CIOCCOLATO E PIACERE

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cifrematico, presidente dell’Istituto scientifico emiliano romagnolo

Cioccolato e piacere è il titolo del libro curato dal professor Giuseppe Nisticò per la casa editrice Spirali, ma è anche il binomio indissolubile che ha fatto la fortuna del cioccolato nei secoli, fin da quando fu scoperto dalle antiche civiltà del Nuovo Mondo. Furono queste a elaborare sofisticati metodi di produzione del “cibo degli dei” dai semi della pianta quacaholt o cacahuatl.

Gli autori del libro, per lo più esperti delle moderne teorie neurofisiologiche, esplorano le proprietà chimiche e nutrizionali del cacao per chiarire come avviene che il cioccolato piaccia tanto. C’è del vero alla base della sua fama millenaria o quanto si racconta è frutto di credenza popolare? Sottoposto al vaglio dell’indagine scientifica, il cacao “resiste”: così scrive uno degli autori, il professor Vincenzo Mirone, nel suo saggio Cioccolato e funzione sessuale.

Afrodisiaco, antidepressivo, tonico per la memoria, droga naturale senza gli effetti negativi delle altre droghe: il cioccolato è questo e anche di più. Il “di più” che non si lascia spiegare è il piacere associato. Le stesse proprietà elencate riguardano il piacere, ma trovare per esse una conferma scientifica non esaurisce l’argomento. Lo avverte Giuseppe Nisticò, quando scrive: “Molto rimane ancora da fare […] per tentare di strappare i segreti che stanno alla base degli effetti piacevoli del cioccolato. Questi rimangono avvolti nel mistero e rappresentano ancora una sfida per la scienza, nonostante le tecnologie avanzate di cui dispone”.

Forse, semplicemente, non c’è nessun segreto da svelare e le tecnologie non dissipano quel “mistero” che è la materia stessa del piacere.

Il piacere ha a che fare con la qualità, non con la quantità. Misurarlo e quantificarlo, circoscrivendolo all’organo, non serve a darne una spiegazione. Il piacere s’incontra approdando alla qualità ed è un effetto del superfluo, di ciò che non può essere misurato o quantificato.

Per un effetto di piacere incalcolabile, quindi, il cioccolato è alimento di lusso e lussurioso. Ma il lusso non è in termini economicistici e la lussuria, secondo la lezione di Machiavelli, è la sessualità esente dall’ordinario e dall’idea di peccato, di male e di incesto. Non a caso, il marketing pubblicitario usa allestimenti sontuosi e belle donne per promuovere un prodotto al cioccolato. Tuttavia, scade nella moralizzazione usando formule come “piacere proibito” o “peccaminoso”, come se questo conferisse un incremento quantitativo al piacere associato al cioccolato. Il piacere non è quantificabile in nessun modo.

Soprattutto, non è la causa per cui si fa qualcosa. Chiedere “perché?” implica la ricerca di una causa. Allora, è facile che all’interrogativo: “perché il cioccolato piace tanto?”, la risposta sia: “perché piace”. È una risposta tautologica, che non aggiunge né chiarisce nulla, però, è una questione da esplorare. Non va da sé che il piacere, qui, si trovi come causa e non come effetto. E non va da sé che tanti si ritrovino a mangiare il cioccolato di nascosto o a giustificarsi mentre lo mangiano.

Forse, la questione sta nel modo in cui viene intesa la dieta. Questa, secondo l’etimo, è una regola per l’alimentazione. Comunemente, invece, è presa come una norma che prescrive alcuni alimenti e ne proibisce altri. Il cioccolato non viene prescritto, apparentemente, perché il suo apporto nutrizionale è altamente calorico, ma, in realtà, perché non ci si fermerebbe dinanzi alla tentazione di mangiarne ancora.

Tentazione, dunque, trasgressione. Se mangiare cioccolato è una trasgressione alla dieta, il “cibo degli dei” diventa “cibo del diavolo”. Il cioccolato è una droga “intelligente” che non instaura dipendenza, scrive Giuseppe Nisticò. Forse, però, l’idea del piacere “proibito” la instaura.

Per Sigmund Freud, quanto più una cosa è proibita tanto più aumenta il desiderio di essa. E il prescritto e il proibito hanno un riferimento ben preciso in Freud. Così, non è l’eccesso di calorie ingurgitato a rendere “peccaminoso” il gusto del cioccolato. Ci vuole ben altro per arrivare al concetto di “peccato” veicolato dall’idea di trasgressione. Propriamente, la proibizione colpisce non l’alimento, ma il piacere che ne deriva, moralizzandolo. Ne sapeva qualcosa Madame de Sévigné, citata da Francesco Saba Sardi nel libro. Alla figlia, con una passione maniacale per il cioccolato, scriveva: “Ricordati che l’aspetto gradevole del cioccolato consiste nel fatto che agisce a seconda dell’intenzione di chi lo prende”.

Si tratta, però, non di fermarsi dinanzi alla tentazione come intenzione impura, bensì di non avere affatto la tentazione di trasgredire per trarne un piacere “proibito”. Quando il cioccolato viene mangiato “cedendo” alla tentazione, più del gusto conta questa concessione al piacere trasgressivo. Quasi sempre, poi, si finisce per mangiarne molto, così il piacere è già pena.

La dieta è un dispositivo alimentare, non un elenco di cose prescritte e proibite. Quindi, prescinde da considerazioni di ordine morale ed esige l’intelligenza. Importa, nel dispositivo alimentare, come si combinano gli alimenti, tenendo conto della differenza e della varietà. Importa, mangiando, il modo del superfluo, senza la necessità di “eleggere” un alimento ed escluderlo dalla dieta per questioni non attinenti all’alimentazione, salvo farlo rientrare trasgressivamente. Il piacere sta nell’approdo alla qualità di ciascun elemento del nostro itinerario, quindi anche del dispositivo alimentare, senza esclusioni ideologiche.

Puntare alla qualità comporta approdare alla salute. Così risulta vincente la combinazione tra il piacere del cioccolato e il gusto della salute.

 

I testi di Ornella Cucumazzi e seguenti fino a pagina 21 sono tratti dagli interventi al convegno Cioccolato e piacere, in occasione della pubblicazione del libro Cioccolato e piacere (Spirali), a cura di Giuseppe Nisticò (6 marzo 2009, Bologna, Palazzo del Baraccano).