PROSEGUIRE CON PRODOTTI ITALIANI DI QUALITÀ

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In questo numero affrontiamo il tema della scommessa della complessità di cui le imprese non possono non tenere conto anche considerando i nuovi scenari economici, politici e sociali in atto nel pianeta. Quali sono le ipotesi che è giunto a formulare lungo la sua esperienza di imprenditore nei settori meccanico e alimentare per attraversare la complessità nell’impresa?
La scommessa della complessità oggi si gioca in più ambiti, ma, per rimanere al passo con le sfide del mercato globale, l’investimento più importante è nella competitività. Nel mercato è protagonista chi offre la migliore qualità al miglior prezzo e non risparmia nella formazione del personale e nell’innovazione. Per mantenere i più alti livelli nella qualità e nella gestione, lavoriamo sei ore al giorno per sei giorni. Il massimo sarebbe lavorare sette giorni su sette, però diventerebbe complicato gestire turni e riposi. In alcuni casi, la crisi delle piccole aziende è legata al fatto che, nonostante abbiano grandi capacità, tecnologia, innovazione e prodotti eccellenti, spesso non hanno saputo investire nella promozione dei prodotti collocandoli nel posto giusto al momento giusto.
L’impresa che vuole cogliere la scommessa della complessità per essere competitiva deve essere al top in tutti i suoi settori, dal marketing all’ufficio commerciale, all’automazione. Se è assente dal mercato per un solo mese, inevitabilmente perde le sue quote. Per questo dico sempre che nell’impresa vincono i migliori. Il prodotto deve essere continuamente rinnovato e migliorato, deve avere una posizione di eccellenza nel mercato e per questo tutto il personale – dai centralinisti al direttore generale – deve avere una preparazione ai massimi livelli. Se ci si limita a rimanere nella media, si sopravvive per un po’, ma poi pian piano si è costretti a chiudere. Occorre fare scelte che garantiscano all’azienda un futuro, rilanciando ciascuna volta, con proposte innovative.
Quale apporto può dare ai giovani questo modo di fare impresa?
Occorre dissipare alcuni preconcetti ancora diffusi, secondo cui i giovani vanno messi da parte. Ritengo, invece, che debbano assolutamente integrare il periodo che va dall’inizio alla fine della scuola superiore con l’esperienza lavorativa. Nel percorso scolastico non può più essere assente la collaborazione con le attività produttive, siano esse professionali, artigianali o imprenditoriali. Recentemente ho accolto in azienda alcuni giovani per stage trimestrali e ho riscontrato che in molti casi, mentre a scuola non avevano grandi risultati, sul lavoro erano bravissimi. Purtroppo, può accadere che i giovani non trovino stimoli nella scuola perché, per tante ragioni, non può essere aggiornata sulle novità dei vari settori.
L’impresa insegna qualcosa che va oltre il conformismo…
È essenziale che i giovani possano sperimentare al più presto il mondo del lavoro, che è molto differente da quello che viene raccontato in contesti scolastici. Questo è tanto più vero se consideriamo che ciascuno lavora trecentoventuno giorni all’anno fino a sessantacinque anni. Perciò, se i giovani non trovano la propria strada, saranno infelici tutta la vita.
Lei è fondatore della Caffita, ha proseguito la tradizione della Pezziol e ha gestito altre attività. In che modo l’impresa contribuisce alla cultura?
Ciascun imprenditore ha la propria storia e contribuisce alla cultura del territorio in cui opera anche solo con la propria esistenza. Per un’azienda come la nostra, l’ambito sociale e culturale è molto importante. Ritengo anzi che l’impresa debba dare un apporto in ambito sia sociale sia culturale, senza però svilire l’etica del lavoro. In particolare, l’impegno culturale non può essere finalizzato a un tornaconto personale che, di fatto, rischia di condizionare la libertà dell’intervento. Questo è un errore che spesso può causare anche grandi perdite nella gestione finanziaria delle aziende. Un conto è che un’impresa dia un sostegno per la cultura o per il sociale e un altro è che lo dia per ricevere qualcosa di diverso in cambio. È così che si creano gruppi di potere che condizionano anche la vita economica di un territorio, spacciando per cultura o per arte qualcosa che non ha nulla a che fare con esse. Pertanto, sarebbe opportuno chiudere le attività improduttive, piuttosto che continuare a tappare i buchi dei loro bilanci.
I vostri sono prodotti di alta qualità che promuovono il made in Italy. Qual è il futuro del mercato alimentare?
Purtroppo, le crisi si fanno sentire anche nell’alimentare, in particolare nella distribuzione. È sempre più difficile far capire ai clienti il prodotto di alta qualità e chi utilizza solo materie prime italiane spesso viene penalizzato.
Tuttavia, chi fa prodotti di nicchia non può scendere a compromessi e sul lungo periodo può ottenere ottimi risultati. Noi crediamo che occorra proseguire su questa strada con prodotti di qualità italiani, di cui siamo orgogliosi, e il consumatore ci sta dando ragione. L’Europa è un mercato interessante così come gli Stati Uniti, ma ritengo che l’Africa sia il futuro dell’Europa perché è un mercato molto vicino alle nostre abitudini e molto diverso da quello cinese.