro di lei e osservavo attentamente per carpire informazioni sugli ingredienti, sulle quantità e sulla lavorazione, poi andavo a casa e provavo a farli a mia volta, finché non riuscivo ad avvicinarmi al risultato. È così che ho imparato, anche perché Paola non poteva lasciarmi ricette scritte, visto che non le aveva neanche lei, faceva tutto “a occhio”, servendosi della mano come misura. Non ha mai usato la bilancia per pesare gli ingredienti, e i suoi dolci sono sempre riuscitissimi, tant’è che i clienti avrebbero voluto acquistarli per consumarli anche a casa o per fare bella figura con i loro ospiti. Proprio come un’artista, mentre cucinava, Paola provava e riprovava, aggiungeva un po’ alla volta un ingrediente o l’altro, finché non era soddisfatta. Quando faceva gli gnocchi di patate io cercavo di capirne la consistenza provandola con le dita, oltre ad apprezzare la qualità delle materie prime utilizzate. Quando è scomparsa improvvisamente, quattro anni fa, mi sono ritrovata a dovere portare avanti la sua eredità dalla sera alla mattina, e non è stato facile. All’inizio, soprattutto per il ripieno dei tortellini, chiedevo a Danilo di darmi un parere perché volevo che, se non erano perfettamente uguali, almeno si avvicinassero il più possibile a quel li che faceva lei. Anche perché i nostri clienti erano stati abituati bene e non potevamo scontentarli.

Danilo, ci racconta come hanno risposto i clienti ai dolci e ai piatti che Georgiana ha avuto il compito di offrire, quando è rimasta senza la sua “maestra” nell’arte culinaria?

Ciò che è avvenuto ha qualcosa di straordinario: nessun cliente abituale ha notato una seppur minima differenza, ciascuno ha continuato a gustare e a lodare i nostri piatti e i nostri dolci com’era sempre accaduto da oltre cin quant’anni. Alcuni giovani che vengono qui il venerdì sera hanno continuato a prenotare una torta tagliatelle, che richiede una preparazione molto complessa, quindi sarebbe stato faci le incorrere in qualche piccolo errore. Una signora che lavora in banca l’altro giorno ha lodato le frittelle di castagne che ha preparato Georgiana, chiedendo di riservargliene almeno dieci per la prossima volta che verrà a pranzo, perché dice che non ha mai assaggiato frittelle di castagna così buone. Per non parlare della bavarese, che va a ruba: un semifreddo con mascarpone e scaglie di cioccolato fondente al 70%, avvolto da un savoiardo imbevuto in una bagna generosa di un nocino che, tra l’altro, è una nostra riserva. Georgiana la prepara proprio come Paola, anche se ha dovuto cambiare un ingrediente perché prima utilizzavamo un liquore di un fornitore che poi ha cessato l’attività. Non era facile sostituirlo con il nocino perché è molto alcolico, ma lei ha trovato un metodo per ridurne la gradazione e il risultato è veramente ineguagliabile.

La sua capacità principale, però, come quella di ciascun cuoco che lavora in un ristorante tradizionale, è quella di riuscire a fare lo stesso piatto tutti i giorni, sempre lo stesso, senza cambiare assolutamente niente. Non è facile, perché spesso invece si tende a introdurre qualche variazione, magari attratti dalle mode. Oggi, soprattutto, con la diffusione dei programmi televisivi di cucina, sembra che tutti possano diventare cuochi. Invece questo è un mestiere che richiede anni e anni di dedizione, di esperienza, di esercizio e di allenamento. Una volta è venuta una signora a fare una prova per essere assunta in cucina da noi. Già il primo giorno ha preparato un buffet di piatti freddi e caldi veramente eccezionali. Al terzo giorno, però, aveva cambiato tutti i piatti, quindi se un cliente abituale chiede va ciò che aveva mangiato due giorni prima, rimaneva deluso. Allora, le ho chiesto di rifare gli stessi piatti del primo giorno, che avevano riscosso tanto successo, ma la sua risposta è stata: “Non posso, perché io non seguo una regola, io invento”. Magari in altri ristoranti i clienti apprezzano questo tipo di improvvisazione, ma da noi no, noi siamo garanti e custodi della tradizione, quindi i clienti si aspettano di mangiare i piatti che ne fanno parte da secoli.

Tra l’altro, per fortuna, Georgiana ha anche le mani piccole come quelle di Paola, per cui la sua “manciata” o il suo “pizzico” sono più o meno gli stessi. E anche questo ha la sua parte nella trasmissione dell’eredità intellettuale della nostra esperienza in cucina. A questo proposito, le racconto un aneddoto particolare: il marito di Paola, Giancarlo, che è anche mio amico, era felice di gustare ogni domenica la zuppa inglese che la moglie preparava a casa. Quest’anno, per il suo compleanno, Georgiana ha pensato di regalargli la sua zuppa inglese, anche per onorare la memoria della moglie. Appena l’ha assaggiata Giancarlo ci ha telefonato con le lacrime agli occhi: “È veramente incredibile, è proprio come la faceva Paola”. Altro che “invenzione”, la cucina della tradizione richiede capacità d’imparare dall’esperienza e di rimanere il più fedeli possibile alle regole non scritte che disciplinano la qualità degli ingredienti, le loro quantità e il modo di combinarli fra loro. Chi non riesce a fare questo non può accampare la scusa che sta “inventando”, deve ammettere che non ci riesce e riprovare fino a raggiungere un risultato soddisfacente.

Non ho niente contro chi mette, per esempio, la panna montata sulla zuppa inglese, ma poi non può chiamarla zuppa inglese, è un’altra cosa. Le vecchie ricette tradizionali non s’inventano, si “fanno”, come il Parmigiano Reggiano, che “non si fabbrica, si fa”. Le cose si fanno, e fare sempre le stesse cose non è facile.