OCCORRE SOSTENERE LA CLASSE MEDIA

Qualifiche dell'autore: 
docente di Revisione aziendale all’Università di Modena, presidente di PRM

In seguito alla crisi, alcune imprese, per non perdere quote di mercato, hanno abbassato i prezzi di vendita; altre, invece, hanno preferito diminuire la produzione.

Dobbiamo riconoscere però che ci sono imprese d’eccellenza nella nostra provincia, che non possono allinearsi in questa corsa al ribasso, perché rischiano di svalutare un importante patrimonio di tecnologia acquisito in decenni di lavoro e di ricerca…

Il prezzo è qualcosa di complesso. Può essere uno strumento di marketing che, abbassato nei momenti di crisi economica, permette di acquisire quote di mercato, riducendo però il margine di guadagno e costringendo l’azienda a incrementare le vendite, per mantenere il punto di equilibrio.

Al contrario, mantenere il prezzo di mercato può essere uno strumento con cui si dimostra che il proprio prodotto ha maggior valore, rispetto ai concorrenti, perché è innovativo e di qualità, e che la politica dell’azienda non è quella di aumentare il numero di prodotti venduti, ma di offrire ai clienti un servizio che ne confermi la qualità. Alcune compagnie telefoniche, per esempio, mettono a disposizione un numero di assistenza gratuito grazie al quale, ventiquattro ore su ventiquattro, gli operatori forniscono soluzioni ai problemi del fruitore: è un esempio di servizio di assistenza che ha l’obiettivo di seguire e fidelizzare i propri clienti e, magari, anche di catturarne di nuovi.

Questa seconda soluzione è più economica e remunerativa, e comporta che, nei momenti di crisi, invece di abbassare il prezzo, sia preferibile ridurre la quantità prodotta e migliorare il punto di equilibrio anche con il contenimento dei costi fissi e con lo sviluppo innovativo dell’impresa.

Nell’attuale crisi un ulteriore rischio è nella giacenza dell’invenduto, che comporta la necessità di sostenere costi di produzione e di magazzino in attesa di tempi migliori. Per evitare questo, le aziende sono costrette a produrre just in time, ossia solo ciò che è già stato venduto o che si prevede di vendere in tempi brevi; così accadeva in alcuni casi anche prima che scoppiasse la crisi: la Dell, per esempio, produce solo computer che sono già stati ordinati e pagati. Con questo metodo, oltre a risolvere il problema del magazzino, si riducono i costi finanziari, proporzionalmente al ridursi del rischio di produzione.

In Italia il sistema economico ha fatto un salto indietro di venticinque anni, e la disoccupazione è ai livelli degli inizi degli anni ottanta; Barack Obama ha affermato che solo nel 2015 si avrà un’inversione di tendenza. E, se queste sono le previsioni dagli Stati Uniti, dove l’economia è più reattiva, cosa succederà in Europa – in cui ci sono ventisette nazioni con ventisette reazioni diverse, una che danneggia l’altra –, se non si raggiunge un accordo? Inoltre, quali sono le personalità politicamente di spicco che potrebbero dare una giusta direzione all’intera Unione europea, in un sistema di pura rappresentanza, che permette agli stati nazionali di mantenere la loro evidenza e il loro prestigio individuale?

Quali provvedimenti economici suggerisce?

Se è vero, come credo, che gli USA sono sempre in anticipo rispetto all’economia degli altri paesi, possiamo osservare che tutti i provvedimenti adottati finora, soprattutto per finanza e automobili, abbiano avuto effetti positivi sul loro sistema economico; e sembra che il Presidente Obama voglia introdurre strategie a sostegno della classe media: è un’idea vincente. Gli imprenditori, i professionisti sono il motore della società, sono coloro che, rischiando in proprio e investendo con creatività, ambizione, volontà, predisposizione al rischio, perseveranza e diligenza, alimentano anche fortuna, raggiungono il successo e favoriscono l’occupazione. Purtroppo, in Italia, tale politica è più difficile da mettere in atto: se è vero quanto risulta dalle statistiche pubblicate – ossia che il 15 per cento della popolazione è no-tax e la quota dei redditi medi di 75000 euro è poco sopra lo zero percentuale –, la classe media nel nostro paese sembra essere inesistente.

Perché le piccole e medie imprese, nonostante abbiano questa propensione al rischio, sono sottocapitalizzate?

Il mancato impegno di capitalizzare le aziende in Italia ha inizio nel dopoguerra quando era quasi premiato chi, invece d’investire nell’azienda, faceva ricorso al finanziamento bancario. Ne conseguiva che una quota significativa di quel costo era pagato dall’erario perché deducibile dall’imposta e, se l’affare andava male, non si rischiavano i propri soldi, ma quelli della banca. Un altro aspetto che limita la capitalizzazione è la scarsa propensione a costituire società con altri investitori di capitali, perché si preferisce accedere a prestiti, anziché finanziare la propria idea con capitali di rischio di terzi investitori, a costo zero per l’impresa, ma che devono essere remunerati con dividendi da utili o con un maggior valore nel tempo.

Quali sono le punte d’eccellenza sulle quali investire, che testimoniano la cifra dell’Italia?

Oggi premia avere un prodotto di qualità e di nicchia, e l’Italia ha innumerevoli piccole eccellenze che fanno apprezzare il made in Italy nei settori che si definiscono con le “A”: Arte e cultura, Agroalimentare, Abbigliamento moda, Arredo design; sono questi gli ambiti in cui introdurre strumenti innovativi di gestione organizzativa e finanziaria, specialmente per le piccole e medie imprese e per le reti di impresa. Inoltre, l’investire in cultura può diventare una leva competitiva per le imprese italiane nella valorizzazione e promozione del patrimonio culturale; con forme di partenariato pubblico-privato è possibile potenziare il livello di fruibilità dei beni culturali e ambientali per lo sviluppo di un turismo sostenibile: il futuro dell’economia italiana.