L'ITALIA PER LA PACE IN IRAQ
Nonostante l’impegno come imprenditrice nel settore immobiliare a Modena, continuano le sue missioni, anche se questa volta come Capitano dell’Esercito italiano, in Medioriente. Che cosa può dirci del suo recente viaggio in Iraq?
Dopo le esperienze in Kosovo e in Afghanistan, questa è la prima in uniforme e devo riconoscere di trovarmi molto a mio agio in questa veste, sopra tutto perché mi è stata data l’opportunità di lavorare nel campo che più mi appassiona in assoluto, quello umanitario e quello in cui sento di avere ancora tanto da dare. Sono partita a metà febbraio come Capitano della Riserva Selezionata per essere impiegata con il contingente italiano nell’ambito dell’Operazione “Antica Babilonia”, nella nostra base italiana di Tallil, poco distante da Nassirya. Sono stata richiamata dallo stato Maggiore dell’Esercito per svolgere attività CIMIC, la Cooperazione Civile e Militare che opera come interfaccia tra l’esercito (essendone parte) e la popolazione locale, le autorità riconosciute e le varie ong e og presenti sul territorio, fornendo un valido supporto per la ricostruzione del paese e il sollievo alla sua popolazione martoriata, riparando strutture come strade, ospedali, edifici istituzionali, rete fognaria, acquedotti, raffinerie, centrali elettriche, ecc.
Dall’inizio della missione sono stati portati a termine alcuni progetti?
Sì, sono state costruite scuole, strade e altre strutture. Ma questo è sopra tutto un modo per far rifiorire l’economia locale e per responsabilizzare le persone, perché noi siamo lì e controlliamo l’andamento dei lavori. È stato fatto, con la cooperazione italiana che ci ha dato i fondi, l’ospedale pediatrico di Nassirya. La mia mansione principale, oltre all’essere l’ufficiale di collegamento CIMIC tra la Brigata Garibaldi e la Divisione inglese a Bassora, era organizzare e realizzare un’attività concentrata sull’assistenza sanitaria, a cui hanno preso parte una trentina di persone come staff fisso formato da medici con varie specializzazioni, infermieri della Croce Rossa Militare, Crocerossine e assetti militari di scorta che cambiavano di volta in volta permettendo a tutte le componenti dell’esercito (Aeronautica, Esercito, Marina con il battaglione San Marco e Carabinieri del Tuscania) di prendere parte all’attività, a seconda delle aree visitate e dei villaggi in cui si effettuava l’operazione. In alcune tappe ci siamo avvalsi anche della scorta del battaglione rumeno che opera alle dipendenze del Comando Italiano. Questa attività ci ha permesso di effettuare visite mediche in villaggi sparsi sul territorio di responsabilità della Italian Joint Task Force, la Regione del Dhy Qar, a cui venivano di volta in volta affiancate distribuzioni di materiale vario e generi di conforto, per alleviare le pene degli abitanti della zona, già così privati di quella che per noi è la base vitale. Parlo di acqua potabile, cibo, lavoro, medicinali, assistenza. Durante il regime di Saddam Hussein, infatti, questa parte dell’Iraq era particolarmente vessata, considerato che lui ha fatto in modo che l’intera regione venisse desertificata, lasciando la popolazione nell’indigenza più totale. L’entrare in contatto con la realtà occidentale, seppur filtrata attraverso mezzi blindati, uomini e donne in uniforme, armati e con giubbotto antiproiettile, ha permesso a queste persone di vedere un’altra faccia del mondo, rendersi conto che d’ora in poi ci sarebbe stato qualcuno che li avrebbe aiutati, prima attraverso di noi e poi attraverso istituzioni locali aiutate a nascere e a insediarsi e radicarsi nel territorio.
A proposito invece della missione in Afghanistan, può dirci qualcosa sull’attuale situazione delle donne lì? Spesso, ci si chiede se condividono usi e costumi islamici…
Le donne in Afghanistan non hanno possibilità di scelta. Per esempio, proprio di recente lì è stata uccisa una speaker della televisione, perché ritenuta divulgatrice di messaggi propagandistici improntati alla modernizzazione dei costumi. Molte candidate, molte donne che stavano lavorando attivamente per le elezioni hanno subito violenze e vessazioni o sono state uccise. Queste cose non vengono messe in risalto, non fanno notizia, perché sono all’ordine del giorno. A Kabul il satellite c’è, ci sono molte televisioni, ma nei villaggi non sanno neanche che esiste l’occidente. Loro mettono un giorno in fila all’altro, tanto domani sarà uguale a quello che è stato oggi, ieri e un anno fa.
Non hanno traguardi o mete…
Non hanno nessun desiderio. Non so neanche quanto, a loro, abbia fatto bene conoscermi, pensando alla mia libertà e alla mia indipendenza! Le donne hanno una vita senza sbocchi. Noi dobbiamo riuscire a fare breccia in questa bolla di omertà che si è creata, proprio perché gli occidentali hanno portato una ventata di novità e la gente ha potuto vedere che esiste qualcos’altro, che il mondo non inizia e finisce in Afghanistan, e questo vale sopra tutto per le donne. In Afghanistan e in Iraq il governo non è ancora molto apprezzato dalla base, però serviva un governo che avesse l’appoggio dell’occidente, aiuto economicamente e politicamente sostanziale.
Noi dobbiamo fare in modo che questi nuovi governi rimangano e si radichino. Dobbiamo fare in modo che queste cose vadano avanti perché questi popoli la democrazia non sanno neanche che cosa sia. In Italia si fa confusione, spesso, non si capisce che questa è guerriglia e i terroristi si ammazzano nei mercati, ammazzano i loro poliziotti perché stanno lottando contro una possibile stabilizzazione del paese. Cercano la destabilizzazione del nuovo governo appena insediato per evitarne la democratizzazione ed è proprio questo che il nostro esercito sta cercando di contrastare, favorendo la rapida ricostruzione di queste aree dimenticate per dare finalmente slancio anche all’economia e ridare una speranza a uomini e donne abituate a soffrire da decenni.