ANGELICA KAUFFMANN E L’ENIGMA DELLA DIFFERENZA SESSUALE

Qualifiche dell'autore: 
cifrematico, psicanalista, presidente dell’Istituto scientifico emiliano romagnolo

Per l’istanza della cultura e dell’arte, con il rinascimento, le donne entrano in scena. La cultura come invenzione e l’arte come variazione comportano la questione donna come questione di un altro funzionamento della parola, quindi, come questione dell’irruzione del nuovo. Lungo la via della cultura e dell’arte, le donne si sottraggono allo stereotipo di costituire un insieme indifferenziato, tranne per i ruoli alternativi della madre e della figlia o della strega e della santa, e intraprendono un percorso e un cammino verso la qualificazione della vita.

Per un altro verso, con il rinascimento, la questione cattolica si definisce come questione della sessualità incontinente, esente, cioè, da finalità e da utilità sociale: è sessualità non prescritta, è quella che Niccolò Machiavelli chiama “lussuria”, contro cui si rivolgerà il rogo allestito per la strega, colpevole di incontinenza. Il fantasma della strega trae alimento dalla paura della sessualità non circoscrivibile né significabile in alcun modo. La paura si rivolge contro le donne, da sempre accusate di “disordine sessuale”. Ma il tentativo di mettere ordine dove è impossibile farlo rileva la portata della questione donna anche come enigma della differenza sessuale, la differenza che non si relativizza nella distinzione di genere. L’irruzione delle donne nella scena mette in rilievo quanto siano irrappresentabili in ruoli codificati, quindi, distanti dal personificare il “pericolo” della sessualità non domestica, da un lato, e del governo del tempo, dall’altro. Non spetta a loro imbastire il filo e la trama per la riuscita: sarebbe, ancora una volta, un tributo all’immaginaria funzione materna in cui la questione donna è stata da sempre assorbita e negata.

Dal messaggio del rinascimento non si torna indietro: le donne non sono supporti della genealogia. Anche il messaggio del cattolicesimo è senza ritorno: il fare sessuale, il fare dell’impresa è incontinente, impossibile limitarlo perché ci sia riuscita. Tanto il rinascimento della parola quanto la sua industria esigono che venga affrontata la questione donna.

Da Sofonisba Anguissola a Lavinia Fontana, da Artemisia Gentileschi ad Angelica Kauffmann: attraverso i secoli, ciascuna dà un apporto all’arte senza prescindere dalla cultura e dall’impresa, quindi, dà un apporto all’intelligenza, dissipando, con l’esperienza propria, l’idea delle donne recluse nel domestico. Se l’accesso alle scuole di pittura rimane loro precluso a lungo, le artiste trovano nella casa il dispositivo per avviare l’intrapresa verso la soddisfazione e verso lo specifico della produzione, dissipando simultaneamente lo statuto sociale di “figlia di” e l’idea della casa come luogo di reclusione, per farne la fabrica della produzione stessa.

Ciascuna artista “deve” al padre l’instaurarsi del dispositivo verso la riuscita, ma non contrae nessun debito morale che obbligherebbe a seguire le orme paterne. Nel dispositivo di parola con il padre, ciascuna, intervenendo, ascoltando e cimentandosi, coglie la chance per un itinerario di qualità, non “pro” o “contro” il padre. Il conflitto è improduttivo, al pari dell’armonia. Per nessuna di loro è questione di ricattarsi osservando il mimetismo con il padre o di riscattarsi rivendicando la liberazione dal padre. Conta, piuttosto, l’instaurarsi della solitudine come condizione dell’itinerario e l’istanza di autorità nella parola, quella per cui “padre” è nome che funziona nell’avviare il percorso, non nome genealogico con cui viene fondato un destino di morte bianca.

Rispetto alle artiste che l’hanno preceduta, forse, Angelica Kauffmann, prima donna ammessa alla prestigiosa Accademia di San Luca, sembra favorita dal protofemminismo dell’epoca dei Lumi. Sarebbe un errore grossolano interpretarne la vicenda in questi termini. Artista e imprenditrice, Angelica diverrà molto famosa e molto ricca grazie al costante esercizio della mano e dell’intelletto, e all’esigenza irrinunciabile di trarre un profitto intellettuale dall’incontro con persone, città o opere pittoriche, cui lascia, a sua volta, un apporto generoso. Il suo itinerario è emblematico dell’istanza di qualificazione e di valorizzazione della vita per cui ciascuno è convocato a dare il suo apporto particolare e specifico, constatando l’impossibilità di reperire un alibi nella differenza anatomica. “L’anatomia è il destino”: questa frase di Sigmund Freud non fonda una presunta differenza di genere con il suo destino determinato, bensì rilancia la questione della sessualità irrappresentabile e insignificabile, nell’intersezione della semovenza e dell’alterità dell’immagine, quindi, dello schermo (l’immagine non è fissa) e della maschera (non è identica a sé). 

La questione essenziale, per ciascuno, è di non immaginarsi o credersi uomo o donna. La questione essenziale è la vita come viaggio verso la qualità, in cui della maschera resta il gioco.

Di questo narra Giuseppe Ardolino nel suo bel libro Angelica Kauffmann (Spirali 2008). “Narratore dei fatti dell’arte” si definisce l’autore per l’attitudine a narrare lontano dall’accademismo, cogliendo, nelle vicende dell’arte, la cifra della produzione, della scrittura e della vita dell’artista. Con mano leggera, egli offre un affresco arioso del contesto e degli incontri che accompagnano la crescita artistica della pittrice più importante del XVIII secolo, e con finezza estrema tesse la trama della sua vita senza scadere nel pettegolezzo, anche quando, qui e là, affiora la parola “scandalo”. Al termine della lettura del libro, dello scandalismo nessuna traccia; rimane lo scandalo come condizione originaria di un itinerario irriducibile ai cliché dell’epoca, la cui testimonianza non può che suscitare emulazione.