ARCHITETTURA E MADE IN ITALY NELL’INVENZIONE DELLA CERAMICA MODERNA

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presidente di Confindustria Ceramica

Com’è emerso nel convegno I distretti del made in Italy nell’era della globalizzazione (tenutosi il 19 settembre nella sede di Confindustria Ceramica, con l’intervento di Alberto Piantoni, project manager del bando Industria 2015 del Ministero dello Sviluppo Economico, sul tema Innovazione industriale per le nuove tecnologie del made in Italy), il made in Italy non ha soltanto un contenuto distintivo di estetica, ma anche di tecnologia, d’innovazione e, non ultima, di responsabilità sociale d’impresa. Quali sono le novità intervenute di recente in proposito anche grazie alla vostra Associazione?

Confindustria Ceramica si è impegnata nella tutela del made in Italy fin dal 1974, con l’istituzione del marchio Ceramic Tiles of Italy. In settembre dello scorso anno, abbiamo approvato un codice etico e il relativo regolamento attuativo, che prevede un impegno, individuale e volontario, da parte delle aziende associate, di dichiarare l’origine dei prodotti. Soprattutto nel caso di prodotti che incidono sulla sicurezza, conoscerne l’origine mette il cliente in condizioni di effettuare una scelta quanto più consapevole e quindi di valutare se un prodotto è fabbricato in un paese in cui vigono regole che mirano alla qualità della vita dei lavoratori e alla salvaguardia dell’ambiente, oltre che alla propria. L’indicazione del “made in” sul prodotto è sempre più apprezzata dai consumatori, anche se in ambito comunitario alcuni paesi ostacolano la proposta di istituirne l’obbligatorietà: sono gli stessi paesi che delocalizzano la produzione e quindi preferiscono mantenere l’equivoco. A maggior ragione, allora, occorre insistere per colmare questa grave carenza legislativa, che impedisce di valorizzare in pieno il made in Italy. In particolare nel nostro settore – che vede nell’Italia il luogo d’origine della stessa invenzione del prodotto ceramico, da un punto di vista tecnologico, estetico e culturale –, questo deve diventare un valore aggiunto e un motivo in più per puntare su questa identificazione specifica.

Il nostro impegno, quindi, prosegue in questa direzione e, anche al recente convegno di Confindustria Tutela e valorizzazione del Made in Italy: trasparenza e competitività (Roma, 20 ottobre 2009), con l’intervento del nostro vice presidente Emilio Mussini, abbiamo posto in rilievo l’importanza e la sensibilità che riveste, per un settore votato all’export e fortemente caratterizzato per estetica e design come quello della ceramica italiana, l’indicazione dell’origine dei prodotti in commercio, ricordando che i comitati tecnici in seno al CEN ed ISO hanno recepito il requisito dell’indicazione dell’origine del prodotto nella normazione tecnica del settore. In quell’occasione, abbiamo anche condiviso l’importanza dell’impegno italiano per arrivare ad una regolamentazione a livello europeo, che il vice ministro Adolfo Urso aveva sottolineato anche durante l’ultimo Cersaie e, nell’auspicio che tale soluzione possa riguardare tutti i settori del made in Italy, abbiamo indicato il lavoro di preparazione svolto dal settore ceramico per arrivare preparato a questo importante appuntamento.

Se consideriamo, come lei notava, che l’Italia è il paese in cui la ceramica è stata inventata e rivestita di contenuti non solo tecnologici, ma anche estetici e culturali, non è casuale che il Cersaie oggi sia definito “Salone della ceramica per l’architettura” e non più, come qualche anno fa, “Salone della ceramica per l’edilizia”…

Gli imprenditori del nostro distretto sono gli inventori della ceramica moderna per l’edilizia e tuttora siamo leader dell’innovazione. Ma l’innovazione ha portato l’evoluzione del prodotto a un punto tale che oggi non si parla più di piastrelle, ma di lastre e rivestimenti, che hanno una valenza sempre più come elementi di architettura e hanno superato il concetto di ceramica con un utilizzo sanitario o igienico protettivo, per aumentare gli impieghi in ambiti sempre più vasti: dal bagno alla cucina e poi a tutti gli ambienti della casa, fino all’arredo urbano e soprattutto ai rivestimenti esterni dei fabbricati moderni, ambiti in cui l’architetto e il progettista trovano sempre più interessante e conveniente l’impiego del prodotto ceramico sia per la sua durata nel tempo e inalterabilità senza bisogno di particolare manutenzione, sia per la gamma enorme di tipologie, formati e superfici che offre e che non ha pari in nessun altro prodotto. 

A proposito della collaborazione con gli architetti, il Cersaie quest’anno ha ospitato una lectio magistralis di Renzo Piano, che è stata seguita da cinquemila persone…

Abbiamo voluto organizzare questo evento e istituire una collaborazione con la Fondazione Renzo Piano – che prevede l’assegnazione di borse di studio a giovani studenti di architettura – per sottolineare l’interesse del nostro settore per la comunicazione con progettisti e architetti. L’evento ha avuto un impatto mediatico notevolissimo e io ho concluso sottolineando che abbiamo apprezzato l’arte, la poesia e l’intelligenza di un uomo che ha una grande umiltà. Tra l’altro, ha citato i vari casi in cui ha usato la ceramica, fra cui la sede del New York Times: “È un materiale antico – diceva –, ha un valore importante e va reinventato. Utilizzo spesso la ceramica nei miei progetti. Come nella sede del New York Times che con la sua ceramica bianca è in grado di catturare la luce. L’uso della ceramica in questo caso risponde a precise esigenze pratiche. La ritmica degli elementi ceramici in forma di baguette è stata studiata con cura”. Renzo Piano ha dimostrato che apprezza la ceramica proprio per le qualità intrinseche del prodotto, per la versatilità d’impiego che riesce a ottenere con forme e colori, e poi perché è un prodotto che ha anche una valenza ecologica: è un prodotto naturale, ecocompatibile, quando lo si demolisce diventa materia inerte che non produce inquinamento. La ceramica è il manufatto più antico dell’umanità e non disturba la natura. 

Il ruolo di Confindustria è sempre stato quello di affiancare le imprese nella trasformazione. Oggi, in un momento così difficile…

L’anno della grande crisi, passerà alla storia come l’anno della crisi globale. Ma forse anche quella del 1929 era globale, questa invece è la crisi della globalizzazione. In questi anni c’è stato l’avvento della globalizzazione della tecnologia, dell’economia, dei mercati. Poi naturalmente, come accade nelle pandemie, la crisi è partita da un piccolo focolaio e poi si è propagata in tutti i paesi, ha seguito gli effetti della globalizzazione. 

In questo periodo, alcune aziende virtuose anche in questo distretto stanno lottando in solitudine, senza sostegno da parte delle banche, che sono ancorate a parametri antecedenti la crisi. Per di più, queste aziende rischiano di vedere vanificati i propri sforzi dalle azioni di chi approfitta della difficoltà, per non attenersi alle regole nei pagamenti e negli accordi contrattuali. Allora in questo anno di crisi della globalizzazione, la vostra Associazione può avere un ruolo di sostegno, di tutela o di riferimento per queste aziende virtuose?

La nostra è un’associazione virtuosa, per la sua storia che ormai è decennale e credo che sia anche un buon esempio di associazionismo: è già ammirevole il fatto che si tratti di un’associazione tra aziende in concorrenza fra loro, che hanno trovato un minimo comune denominatore per associarsi e curare gli interessi comuni. E avere resistito ed essere ancora oggi l’associazione che raggruppa la grandissima maggioranza di tutte le aziende in un settore monosettore credo che sia un esempio virtuoso e ammirevole. Virtuoso anche perché noi siamo stati e siamo un mezzo per i produttori nel loro cammino di espansione nei mercati di tutto il mondo, per il supporto che abbiamo dato loro attraverso manifestazioni di vario genere. In questo momento di crisi globalizzata, l’Associazione è il punto di mediazione per gestire prima di tutto la crisi che indubbiamente pesa sulle aziende, anche se complessivamente il settore sta tenendo meglio di altri e meglio dei nostri concorrenti di altri paesi. Gestiamo la crisi assistendo le aziende anche nella riduzione della produzione, nel confronto con le controparti sindacali. E devo dire che complessivamente questo ha funzionato abbastanza. Un esempio significativo sono i contratti di solidarietà, che sono stati messi in campo in una misura e in una forma mai utilizzate prima e soprattutto con la convinzione di tutte le parti, senza contrasti. Certo, il contratto di solidarietà e la cassa integrazione sono provvedimenti provvisori che prevedono un ritorno alla normalità, però in questo momento di difficoltà di tutta l’economia è stato positivo che tutti abbiano dimostrato una sensibilità molto forte per attenuare gli effetti di questa crisi sull’economia complessiva e anche sulla situazione sociale del territorio, che altrimenti avrebbe subito un impatto molto più forte.  Adesso, speriamo di avere toccato il punto più basso e di vedere presto qualche segnale di ripresa, che nel nostro settore dipende molto dall’evoluzione dei mercati in vari paesi. Anche se con caratteristiche differenti, qualche segnale sta arrivando e, nella misura in cui si concretizzerà, anche noi dovremmo percepirne l’impatto positivo, con una precisazione: il nostro settore ha avvertito la crisi con qualche mese di ritardo e probabilmente avrà qualche mese di ritardo anche nella ripresa. Man mano che si consolideranno queste evoluzioni positive dell’economia e quindi anche del settore immobiliare – nel ciclo della costruzione, noi ci situiamo nella parte finale –, potremo recuperare i volumi che abbiamo perso e superare questa situazione di ricorso eccezionale agli ammortizzatori, che comunque sono stati provvidenziali.

Lei diceva che il vostro settore ha tenuto più di altri…

Se ci riferiamo, per esempio, all’industria metalmeccanica delle province di Modena e Reggio Emilia, persino le aziende più innovative e all’avanguardia hanno avuto cali enormi, fino al 70 per cento, mentre noi alla fine dell’anno avremo al massimo un calo che non supera il 20 per cento. Anche i nostri concorrenti europei – non parliamo della Cina, che meriterebbe un discorso a parte – hanno subito un impatto superiore al nostro, anche per il fatto che la nostra crescita è dovuta all’esportazione, mentre la loro è concentrata nel mercato interno, allora l’impatto è stato più forte per chi aveva un mercato più limitato.

E poi la tenuta dipende anche dalla qualità del prodotto?

Se vendiamo in tutto il mondo è proprio perché abbiamo un prodotto di qualità, siamo al top dell’innovazione e della qualità.