UNA VOCE DISCORDANTE

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Non parlerò del libro di lettere immaginarie di Ruggero Guarini, Fisimario 2008 (Spirali), perché credo sia più bello scoprirlo con la lettura. Nella letteratura occidentale, l’utilizzo di lettere immaginarie è un vecchio topos – Le lettere di Berlicche, per esempio, è del 1942 – che permette all’autore di essere e di non essere. 

Non conosco personalmente Guarini, anche se lo leggo da anni, ma credo che in queste lettere ci sia molto di lui, della sua grazia pungente, che si sposa con un umor nero terribile. Ruggero Guarini è un uomo di umor nero, proprio come il Jonathan Swift della Modesta proposta e di quella parte dei Viaggi di Gulliver che generalmente non viene letta e che riguarda il viaggio nell’isola dei cavalli. L’umor nero è una grande dote che possiedono i critici moralisti. A pensarci bene, Ruggero Guarini è un moralista nel senso buono del termine: fa la morale a una banda di cialtroni che ci circonda e che, in nome del politicamente corretto, del culturalmente corretto e del processualmente corretto, ci ha francamente “triturato i cabagigi”, come direbbe un autore non caro a Guarini, Andrea Camilleri.

È opportuno osservare come, nella sua estraniazione, Ruggero Guarini raggiunga punti – e non è un elogio che si possa fare a molti – in cui ricorda il Giacomo Leopardi delle Operette morali. Quando Leopardi assumeva le vesti di Federico Ruysch, nel Dialogo di Federico Ruysch e delle sue mummie, e scriveva il Cantico del Gallo Silvestro, faceva la stessa operazione che oggi fa Guarini: con citazioni dottissime, arrivava a parlare dell’hic et nunc, del qui e ora.

È importante notare che Ruggero Guarini è chiaramente di parte: si schiera con una parte che non è, come potrebbe sembrare a un lettore veloce, quella di Berlusconi e del governo, bensì quella di coloro che non hanno rinunciato a ragionare con la propria testa. Per questo, il libro ha una grande forza provocatoria e fa paura al potere. Ruggero Guarini critica un autore che afferma che “il libro deve far paura al potere”, ma non credo che, come egli sostiene in perfetta malafede, il suo libro e i suoi scritti non facciano paura al potere. 

Anzi, penso che qualsiasi voce discordante dal coro faccia paura al potere e all’uniformità, a maggior ragione se si tratta di una voce come la sua.

Ma vorrei rivolgergli una piccola contestazione e una domanda. La contestazione riguarda l’Islam: avendo vissuto gran parte della mia vita nei paesi di cultura islamica e conoscendo i musulmani, noto diverse lettere in cui l’Autore cita le due sure del Corano in cui Allah – come sapete, il Corano per i musulmani non è scritto da Maometto, ma direttamente da Dio – incita i musulmani a uccidere gli ebrei e i cristiani ovunque li trovino, mentre non cita mai altre sure in cui Allah dice che i migliori amici dei musulmani sono i cristiani. Perché? Gli studiosi dell’Islam, in particolare quelli musulmani, sostengono che ci siano sure abroganti e sure abrogate. Nel senso che la rivelazione, essendo in itinere, può anche contenere contraddizioni: l’ultima sura, in ordine di tempo, potrebbe abrogare una sura precedente che, magari, sosteneva il contrario. Sulle sure abroganti e abrogate c’è un dibattito molto vasto nel mondo islamico: secondo una scuola di pensiero, le sure incitanti al massacro sono state abrogate da altre, mentre un’altra scuola di pensiero dichiara esattamente il contrario. Ad ogni modo, una delle poche lettere non centrate, a mio avviso, è proprio quella che abbiamo letto per ultima Sigmund Freud a Tahar Ben Jelloun. Perché? Perché Tahar Ben Jelloun è musulmano pressappoco come me, è assolutamente laico di scuola francese, credo sia ateo anche se non dichiarato. Con Tahar Ben Jelloun – che, tra l’altro, non mi è molto simpatico – ho mangiato e bevuto molto spesso, mangia e beve esattamente come noi, non ha i problemi legati all’Islam. 

Perciò, individuare in lui la figura di “voi musulmani”, sarebbe approssimativamente equivalente a usare il riferimento a, mettiamo il caso, Pannella per indicare “voi ortodossi, voi cattolici”. Oltretutto, con due citazioni improprie. La prima: “I vostri ayatollah”. È necessario dire che gli ayatollah sono solo sciiti, perché gli sciiti – che rappresentano la branca minoritaria dell’Islam – hanno il clero, mentre i sunniti non hanno clero, non l’hanno mai avuto e non l’avranno mai. Pertanto, le parole di un ayatollah sciita potrebbero essere di nessun interesse per un sunnita teorico, come è appunto Tahar Ben Jelloun, tanto quanto potrebbero esserlo per noi. 

Aggiungo che il termine “maomettano” è improprio, in quanto i maomettani non esistono. Abu Bakr, il primo califfo dopo la morte di Maometto, disse: “Credenti, chi credeva in Maometto, sappia che era un uomo ed è morto. Chi crede in Allah sappia che vivrà per sempre”; cioè: i maomettani non ci sono. Secondo me, questa è una delle letture possibili, anche se occorre dire immediatamente che la lettura dell’Islam compiuta da Ruggero Guarini non è rivolta ai musulmani, ma è rivolta a noi. Allora, “rivolta a noi” assume un significato completamente differente, che è possibile accettare. Questa è la mia piccola contestazione.

La mia domanda, invece, è la seguente: perché a Ruggero Guarini è così antipatico Roberto Saviano? In almeno tre o quattro lettere, gli contesta la frase: “L’unico vero scrittore è quello che fa paura al potere”. A parte il fatto che lo stesso Guarini, secondo me, fa paura al potere, ritengo che l’affermazione in questione sia, per così dire, da scrittore engagé, ma non la trovo né nuova né travolgente. Mi piacerebbe sapere il motivo di tale antipatia per Roberto Saviano. 

Per concludere, devo dire che è un libro che consiglio a tutti perché apre la testa, fa pensare. Si può essere d’accordo o meno, ma non rimanere indifferenti.