LA CARTA DELLA QUALITÀ
In che modo le aziende del Ducato Estense possono giocare la loro carta intellettuale, avvalendosi del patrimonio artistico e culturale di un territorio che è stato culla del rinascimento?
Sicuramente Ferrara, come molte altre città e come l’intero paese, è straordinaria: ovunque si vedono tracce e testimonianze, non solo monumentali, di una cultura millenaria, un valore che abbiamo ereditato e di cui siamo orgogliosi. Ma questo patrimonio culturale viene ancora curato da noi o l’abbiamo un po’ trascurato? Negli ultimi tempi, ci siamo lasciati distrarre dai ritmi frenetici della vita moderna che ci hanno indotto a guardare altrove, magari in cerca di nuovi mercati in un mondo che cambia troppo in fretta. Nonostante constatiamo che alcune imprese non hanno perso di vista questo patrimonio e lo utilizzano per promuoversi in altri paesi, non sempre riescono a valorizzarlo come meriterebbe, se è vero che nel mondo globale bisogna distinguersi: la società globale dev’essere molto segmentata, ma, in un pur piccolo segmento, bisogna essere ben riconoscibili. Solo così possiamo dire che lo spazio non manca per nessuno, non è vero che anneghiamo in una nebbia dove tutti sono uguali, anzi, a maggior ragione, le differenze si esaltano. Ecco perché spero che gli imprenditori ferraresi colgano questa chance e incomincino ad affermare non solo di discendere da una terra benedetta, ricca di storia, di imprese, di grandi personaggi, ma di essere tuttora e in modo nuovo parte di quella storia perché producono in linea con la loro tradizione.
Allora la carta intellettuale delle imprese del Ducato Estense dovrebbe scriversi in modo più deciso?
Certo, accanto alle imprese che già la stanno scrivendo c’è tutto un mondo di piccole imprese – ma questa è l’Italia, su sei milioni di imprese, solo il 3 per cento è rappresentato da grandi – che costituiscono un potenziale inesplorato, che può dare grandi risultati se si unisce il genio creativo al nuovo modello di rete, dove anche il piccolo imprenditore può divenire coprotagonista all’interno di un disegno più grande, in cui ciascuno ha il proprio ruolo riconosciuto a pari dignità, assolutamente differente dai vecchi modelli della subfornitura dove c’era un’impresa leader e tutti gli altri facevano le comparse.
Anche al proprio interno, ciascuna azienda dovrebbe essere organizzata secondo il modello della rete, per cui ciascun comparto dovrebbe essere come una bottega con le sue maestranze…
Abbiamo perseguito per decenni la catena di montaggio, l’economia di scala, il basso costo di produzione, e questo ha posto l’Italia in una posizione sfavorevole, come tutti i paesi evoluti. Allora, attestiamoci sulla qualità, sul modello unico, sullo stile italiano in tutti i settori, non solo nella moda e nell’alimentare: è una caratterizzazione forte, che può resistere e trovare una valorizzazione anche in una mercato competitivo.
Le maestranze sono essenziali e purtroppo stanno scomparendo. Non è un caso che la Louis Vuitton abbia puntato su Ferrara per aprire una fabbrica di scarpe con l’esclusivo marchio Berluti, chiamando a raccolta gli operai di un ex calzaturificio: non è andata in Cina, ma dove c’erano una tradizione, una cultura e maestranze all’altezza. Ma c’è da dire che in Emilia Romagna le imprese hanno delocalizzato poco, quando c’è stata la grande apertura dei mercati, e molte sono rientrate, pur di non abbassare il livello dei prodotti; nonostante i costi che abbiamo in Italia, non hanno voluto abbandonare il valore della qualità. Questo m’incoraggia a pensare che, se diventeremo più virtuosi, sprecando di meno, e se riusciremo a eliminare tutte le norme rigide che abbiamo costruito, nel processo di modernizzazione del paese potremo confidare negli elementi di valore che abbiamo nelle persone, nelle imprese, che possono farci vivere un nuovo rinascimento, che poggi proprio sul saper fare, sul genio, sulla creatività, in breve, sul capitale intellettuale.
La Fondazione Cassa di Risparmio di Cento ha dato un apporto essenziale alla valorizzazione del patrimonio artistico e culturale del centese, con le sue pubblicazioni, non solo intorno all’opera del suo artista più noto, il Guercino, ma andando alla scoperta di tutte le testimonianze materiali di civiltà, confermando così la propria vicinanza al territorio, soprattutto se consideriamo che proprio intorno a tali testimonianze si organizzano occasioni d’incontro e di parola, proprio come avveniva nelle corti del rinascimento, dove la combinazione fra arte, cultura, scienza, economia e finanza era costante…
Vedo nel duca o nel signore dell’epoca un imprenditore illuminato: gestiva il ducato, i suoi possedimenti, faceva politica amministrativa, politica di relazioni e in più sapeva trovare gli ingegni. Il mecenatismo è stato l’espressione della lungimiranza che avevano i potenti, i quali non badavano soltanto al denaro e ad accrescere i propri territori, ma volevano qualificare il ducato, la propria corte, attraverso personaggi in grado di portare lustro: da qui la ricerca degli artisti, dei letterati, e la reputazione del signore cresceva anche in base al numero di ingegni di cui sapeva circondarsi. Sapevano bene che la ricchezza procede dallo scambio.
Allora, per restare nel solco del rinascimento, insieme all’allora rettore dell’Università, Patrizio Bianchi, abbiamo colto la sfida di aprire le porte di quella che era una specie di cittadella fortificata, abbastanza autoreferenziale, i cui congressi erano frequentati solo dagli studiosi. Come presidente della Camera di Commercio, ho raccolto l’esigenza di qualità intellettuale che proveniva dal mondo delle imprese e insieme abbiamo organizzato tanti incontri per portare gli studenti e neolaureati nelle imprese, perché la loro curiosità e voglia di emergere potesse portare beneficio alle imprese. Da questi incontri, da queste occasioni di parola e di scambio, con nostra grande soddisfazione, è nata l’Associazione per l’innovazione, che presiedo e che ha sede nella Camera di Commercio. L’Associazione, di cui fanno parte tutte le associazioni di categoria, individua i bisogni più importanti delle imprese e li segnala all’Università, senza la pretesa che essa vi si adegui nei propri programmi. La comunicazione con l’Università e i finanziamenti che gli imprenditori erogano attraverso la Camera al raggiungimento dei risultati attesi hanno favorito un intreccio che oggi è ancora una novità, ma che sta già dando i suoi frutti.
Allora, il genio italiano vince sempre, spread o non spread, nessuno può togliercelo, ma noi dobbiamo valorizzarlo maggiormente.