ARTI E INVENZIONI DELLA SARTORIA DELL’IMBALLAGGIO
Lei dirige diverse aziende nel settore del packaging, in particolare le sue aziende sono attive da oltre quarant’anni nel settore del cartone per imballaggi e da circa dieci anche nel settore del legno. Oggi offrite anche servizi di stampa digitale sia su cartone sia su legno, al punto da essere riconosciuti dai vostri clienti come la sarto ria dell’imballaggio. Quali sono le proprietà e i vantaggi del cartone?
La ricerca intorno agli impieghi di questo materiale, il cartone, è ancora ben lontana dall’essere esaurita. La caratteristica principale del cartone è di essere riciclabile all’infinito. Nelle cartiere la materia prima si ricava dal riciclo di carta, cartone e scarti di lavorazione. Utilizzando l’acqua si fa il cosiddetto “pulpo”, una pasta detta anche carta pesta, che non viene più pestata ma lavorata da vortici ad acqua. Quando la materia prima è stata già riciclata troppe volte viene aggiunta carta di buona qualità. Questo per dire che della carta non viene buttato via niente.
Avendo costi molto ridotti, oggi il cartone è diventato la materia prima di riferimento. Noi produciamo imballaggi di cartone che vanno dal cioccolatino al prodotto farmaceutico, fino al componente per l’automotive. Confezioniamo anche imballaggi per oggettistica e abbigliamento del settore lusso. In altre parole, con questa materia prima la fantasia può davvero sbizzarrirsi.
Come ha incominciato a lavorare nel settore?
Il mio primo approccio alla carta è avvenuto nel 1973, anche se l’attività vera e propria è incominciata nel 1977. Le cartiere – lungo il fiume Reno, a Sasso Marconi e a Marzabotto, ne sono state edificate ben tre – sono sempre state costruite in prossimità di fiumi, perché l’acqua è sempre stata necessaria per la lavorazione della carta. Avevo quindici anni quando ho incominciato a lavorare nel settore delle sementi per piante da vivaio. Guadagnavo bene, però era un lavoro stagionale. Allora un mio amico, che era anche proprietario di uno scatolificio, mi propose di lavorare con lui come socio, perché aveva bisogno di qualcuno che gestisse gli aspetti burocratici dell’azienda e le vendite. Per non rimanere inattivo nella parte dell’anno in cui non lavoravo, ho accettato la proposta. L’attività nello scatolificio mi occupava a tempo pieno e quindi ho lasciato l’altro lavoro e lo scatolificio si è sviluppato notevolmente.
Insieme al mio amico avevo aperto una società per entrare nella compagine societaria dell’azienda in cui lavoravo, che aveva il tipico assetto famigliare ed era guidata da un uomo di grandi qualità intuitive, diventato cieco perché grande invalido di guerra. Ero molto giovane, ma decisi di rischiare. Non credo vi sia stata una ragione specifica, ma io non ho mai fatto il dipendente. Le occorrenze della vita, man mano, mi hanno portato a prestare la mia opera senza finalizzarla necessariamente allo stipendio. Per me è sempre stato essenziale avere una posta in gioco e anche l’ambizione di riuscire. A questo proposito vorrei spezzare una lancia a favore dei giovani. Io non so se davvero non abbiano voglia d’intraprendere, come spesso sentiamo dire. Penso invece che aprirebbero volentieri una propria impresa, ma la burocrazia spegne subito i loro entusiasmi. Del resto, la burocrazia italiana non sta forse distruggendo tutto, anche le imprese che hanno già avviato l’attività?
Che cosa intende quando parla di burocrazia?
Intendo l’esigenza della pubblica amministrazione di controllare tutto, senza però dare risposte immediate quando il privato si propone d’intraprendere un’attività d’impresa. E questo riguarda sia l’ambito del credito sia quello delle concessioni e dei permessi. Questo controllo può anche essere giustificato, in quanto nell’azienda deve essere garantita la sicurezza completa a chi vi lavora, dal momento che di infortuni e morti sul lavoro ce ne sono sempre troppi. Ma il modo con cui la burocrazia si approccia a questi obblighi è inquisitorio e colpevolizzante. A volte l’imprenditore, in quanto titolare dell’impresa, è gravato da responsabilità penale corrispondente invece all’assenza di responsabilità da parte degli altri operatori coinvolti nel pro cesso organizzativo. In altre parole, chi è tenuto a dare informazioni all’imprenditore affinché svolga il proprio lavoro in sicurezza è sempre più sollevato da ogni responsabilità, che invece investono interamente il proprietario dell’azienda.
Alcuni anni fa, per esempio, un infortunio accaduto a un lavoratore della nostra azienda ha prodotto una tale pressione da parte del funzionario preposto che, a un certo punto, lui stesso ha dichiarato quasi con soddisfazione che effettivamente ci stava togliendo il fiato. Non ci dava la possibilità di spiegare la dinamica dei fatti, in modo da dissipare i suoi preconcetti. Oggi, in Italia, basta avere un “numero civico” e tutto ciò che avviene a quell’indi rizzo è passibile di reato da ascrivere all’intestatario di quel numero. Noi siamo stati, però, anche un caso unico al mondo, perché in oltre quarant’anni di attività abbiamo avuto soltanto due casi di infortunio e in entrambi siamo stati assolti per non avere commesso il fatto.
La mentalità burocratica dissuade i giovani dall’intraprendere l’attività d’impresa?
Per avere un permesso è ancora necessario passare da miriadi di uffici che si rimpallano fra loro le responsabilità. La burocrazia non viene esercitata soltanto nelle sedi istituzionali degli uffici pubblici, ma prospera anche fra coloro che rivestono una posizione di controllo a livello pubblico locale perché serve a mantenere se stessa, ecco perché è inefficiente. Essa non soltanto non considera il valore delle persone, spesso trattate alla stregua di numeri, ma grava sull’economia del paese. Basti considerare che le aziende devono avere collaboratori dedicati appositamente a smaltire procedure burocratiche, altrimenti non possono lavorare. E poi la burocrazia favorisce anche la concorrenza sleale da parte delle imprese di quei paesi che non hanno apparati di questa portata da mantenere. Ma nell’impresa occorrerebbe occuparsi soltanto di produrre ricchezza, non per arricchire l’imprenditore: l’azienda ha bisogno di fondi da investire per rinnovarsi e stare al passo con le richieste del mercato.
Oggi il cartone diviene arte, essendo sempre più utilizzato nel design e nell’arredamento…
Noi facciamo soprattutto imballaggio, ma abbiamo intrapreso la produzione anche di prodotti da arreda mento. I nostri arredi sono facilmente realizzabili e vanno dalle poltrone alle scrivanie, alle scaffalature, agli armadietti, ai comodini e così via. Il miglior partner di queste produzioni è l’architetto, perché, quando conosce il valore, la resistenza e la qualità della materia prima, riesce a sfruttarla al suo massimo grado. Anche gli stilisti incominciano ad apprezzare questa mate ria prima straordinaria. Lei pensi che Hermes, in una certa fase, ha introdotto nelle vetrine delle boutique soltanto arredi di cartone. Questo accade anche perché oggi il cartone è inteso come alternativa alla plastica, considerata inquinante. Al riguardo aggiungo che ritengo sbagliato questo giudizio, per ché chi produce oggetti in plastica non lo fa certo per inquinare.
L’unico responsabile dell’inquina mento è invece l’utilizzatore: se una persona è educata non abbandona il rifiuto per terra o in mare. D’altra parte, lo stesso discorso vale per l’utilizzatore del cartone abbandonato che si deteriora, con la differenza che questo è un materiale biodegradabile, o, per usare una definizione ancora più precisa, è ecosostenibile.
La parola “sostenibilità” nell’ambito della carta trova moltissime applicazioni. Il cartone ondulato da imballaggio, per esempio, è un prodotto industriale che ha un secolo o poco più di storia e ha il pregio di assicurare maggiore stabilità, perché è una struttura ingegneristica. La filiera produttiva incomincia dalla cartiera, che produce le bobine di carta, prosegue con l’ondulatore, azienda addetta a ondulare i vari tipi di carta che assembla, trasformandoli in fogli semilavorati da consegnare allo scatolificio, che a sua volta li trasforma in imballaggi. Noi, quindi, siamo la sartoria dell’imballaggio: prendiamo il “tessuto” dalle bobine e lo “cuciamo”. Oggi le aziende della nostra filiera che hanno ricevuto la certificazione di alta sostenibilità FSC, Forest Stewardship Council, non inquinano e producono senza sprechi.