L'IMPRESA, LA POLITICA, LA COMUNICAZIONE
Un buon programma di politica industriale è un programma che incentiva l’insediamento delle imprese scelte per lo sviluppo di quel territorio o che ne sostiene il consolidamento e la crescita. Un programma si può definire buono se comprende sostegno all’innovazione tecnologica, all’esportazione o addirittura all’internazionalizzazione delle imprese, all’occupazione (nelle regioni ove ciò è necessario, dove cioè rientra negli obiettivi di politica economica), alla qualità. Un programma deve essere anche (possibilmente) completo, coerente, realizzabile. Marco Maiocchi, nel suo libro Il bel programma. Percezione, struttura e comunicazione (Spirali edizioni), ci suggerisce che esso deve essere anche bello. C’è di che rimanere perplessi.
A ben vedere, tuttavia, e il libro ci apre gli occhi, questo è assolutamente vero. L’appropriabilità e quindi l’efficacia di un programma economico (al di là del solo settore industriale), la sua comprensione, dipendono da come viene presentato, in quali forme, con quali stimoli di sequenza logica, utilizzando quali immagini e quali tempi, e così via. È fondamentale. La forma è sostanza, come sempre.
Un buon (e bel) programma di politica industriale non può prescindere, oggi più che mai, dal tema del sostegno alla diffusione dell’informazione, risorsa primaria del nuovo processo produttivo in pressoché tutti i settori dei beni e dei servizi.
All’interno di questo discorso, riportato al ristretto ambito che più mi compete, assume importanza decisiva l’analisi dei meccanismi di comunicazione all’impresa e in generale all’operatore economico. L’analisi si insinua nelle relazioni tra messaggio e sua ricezione, tra messaggio e messaggio, tra messaggi e progetto complessivo di comunicazione.
Il libro di Marco Maiocchi ci invita a dare valore e attenzione a tutto questo.
L’impaginazione, il tipo di carattere, la fluidità dei testi, le immagini e la loro collocazione, l’ampiezza, sono tutte caratteristiche che rendono un testo scritto più o meno leggibile, accattivante e quindi recepito ed efficace. Lo stesso dicasi per qualunque altro mezzo di comunicazione.
L’economia da tempo si coniuga per aumentare la sua capacità di analisi (e diminuire la sua “tristezza”) con altre scienze come la matematica, la fisica, la psicologia, la filosofia. Bisogna riconoscere la necessità di coniugarsi anche con l’estetica. Anche nell’elaborazione “di modelli, pur elementari, che ci forniscono un minimo di capacità predittiva” l’economia ha bisogno dell’estetica.
Nella cosiddetta società dell’informazione e della globalizzazione, l’aumento del numero e della tipologia dei contatti assieme con la diminuzione dei costi di transazione, determina il moltiplicarsi delle occasioni di circolazione dell’informazione, vi è molta più informazione che si diffonde nell’ambiente. Ma ciò, contrariamente a quanto si pensa, può aumentare il gap informativo dei soggetti più deboli. Mentre alcuni (i soggetti più attrezzati) traggono benefici considerevoli da questa massa crescente di informazione, riuscendo a selezionarla, settorializzarla, (sinestetizzarla?) valorizzarne i contenuti, gli altri, anche a causa di una scala dimensionale spesso inferiore, vedono peggiorare la loro condizione relativa.
Ecco allora il ruolo della “politica” che riduce le differenze e che sopperisce al meccanismo di mercato riducendo le iniquità della distribuzione, fornendo informazioni ai soggetti svantaggiati (reti).
Anzi l’intervento pubblico deve caratterizzarsi secondo due modalità:
- garantire adeguate condizioni di accesso a tutti i soggetti;
- produrre nuova informazione esso stesso, con elevato tasso di proliferazione e di turnover di messaggi.
In questo modo si riducono le differenze e si alimenta il processo di sviluppo del mercato.
In pratica i suggerimenti più frequenti alla P.A. (soprattutto Regioni, Provincie, Comuni) riguardano:
- il sostegno alla messa in rete delle diverse fonti informative e di comunicazione;
- la promozione dell’imprenditorialità del settore con mobilitazione di capitale privato;
- l’assegnazione di marchi di qualità ai prodotti del settore (segnali) anche per gli operatori di minor dimensione;
- la facilitazione del raccordo tra tecnologia informativa, creatività e utilizzatori.
E, ad un recente convegno, si è anche sottolineata la necessità di valorizzare le attività di ascolto come fattore strategico di cambiamento, per innovare e modernizzare la stessa P. A. Ma questo, probabilmente, è un altro discorso.