QUANDO IL CINEMA MANIPOLA LA NOSTRA STORIA

Qualifiche dell'autore: 
scrittore, giornalista, già Sindaco di Milano

Il grande pubblico conosce Paolo Pillitteri come politico, non come uomo di cultura. Come si integrano queste due attività?

Prima di divenire sindaco di Milano, ho avuto l’opportunità di fare l’assessore alla cultura. Venendo dal giornalismo – facevo il critico cinematografico – non fu molto difficile per me combinare cultura e attività amministrativa. Ma non sempre le due cose si integrano: spesso, e purtroppo volentieri, viaggiano parallele e questo non è interessante.

Già da giovanissimo era attento al linguaggio del cinema e con Pasolini aveva anche avviato alcune iniziative…

Con Pasolini avevo organizzato alcuni eventi a Milano. Ma ebbi modo di parlare con lui soprattutto al festival del cinema di Berlino e di scoprire come fosse un uomo assolutamente imprevedibile nei giudizi, al limite del genio, anche se non concordavo politicamente con lui.

Nel suo libro Non è vero ma ci credo (Spirali) lei prova che la fotografia e il cinema sono stati utilizzati in modo strumentale dal potere politico. Può fornirci qualche esempio?

I regimi dittatoriali, come il comunismo leninista, poi il nazismo e infine lo stesso fascismo, sono facili alla manipolazione della storia. Al comunismo noi dobbiamo film bellissimi, come La corazzata Potëmkin o Ottobre di Sergej M. Ejzenštejn, che sono anche capolavori di falsificazione della storia, perché fanno passare per storia ciò che invece è il prodotto del regista. Per non parlare del nazismo, con grandissime registe come Leni Riefenstahl, che cantò il regime con i grandi documentari in occasione delle Olimpiadi di Berlino. Mussolini ha fatto la sua cinematografia, diceva che il cinema “è l’arma più forte”, ma non è mai arrivato ai livelli di falsificazione del comunismo e del nazismo.

Sono però i regimi democratici quelli che più approfittano della libertà che concedono il cinema e la televisione, la libertà di manipolare. Pensiamo agli imprimatur preventivi di Togliatti alle sceneggiature dei film di Luchino Visconti, ma anche al nostro cinema più recente, per esempio ai film su De Gasperi, su Enrico Mattei e sul caso Moro, e al film Il divo su Giulio Andreotti. Questi e altri film presentano la storia d’Italia, da Salvatore Giuliano alla strage di Bologna o all’incidente di Ustica come un intreccio – peraltro mai provato – di complotti, di servizi segreti deviati e di collusioni con la mafia, trascurando altri aspetti meno demagogici e più veritieri.

Quali sono i criteri secondo cui una produzione artistica può considerarsi manipolazione?

Una rappresentazione artistica esula dal concetto di manipolazione perché è una creazione, segue le idee dell’autore.

Ma proprio per questo bisogna stare attenti: se il creatore si cimenta con pezzi della nostra storia e li rappresenta come vuole lui, non può poi giustificarsi con un riferimento all’arte. Dobbiamo abituarci a distinguere i due giudizi, quello sulla realtà estetica e quello sulla realtà storica.