L'OSSERVATORIO DEL VIVERE E DELLA FANTASIA

Qualifiche dell'autore: 
giornalista, critico d’arte

Il mondo è là, fermo, immutabile, uguale a se stesso, eppure tutto appare nuovo, perché nell’esercizio poetico le cose diventano inedite nozioni di un universo sempre in movimento, effetto di un mondo inesorabile, forse irraggiungibile se non declinato con la sintassi del fantastico. Quella da cui Marco Castellucci registra pulsioni e fremiti dell’intimo è un osservatorio sullo svolgersi dei cento, mille fenomeni dell’esistere e del variare della natura e del sentimento, un esercizio che è come volere alimentare il sogno bazzicando i dintorni dell’immaginazione. Da questo osservatorio scruta le albe, che sono il frontespizio di ogni sua giornata, da questo punto soppesa ogni istante del presente che, nello svolgersi dell’immediato, consente di guardare in ogni direzione per raccontare tutto in libertà. In questo osservatorio la poesia può consentire un divenire leggero, che non deve significare passaggi distratti, umori assenti a se stessi, passive annotazioni delle ore e di ciò che esse portano. A volte può succedere proprio qui, dove all’apparenza tutto si manifesta come un ammasso di luce vegetante, le idee si adeguano a una sorta di trasloco, a un passaggio dal reale all’immaginifico secondo calcoli che portano a stabilire come ogni angolo brulichi di vita nascosta in una girandola luminescente dove il pensiero sembra seguire il ritmo di un irrefrenabile batticuore. L’osservatorio del vivere e della fantasia può essere ovunque, sulla cime di una collina, tra i vicoli di un borgo, lungo i lembi del mare.

Castellucci sa che la nostra esistenza è sempre diversa da ciò che ci attendiamo per cui, nelle diverse declinazioni del tempo, il segno si imbeve di una suggestione colma di malinconia, oppure, sulla scia di un moto bergsoniano, si manifesta frutto di stati emotivi e dinamici fino a rendersi espressione della durata della memoria. Che cosa succede tra un passaggio e l’altro del tempo, che fine fanno i ricordi? La dimenticanza scherza con il passato come le nuvole giocano con la luna mentre le nuove prospettive dell’essere finiscono per proporre gli eventi trascorsi in tutta la loro irrealtà. L’oblio è una vertigine nera dove precipitano i ricordi: un amore lontano, una visione velata dagli anni, giorni vissuti nel silenzio di una stanza senza finestre. Ecco allora l’immagine farsi vocazione dell’indistinto con i tratti indici di echi interiori, con il colore che si fa risonanza di situazioni passate, qualcosa ai limiti dell’indefinito, carichi di valori lirico-simbolici.

Nel presente l’artista può sistemarsi nel suo osservatorio senza obblighi, può far crollare le identità rigide che disegnano le assurde gerarchie del predeterminato, spaziare dove lo porta la meraviglia, veleggiare assieme all’etere, toccare lievemente il confine di tutto ciò che è tangibile e trascendere, in fondo, ogni teoria. Volendo, può meditare, ma solo per pochi istanti, poiché l’immediatezza è come la stenografia delle idee, e i pensieri Castellucci li traduce nell’attimo in cui le cose si fanno ispirazione, uno scatto della suggestione che diventa sostanza nel segno.

L’immagine, per l’artista, non vuole essere uno stereotipo oggettivo, non una semplice annotazione del dato visivo, ma frutto di ciò che può essere inteso nell’irreale, e dunque un tratto di vita carpito alla sequenza di un sogno. Le tavole di Castellucci sono paradigmatiche di una ricerca che proprio dallo svanente trae l’essenza delle cose.

Esecutore di un mandato speciale, quello di sognare un’avventura nell’universo riplasmato dal colore, per Castellucci fare arte è come vivere in mezzo alla fluttuante densità delle nuvole, in un avamposto del tempo dove i ricordi si consumano durante i fuochi del tramonto. Qui, con l’acquerello, stabilisce il modo di riplasmare le visioni del vero, lo fa dando lezioni di presente al carattere addormentato di remote istanze. Negli ultimi lavori, nella velatura del tratto che dissolve la figura per far posto a un partecipe senso evocativo, c’è come l’esito di un lungo respiro, la puntualizzazione di un percorso che le carte del pensiero riassumono in una ragione trasmutata in magico “tachisme”, in macchie e ombre, quelle tracce che segnano la strada che l’artista continua a percorrere, passo dopo passo, verso l’oltre, come un’esistenza in corso di narrazione, come una vicenda sempre aperta.