L’INGLESE PER LE AZIENDE: FORMAZIONE, NON SOLO DIDATTICA

Qualifiche dell'autore: 
direttrice del Cambridge Centre of English, Modena

Nell’era della globalizzazione, anche la più piccola azienda si confronta con il mercato internazionale. Se l’inglese oggi è la lingua indispensabile per chi viaggia fuori dal proprio paese, diventa obbligatoria per chi all’estero deve concludere affari. Ma in questo caso forse non basta conoscere la lingua in sé: come dimostrano alcune aziende italiane che hanno raggiunto traguardi notevoli in tutto il mondo, la comunicazione con interlocutori di altri paesi esige anche una formazione culturale che consente di ascoltare la novità e la differenza, in modo che ci sia vero e proprio incontro, anziché un semplice scambio di informazioni…
È vero, ma a volte dobbiamo lottare per far capire i limiti dell’approccio “linguistico” nell’apprendimento di una lingua, per far capire che non basta imparare l’inglese per essere in grado di comunicare all’estero. Le aziende che adottano questo approccio tendono a mantenere separata la formazione dall’apprendimento della lingua. Introdurre la formazione in lingua è ancora abbastanza difficile in un’area costituita per la maggior parte da piccole e medie imprese, ma stiamo cercando di portare l’esempio delle grandi aziende in cui abbiamo fatto esperienza, che da diversi anni ormai hanno integrato l’inglese in tutte le loro attività, ottenendo un aumento della quota di fatturato nell’export, grazie alla possibilità di capire meglio i propri clienti e partner stranieri.
A questo aggiungo che, se nelle lezioni di inglese si parla di aspetti rilevanti per l’azienda, anziché soltanto di “Sam e Pitt”, anche l’attenzione e l’interesse degli allievi si risvegliano.
Se nei vostri corsi si può imparare ad avere dimestichezza con la cultura di un settore o di un paese, allora il Cambridge Centre of English si può definire anche un centro di cultura internazionale…
Lo scambio culturale fa parte della mia vita: nata da genitori inglesi, che si sono trasferiti a Modena nel 1964, ho vissuto fra l’Italia e l’Inghilterra e sono cresciuta bilingue; come tanti altri nella mia condizione, penso di avere costruito una terza identità culturale, che non è né italiana né inglese, per cui credo sia importante oggi sensibilizzarsi al tema dell’interculturalità.
Una terza identità o un’assenza d’identità, se è vero che l’identità è una categoria aristotelica, ormai divenuta un disvalore, perché porta alla chiusura ed è la base del razzismo. Procedendo dall’apertura, invece, anziché catalogare le persone come cinesi, americane, francesi, inglesi, si può ascoltare ciascuna volta quello che hanno da dire…
In passato si sentiva spesso parlare di aziende che avevano fallito completamente nell’intento d’introdurre i propri prodotti nel mercato giapponese e orientale, perché non avevano compiuto lo sforzo necessario per capire la cultura del paese ospitante, non avevano formato i loro agenti e li avevano inviati all’estero con una preparazione assolutamente inadeguata. Pian piano, però, coloro che lavorano all’estero si rendono sempre più conto che devono esercitarsi molto nell’ascolto e non possono pretendere che negli altri paesi siano disposti ad ascoltarli, come se stessero aspettando il loro arrivo. Per fortuna, oggi, c’è un’inversione di tendenza, la formazione è considerata importante e si organizzano progetti molto articolati che aiutano le persone a crescere e a diventare cittadini del mondo.
A proposito di formazione, lei conosce molto bene la realtà delle multinazionali, dove ha avuto allievi molto motivati dalla loro ambizione. Quanto conta avere studenti di questo tipo e che cosa cambia nell’insegnamento?
Un insegnante è sempre un insegnante, sia quando ha di fronte persone motivate e brillanti sia quando ha di fronte studenti con difficoltà. Nella nostra vita professionale incontriamo studenti di tutti i tipi e viviamo spesso situazioni in cui anche i piccoli passi danno la massima soddisfazione. Ciascuno ha un motivo differente per imparare una lingua: l’insegnante deve capirlo e fare leva su di esso per fare emergere e valorizzare il talento di ciascun studente, perché ciascuno ha bisogno di crescere, indipendentemente dal fatto che sia più o meno brillante. Ecco perché il livello d’impegno dell’insegnante deve essere sempre lo stesso, così come l’entusiasmo e l’amore per la propria professione.