SOLUZIONI INNOVATIVE PER IL RESTAURO

Qualifiche dell'autore: 
socia fondatrice de Il Restauro S.r.l., Bologna

Uno dei restauri più importanti da noi affrontati in questi anni, che ha avuto risonanza nazionale e internazionale, è stato indubbiamente quello di Palazzo Fantuzzi, in via San Vitale a Bologna. Si tratta di un restauro, svolto in integrazione con varie professionalità, che ci ha impegnato tantissimo: innanzitutto per la conformazione del palazzo, ricchissimo di cunicoli, di camminamenti, di vani sorprendenti, ma anche estremamente problematico per i materiali costitutivi da trattare, con una committenza che, logicamente, teneva tantissimo alla migliore riuscita del lavoro. Il cantiere per noi è stato un vero e proprio laboratorio d’idee e di soluzioni innovative, alcune sperimentate per la prima volta con un successo tale che ha meravigliato noi stesse.

Vorrei dare qualche elemento tecnico procedurale di questo grande lavoro. Il restauro dei prospetti di palazzo Fantuzzi si è sviluppato secondo una metodologia d’intervento volta al recupero del complesso dallo stato di degrado in cui si trovava, attraverso un’attenta campagna diagnostica che ha permesso l’individuazione del tipo di tecnica e dei prodotti più idonei atti a ripristinare lo stato di conservazione dell’opera.

L’attento esame ricognitivo eseguito in fase preliminare su tutti i materiali che compongono la facciata con verifica della sequenza stratigrafica ha consentito, unitamente a una campionatura di prodotti idonei alla pulitura, d’individuare uno dei principali fattori di degrado delle arenarie, riconducibile a un composto di sintesi di natura acrilica utilizzato in recenti interventi di consolidamento. I prelievi hanno evidenziato la presenza di due strati che, partendo dall’interno verso l’esterno, sono: la fascia di arenaria e la fascia di lapideo parzialmente degradata in gesso secondario, la cui colorazione grigia è da attribuirsi alla presenza di numerose particelle e microframmenti carboniosi e a pochi frammenti rossi e aranciati di ossidi di ferro, tipici di atmosfere inquinate.

Le analisi all’XRF e all’FT/IR hanno confermato le osservazioni microscopiche: il carbonato di calcio e i silicati sono i costituenti del lapideo; il gesso è un prodotto di degrado del carbonato di calcio; il ferro è attribuibile a ossidi presenti sia come componenti dell’arenaria sia provenienti dall’esterno; le sostanze organiche sono state confermate ricondursi al composto di sintesi di natura acrilica.

I frammenti di lapidei prelevati da un capitello di finestra e una lesena sono molto simili per composizione, classificabili come arenarie ibride a cemento calcareo; tali litotipi abbondano nell’Appennino Tosco-Emiliano. Le differenze riscontrate nei due campioni esaminati hanno riguardato il colore d’insieme e le dimensioni dei granuli dello scheletro. Questa indagine ha permesso di confermare quanto già riscontrato in fase di pulitura, ovvero la differenza cromatica esistente tra le finestre (più gialline), le lesene e i cornicioni (più grigi).

Abbiamo poi eseguito una campionatura atta a individuare la finitura originale delle superfici in cotto mediante indagini stratigrafiche e campioni di pulitura.

Abbiamo quindi proceduto a un’accurata spolveratura, con pennelli morbidi di varie fogge e dimensioni e con un aspiratore a bassa pressione, seguita da un’accurata indagine dello stato di conservazione dei supporti, al fine d’individuare la consistenza della malta di allettamento della muratura e la natura di crepe e fissurazioni presenti. Sono state riscontrate alcune lesioni composte nella muratura date da probabili traumi meccanici, che non interessavano la struttura.

Dopo la spolveratura, abbiamo effettuato un trattamento biocida delle superfici con applicazione di benzalconio cloruro in soluzione allo 0,3 per cento, dato a spruzzo a più mani. Ad asciugatura del prodotto, si è proceduto a una spazzolatura delle superfici in laterizio, quindi all’eliminazione di elementi metallici incongrui e di vecchie stuccature inidonee in fase di distacco.

L’intervento di consolidamento è stato eseguito mediante applicazione di silicato di etile dato a spruzzo a più mani con particolare riguardo per la malta di allettamento del laterizio.

L’intervento di stuccatura ha riguardato il ripristino di tale malta, laddove erano presenti sottosquadri, lacune e fissurazioni. Nelle lacune, dove si è resa necessaria l’applicazione di una malta di fondo a granulometria grossa, si sono impiegati materiali quali calce idraulica desalinizzata, sabbia di fiume lavata, sabbia di arenaria e coccio pesto in un rapporto inerte-legante 1:3.

A completamento dell’intervento di restauro, si è proceduto a un’attenta ricognizione visiva per verificare l’equilibrio cromatico delle stuccature eseguite, affinché non vi fossero interferenze visive che alterassero la lettura d’insieme. Il trattamento protettivo, con un silossanico dato a più mani bagnato su bagnato, ha concluso l’intervento di restauro.