ESEMPI DI RESTAURO INNOVATIVO

Qualifiche dell'autore: 
progettista, accademico di San Luca

Roberto Cecchi, nel suo libro Il restauro (Spirali), ha preso spunto spesso da casi particolari, come la vicenda del Cenacolo Vinciano, per trarre poi considerazioni generali. Mi rifaccio a questo metodo, che considero molto efficace, per mostrarvi qualcosa di concreto. L’innovazione tecnologica consente oggi soluzioni progettuali anche espresse da un linguaggio autenticamente contemporaneo, nell’ambito dei restauri che, quando non si riducono ad ordinaria manutenzione, quasi sempre costringono a scegliere continuamente. Infatti, il restauro non può essere considerato un processo automatico di applicazione pedissequa di norme e regole acquisite – anche se assolutamente corrette e universalmente riconosciute come quelle contenute nella Carta del restauro –, ma costringe a scegliere tra alternative diverse, sia in fase di progettazione che in fase di attuazione. E perciò è indispensabile un’attenta e sensibile direzione lavori, oltre che un buon progetto.

Il primo “caso” che vorrei proporre è all’interno del restauro realizzato entro il Palazzo della Pilotta a Parma, un grande complesso che accoglie quasi tutte le istituzioni culturali cittadine consolidate storicamente già dal tempo dei Borboni, nel ‘700. Negli anni sessanta del secolo scorso, si presentò l’occasione molto interessante di ampliare la Pinacoteca insieme al restauro dei locali. Operazione varata con lungimiranza dall’allora soprintendente Augusta Ghidiglia Quintavalle, completata con grande tenacia e intelligenza da Eugenio Riccomini e Lucia Fornari Schianchi. In occasione della Mostra del Settecento si offrì anche la circostanza assai favorevole di fare una sorta di prova generale dell’allestimento definitivo della pinacoteca. E già allora i consensi furono quasi unanimi a fronte di pochi dissensi. Il Palazzo della Pilotta è un edificio molto complesso e bizzarro, perché sugli spigoli delle grandi corti manca il collegamento, cioè gli spigoli stessi si svuotano e uno dei problemi più difficili nell’organizzare percorsi e collegamenti era quello d’inventare protesi che potessero migrare i visitatori da un’ala all’altra. Entro il piccolo cortile di sud-ovest abbiamo realizzato una sorta di ponte a due piani: tale ponte, durante la mostra del ‘700, fu montato provvisoriamente con tubi Innocenti e gettato attraverso due finestre. In seguito, nell’allestimento definitivo della Pinacoteca, con una soluzione che può sembrare meno naturale, il collegamento fu realizzato mediante un’incisione fatta nel muro antico, all’interno di una stretta cornice rettangolare di mattoni baricentrica rispetto alle due finestre. Si conserva così pienamente la geometria dei prospetti, non invadendo nessuna finestra. E l’incisione, che ad un esame superficiale poteva sembrare distruttiva, in realtà si rivelava come gesto più rispettoso.

Un altro esempio che vorrei illustrare è quello del complesso di Santa Maria della Scala, un ospedale del ‘300, nel cuore di Siena, affacciato su Piazza del Duomo, che negli anni novanta finalmente fu destinato dal Comune ad attività culturali. Il restauro è in corso: ad oggi abbiamo realizzato circa il 40 per cento, riuscendo a ripristinare spazi importanti come il Museo archeologico e Palazzo Squarcialupi, dove si allestiscono con rotazioni serrate affascinanti mostre temporanee. Per conferire un assetto logico, oltre che corretto sotto il profilo architettonico, abbiamo demolito ed eliminato tutte le superfetazioni che intasavano i cortili. Ove necessario, abbiamo inserito pareti reticolari ad ossatura metallica interna, molto leggere per evitare di aggiungere nuovi pesi in un contesto dal delicato equilibrio strutturale.

Le travi-parete reticolari, opportunamente fasciate da una doppia pelle termoisolante, definiscono oggi spazi interni ed esterni estremamente pacati e composti, che non disturbano minimamente i manufatti trecenteschi ritrovati, con cui anzi serenamente dialogano. Ecco dunque come la realizzazione di protesi leggere in materiali innovativi, assolutamente inconsueti nel novero dei materiali storici, può favorire soluzioni di assoluto rispetto e valorizzazione dell’antico.

Riprendendo il tema che Roberto Cecchi ha sviluppato in modo molto efficace circa l’antropizzazione del paesaggio a causa del dilagare dell’edilizia cosiddetta minore, in progress nelle nostre campagne fino a devastarle, e della contaminazione della già nobile architettura rurale storica, vorrei citare un esempio che fa eccezione, per scelta di Giampaolo Usberti, ai tempi direttore amministrativo dell’Università di Parma, e per mano di chi scrive. Un intervento in controcorrente su una cascina, pur non sottoposta a vincolo di tutela, presente all’interno dei poderi acquistati dall’Università per insediarvi negli anni settanta il polo scientifico. Fu deciso fortunatamente di restaurare e di conservare con cura il manufatto rurale, se pur di qualità architettonica corrente. Il complesso (fienile, stalla, caseificio e altri accessori minori, tutti contenuti in blocchi separati) era organizzato secondo un impianto consueto nella campagna Emiliana. S’immaginò per i casolari rustici in disuso la nuova funzione qualificante di centro congressi, assai opportuna nell’ambito del campus scientifico in divenire all’intorno. Per funzionalizzare i singoli blocchi già disarticolati, abbiamo realizzato così una protesi di collegamento, che riprende i fili, gli allineamenti, le altezze e parzialmente la materia dei fabbricati rurali.

L’esito del restauro, implementato dalla nuova protesi, è sotto gli occhi di tutti.

Per quanto mi riguarda, sono convinto che con l’antico possano correttamente coesistere anche gli inserti definiti con linguaggio contemporaneo, se pure il più possibile discreto e non esibizionista, e che in più utilizzino gli stessi materiali delle preesistenze.

I tre “casi” presentati possono aiutare a capire che, quando entro gli edifici che si restaurano si devono inserire nuove funzioni (a patto naturalmente che tali funzioni siano compatibili, se non ottimali), sono il più delle volte indispensabili, oltre che un’attenta riflessione critica finalizzata alla conservazione, anche atti progettuali avvertiti, non arroganti ma nemmeno inibiti.

Perché la conservazione più rispettosa può convivere anche con protesi innovative, che possono apparire a prima vista dissonanti, ma che consentendo la valorizzazione del bene storico attraverso un nuovo, corretto utilizzo, nei fatti ne garantiscono la tutela e la sopravvivenza e non turbano la qualità dell’architettura storica quando modellate con discrezione e misura, pur con linguaggio non mimetico.