IL CIOCCOLATO PER LA NOSTRA DIETA

Qualifiche dell'autore: 
medico nutrizionista, Unità di Dietologia, Ospedale Maggiore, Bologna

Nella mia pratica medica ambulatoriale di specialista dell’alimentazione, ricevo persone che mi chiedono di diminuire il proprio peso corporeo, meno frequentemente di aumentarlo, spesso per problemi di salute. È diffuso il concetto di dieta come restrizione, in realtà il termine “dieta” deriva dal greco diaita, che vuol dire “regola”, nel senso ampio di comportamento: comprende “anche” il rapporto con il cibo (un rapporto basilare, ecologico, di sopravvivenza, anche per l’uomo tecnologico moderno) accanto a quello col movimento, con l’equilibrio del sonno e con lo scarico delle tensioni emotive. Il cibo è da sempre qualcosa che consente all’individuo di sopravvivere, ma evoca anche un’idea molto importante, quella dell’introduzione di qualcosa che è altro da sé ma diventa parte di sé. Considerare la dieta una diminuzione dell’assunzione di cibo è estremamente riduttivo, talvolta per lo stesso individuo che la chiede, e rappresenta una sorta d’impedimento psicologico nel seguire gli stessi principi delle indicazioni dietetiche prescritte.

Il rapporto tra dieta e cioccolato è tuttora estremamente dibattuto ma, soprattutto nei secoli passati, il cioccolato era fra i cibi il cui consumo passava facilmente dalla prescrizione alla proibizione e viceversa. In particolare, è stato da sempre considerato il premio da concedere a chi riusciva a rispettare una dieta e raggiungeva i propri obiettivi. In realtà, dobbiamo pensare che il cioccolato è un alimento e in quanto tale deve inserirsi nella normale alimentazione dell’individuo. Può quindi rientrare benissimo all’interno di una dieta restrittiva, cioè di una dieta che riduca gli apporti alimentari per una questione di salute o di riduzione di peso, a patto però che tale assunzione s’integri e sia in equilibrio con il resto dell’alimentazione. Anzi, la presenza di alimenti gradevoli accanto a altri meno ricchi ed invitanti, che introducano l’allegria in quella che rischia di diventare una monotonia, può acquisire un ruolo importante: aiuta, infatti, a mantenere le restrizioni nel tempo.

Quanti soffrono di patologie che obbligano a seguire regole alimentari per tutta la vita – i diabetici e i nefropatici, per esempio – devono avere la possibilità di trarre dalla dieta il piacere dell’alimentazione. È per tale motivo che, nella prescrizione di diete limitative, occorre non diventare troppo drastici.

Dal punto di vista nutrizionale il cioccolato è un alimento completo: contiene grassi, carboidrati e proteine, anche se non in equilibrio tra di loro per il contenuto eccessivo di lipidi. Se però viene introdotto in una dieta povera di lipidi, può essere consigliato tranquillamente. Oltre a questi composti basali, chiamati “macronutrienti”, contiene sostanze definite “micronutrienti” (perché presenti in dosi ridotte rispetto a quelle sopra elencate), tra cui i fitosteroli, che nella pianta hanno una funzione di sostegno e difesa, mentre nel nostro organismo hanno un’attività prevalentemente antiossidante. In modo particolare il contenuto di fitosteroli del cacao è molto elevato rispetto ad altri alimenti che ne sono ricchi (per esempio il vino). Questa ricchezza è però disponibile solo se il cacao non viene trattato col latte, che rende i fitosteroli inefficaci o addirittura ne azzera l’effetto. È perciò importante che si consumino cioccolati con elevata percentuale di pasta di cacao, perché solo così si ottiene il massimo dell’effetto antiossidante dal prodotto che si consuma.

Altre sostanze contenute nel cioccolato e citate ampiamente nel libro Cioccolato e Piacere, a cura di Giuseppe Nisticò (Spirali) hanno effetti biologici significativi, come la caffeina e la teobromina (hanno un’azione stimolante sul sistema nervoso centrale e sull’organismo in generale) e l’andamide (la molecola del cacao più strettamente legata ai processi cerebrali del piacere e dell’appagamento). Queste molecole rendono il cacao un elemento importante per l’alimentazione, anche se chi soffre di patologie deve osservare alcune cautele.

Innanzitutto, poiché il mercato offre una gran quantità di prodotti manipolati ed elaborati, ricchissimi di zuccheri e di bassa qualità, occorre porre limitazioni, anche drastiche, alla loro assunzione, in chi soffre di alcune patologie, in modo particolare il diabete. Non c’è motivo per cui il diabetico non possa assumere cacao, ma se è in terapia con farmaci orali deve scegliere cioccolati dolcificati con polialcoli o con particolari tipi di fibre vegetali. Invece i diabetici in terapia insulinica, istruiti a calcolare l’apporto alimentare di zuccheri e amidi per poi regolarsi sulla dose di ormone da infondere (counting dei carboidrati), possono consumarlo anche normalmente. Un capitolo più delicato riguarda chi è nefropatico, perché la pasta di cacao contiene anche un quantitativo relativamente alto di fosforo, minerale che va limitato in chi soffre d’insufficienza renale. Se poi il cacao è al latte, il contenuto di fosforo è ancora più elevato; quindi, il quantitativo di cioccolato che può concedersi chi ha patologie renali è minore di quello che può essere assunto da chi soffre di diabete.

Un altro vasto gruppo di individui a lungo penalizzati nei riguardi del cioccolato è rappresentato da coloro che soffrono di dislipidemie, cioè dall’eccesso nel sangue di colesterolo e/o trigliceridi. Il colesterolo è una molecola di provenienza soprattutto animale: le tracce di colesterolo presenti nel cioccolato derivano da modificazioni parziali di alcuni steroli naturali (i fitosteroli, che fanno parte della stessa famiglia del colesterolo, ma con alcuni radicali diversi che ne rendono differente l’azione) o da molecole presenti nel latte usato nelle varie preparazioni. Se dunque nel cioccolato ci sono solamente tracce di colesterolo, non ci sono motivi per cui esso debba essere vietato ai soggetti con il colesterolo alto: chiaramente è importante che le dosi assunte non siano esagerate (effetto sommatorio).

Altro discorso va fatto per le dislipidemie legate a squilibri dei trigliceridi (che sono invece grassi derivati in gran parte dalla trasformazione degli zuccheri assunti con i cibi). In questi casi, occorre scegliere cioccolato a bassissimo contenuto di zuccheri, il più amaro possibile. Un altro fattore rilevante, per quanto concerne le dislipidemie, è legato al tipo di grassi presenti negli alimenti. Sta diventando sempre più importante, anche per la prevenzione delle patologie cardiovascolari, la tipologia di grassi introdotti attraverso l’alimentazione, a partire dalla distinzione tra grassi saturi e insaturi, mono e polinsaturi. I grassi saturi sono presenti prevalentemente nelle sostanze di derivazione animale, quelli polinsaturi in quelle di derivazione vegetale e quelli monoinsaturi sono specifici dell’olio di oliva. Il cosiddetto burro di cacao è una miscela di grassi prevalentemente saturi, pur se di derivazione vegetale. Tuttavia, a differenza di altre tipologie di grassi saturi, si è visto che quelli del cacao sono a basso contenuto di molecole aterogene (rappresentate dall’acido laurico e dall’acido miristico, poco presenti nella pasta di cacao). Quindi, utilizzando particolari formule che indicano il livello aterogenico dei grassi contenuti negli alimenti, vediamo che il cacao è una sostanza a basso indice aterogenico, e questo è un argomento ulteriore a favore del suo uso anche nell’alimentazione, sia abituale che controllata.

Un altro campo d’azione in cui il consumo del cacao è efficace è quello legato ai disturbi premestruali e, più in generale, alle cosiddette turbe dell’umore, che tendono ad essere particolarmente frequenti nel periodo della menopausa. Il magnesio di cui il cacao è ricco ha funzioni di stabilizzatore delle membrane cellulari e, di conseguenza, del tono dell’umore.

Per concludere, aggiungo due considerazioni di ordine differente. Prima di tutto vorrei notare che le nazioni colonizzate dagli europei si sono poi “vendicate” dal punto di vista alimentare. Pensiamo allo stesso cacao, ma anche alle patate e ai pomodori, che derivano dalle stesse zone. Si tratta di una colonizzazione inversa legata alla diffusione ubiquitaria di tali alimenti; per alcuni di questi prodotti essa è tuttavia avvenuta con l’“addomesticamento” del prodotto, in primis proprio del cacao. Inizialmente era un alimento liquido, una bevanda amara, considerata addirittura opera del diavolo; passando poi attraverso i conventi e le dimore nobili, si è trasformata in alimento solido di uso quotidiano. Viceversa, altri prodotti, come il pomodoro e la patata, sono stati mantenuti allo stato naturale.

Mi preme poi sottolineare come il cioccolato sia un elemento transgenerazionale: mentre osserviamo modifiche, anche sostanziali, di scelte e comportamenti alimentari nel corso delle generazioni, in particolare negli ultimi cinquant’anni, il cioccolato è uno dei pochi alimenti rimasti invariati e costanti nell’alimentazione a qualsiasi età. È, infatti, gradito e utilizzato da grandi e piccini indistintamente e rappresenta una sorta di filo d’unione. Il desiderio del cioccolato nasce nell’età infantile, dove la facile solubilità a basso calore ne consente la somministrazione anche ai bambini più piccoli, che possono scioglierlo senza masticarlo. Non a caso si crea, fin dalla tenera età, una sorta di assuefazione mnemonica, legata soprattutto al piacere sensoriale completo (tatto, odorato, gusto, pressione della lingua contro il palato) che ne deriva, in grado di permanere nel tempo evocando, in seguito, il cioccolato come premio o rifugio nei momenti di crisi.