L’ORRORE CINESE

Immagine: 
Qualifiche dell'autore: 
geologo, dissidente cinese

Nel suo libro Laogai. L’orrore cinese (Spirali), lei racconta della sua esperienza nei campi di concentramento cinesi, i laogai, dove venne mandato nel 1960. Istituiti da Mao nel 1949, i laogai cinesi – diversamente dai lager nazisti che furono chiusi nel 1945 e dai gulag sovietici che sono in disuso dagli anni novanta – esistono ancora oggi, nel terzo millennio…

Sono intorno a mille i laogai ancora operativi verificati dalla Laogai Research Foundation, ma è probabile che il numero sia maggiore, e si calcola che dal 1949 a oggi siano circa cinquanta milioni le persone imprigionate nei laogai. 

Il termine laogai deriva dalle parole cinesi lao, che significa “lavoro”, e gai, che significa “riforma”, perciò vuol dire “riforma attraverso il lavoro”. I laogai sono tuttora strettamente funzionali allo stato totalitario cinese per un doppio scopo: perpetuare la macchina dell’intimidazione e del terrore, con il lavaggio del cervello per gli oppositori politici, e fornire un’inesauribile forza lavoro a costo zero.

Uomini, donne e bambini sono attualmente costretti al lavoro forzato in condizioni disumane a vantaggio economico del governo cinese e di numerose multinazionali che producono o investono in Cina.

Quindi, i prodotti del lavoro dei prigionieri possono arrivare sui mercati di tutto il mondo e non essere riconoscibili?

All’epoca in cui ero prigioniero, il campo era diviso in diverse imprese: una fattoria, una miniera, una società industriale, un’impresa di costruzioni, una manifattura, ecc. Per legge, ogni campo aveva due nomi diversi: uno per l’impresa e uno per la prigione; normalmente, sulla facciata non appariva il nome della prigione, ma solo quello dell’impresa.

Ma, anche in epoca più recente, nel 1994, alcune aziende californiane importavano i motori diesel dalla prigione numero 1 di Yunnan, che, però, figurava sotto il nome dell’impresa Golden Horse Diesel Manufactory. Noi della Laogai Research Foundation ne avevamo le prove, così lo segnalammo alla dogana, che fermò i prodotti. Le società americane hanno rapporti che durano da quarant’anni con queste imprese. Al confine, però, la dogana vide quarantanove grandi motori diesel su cui non c’era scritto “Fatto nella prigione numero 1 nella provincia di Yunnan”, ma “Fatto in Cina, presso la Golden Horse Diesel Manufactory”. Il tribunale aveva bisogno di prove. La società americana ingaggiò un avvocato perché portasse una telecamera in Cina; i cinesi cooperarono con l’avvocato, togliendo i prigionieri che facevano i motori diesel e sostituendoli con lavoratori normali. Poi, filmarono le risposte che quei lavoratori davano alla domanda: “Ehi, come stai? Sei un prigioniero?”. “No, sono un lavoratore. Mi sono diplomato, ho un reddito. È tutto”. Questo nastro fu mostrato alla corte. A quel punto, cosa si poteva fare? Il console americano a Guangzhou si recò sul posto. Dopo una prima visita alla struttura, in cui tutto sembrava regolare, tornò il giorno successivo e chiese alla gente: “Sto cercando la Golden Horse Manufactory”. “È laggiù”. Disse: “Sembra molto diversa. C’è del filo spinato. Ma questo è un campo di prigionia!”. Poi, testimoniò in tribunale, e i prodotti furono confiscati e distrutti.

Quindi l’organizzazione da lei fondata a Washington nel 1992, la Laogai Research Foundation U.S.A., ha dato e sta dando un contributo essenziale alla battaglia per i diritti civili…

Ci occupiamo della diffusione di notizie intorno ai laogai e alle altre violazioni dei diritti umani in Cina come le esecuzioni capitali con relativa vendita di organi freschi, lo sfruttamento dei bambini sottoposti ai lavori forzati, le rappresaglie nei confronti delle varie Chiese, gli aborti e le sterilizzazioni forzate e la continua repressione contro il dissenso. C’impegniamo perché non abbiamo il diritto di dimenticare coloro che sono stati privati della libertà e della vita nei laogai. Siamo alla ricerca della verità, con la speranza che queste orribili e disumane pratiche cesseranno presto di esistere e non si ripresenteranno mai più. Questa è la nostra missione.

In nessun altro luogo l’abisso in cui versano i diritti civili in Cina è più evidente che nei numerosi casi di cittadini scomparsi dalle loro case, che si sono ritrovati nella vasta rete dei laogai formata da campi di lavoro, reparti psichiatrici amministrati dalla polizia e centri di detenzione. Nei laogai spariscono, con i criminali comuni, sacerdoti e vescovi cattolici, monaci tibetani, religiosi di ogni confessione, uomini, donne, bambini, oppositori politici, figure invisibili, condannate con iniqui processi o spesso catturate a caso per strada dalla polizia. 

Attraverso la nostra estesa rete di sostenitori sia dalla Cina sia dal resto del mondo, il nostro obiettivo è quello di scoprire il velo di segretezza che copre i laogai.

Esiste una sede della vostra Fondazione anche nel nostro paese?

Sì, la Laogai Research Foundation Italia, che organizza mostre di foto, conferenze stampa e convegni per sensibilizzare i media e le autorità politiche italiane ai laogai e alle continue violazioni dei diritti umani nella Cina comunista, come le esecuzioni pubbliche di massa e la vendita di organi. La sua azione è stata determinante, per esempio, nell’approvazione di tre risoluzioni di condanna del sistema carcerario cinese nell’ottobre 2007 da parte del Parlamento italiano.