DANIELA GASTALDELLO: LA NOSTRA MATERIA È INTELLETTUALE

Il 2 gennaio scorso Daniela Gastaldello, collaboratrice della nostra rivista, è deceduta. È andata via per restare, in altro modo, con noi. Pubblichiamo il testo che il nostro direttore ha letto a Milano il 16 gennaio, durante le esequie.
Se dovessimo descrivere Daniela Gastaldello ricordando le sue qualità, l’elenco degli aggettivi sarebbe lunghissimo: era autentica, generosa, sincera, vivace, coraggiosa, intraprendente, pragmatica; e poi sorridente, intelligente, bella, e tanto altro ancora. Ma, come scrive Armando Verdiglione: “La qualità della vita non ha avverbi, non ha aggettivi, non puoi metterti a predicarla”. E, allora, non resta che testimoniare di alcuni aspetti di un itinerario straordinario, in cui ha saputo trarre, in un modo o nell’altro, ciascuno di noi.
Qualcosa è incominciato nel 1981: l’esigenza di una formazione intellettuale la spinge a iniziare a venticinque anni l’analisi, poi il trasferimento da Bassano del Grappa e dai suoi familiari a Milano per seguire le attività del Movimento cifrematico. E, per finanziare la sua ricerca a Milano, incomincia a lavorare nelle assicurazioni, dove in poco tempo apre una sua agenzia. Poi, senza attendere di avere e di essere per fare, partecipa ai congressi di psicanalisi a Roma e a Parigi, all’organizzazione del congresso internazionale di Tokyo e all’investimento, con Armando Verdiglione e altri, nel pro getto culturale più straordinario del Novecento, la ristrutturazione della Villa san Carlo Borromeo di Senago e la sua trasformazione nella città del Secondo rinascimento, dove ci siamo incontrati, tenendo, insieme, un corso dal titolo L’assicurazione del superfluo. E in questo investimento lei mi ha coinvolto, traendomi in una scommessa di verità e di riso che non sono mai venuti meno, nonostante il barbarico attacco giudiziario alle nostre associazioni e società, che ha colpito anche la sua attività di assicuratrice. Ma il viaggio è continuato, ora insieme, in uno speciale internazionalismo: il congresso di Ginevra, di San Pietroburgo, il viaggio premio con l’Allianz in Australia, quel lo con i Lions in India, l’inaugurazione della mostra di capolavori del secondo rinascimento a Chong Qing, in Cina. E fino a ieri, ciascun lunedì l’equipe di cifrematica a Milano, e ciascun sabato l’assemblea del Movimento cifrematico. E il proseguimento nelle assicurazioni, anche dopo la pensione, e negli studi universitari, e la collaborazione con la nostra rivista.
Cosa ha sorretto questo viaggio intellettuale, questa rara combinazione di cultura e di arte, di scienza e di finanza, nutrito dalla sua esigenza di bellezza e di novità? La sua fede nella riuscita: fede mai venuta meno quando le cose incominciavano o nelle circostanze apparentemente più drammatiche. Fede che operava in modo pragmatico, idea non saputa dell’assoluto, provocazione e garanzia che non può venir meno. Per questa via il lutto per la morte dei genitori è risultato istanza di rilancio, di aumento, e il dolore per quella del fratello esigenza di abbondanza. E così non ha mai accettato lo stato di necessità, la modestia del passo più corto della gamba, perché per lei la vera necessità era quella del superfluo, la necessità del caso di valore. Il superfluo cui mirava non è lo spreco, è il profitto intellettuale, la cui esigenza la teneva distante dalla mentalità mercenaria, in cui tutto è commisurato e finalizzato: era il superfluo come qualità pragmatica, come lusso poetico, che attraversa la materia della parola, la materia intellettuale, non sostanziale e non mentale. E questa intellettualità della materia della parola le era indispensabile perché le dava respiro, eleganza e leggerezza, nel passo e nel piede, nella veste e nel gesto, nell’interlocuzione e nella scrittura. E le consentiva di non risparmiarsi, di non risparmiare nulla a sé e ad altri, nel dire, nel fare, nello scrivere.
Per Daniela ciascuna materia, anche ruvida e scabrosa, poteva essere affrontata nella parola, senza reticenze e complicità, in un processo linguistico narrativo: per questo l’interlocuzione con lei era autentica, generosa, ricca, perché lei era esigente con sé e con gli altri, senza rassegnazione e senza sufficienza. E allora capivi che il superfluo è il fluire libero e leggero delle cose nella parola, è l’infinito e l’eterno che insiste nell’interlocuzione.
Potremmo chiederci: come faremo senza l’interlocuzione con Daniela? Daniela ci manca? Ma l’interlocuzione con Daniela prescinde dall’alternanza presenza/assenza, non esige la sua presenza, tanto meno spirituale. Daniela è interlocutrice con noi in ciascun atto, se noi in ciascun atto ci costituiamo come interlocutori, se non cediamo sulla parola e sull’ascolto, e precisamente sull’autorità e sul la responsabilità. Daniela non cedeva sull’essenziale, anche questo era un suo modo di elaborare la questione donna. Attenendoci allo statuto di interlocutore, lì, noi troviamo Daniela, nell’itinerario in cui ci ha lanciato e da cui nessuno può toglierci. Qui Daniela non ci manca, Daniela non manca. Quando nel lavoro, nella casa, nell’impresa ciascuno di noi è statuto della parola, lì, c’è Daniela. Quando la vostra vita è la parola, lì, trovate Daniela.
Questa la sua eredità.