C’È UN TRASFERIMENTO FRA ARTE E BUSINESS

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professore alla Harvard University of Massachusetts

Comunemente si pensa che essere coinvolti in una o più forme d’arte possa aiutare a migliorare il proprio business. Secondo questa ipotesi, Leonardo da Vinci, poiché era un bravo disegnatore e anche un grande inventore, sarebbe la prova dell’esistenza di un trasferimento tra l’essere pittore e l’essere grande inventore meccanico, come se tutti i disegnatori inventassero macchine volanti e le opere artistiche degli ingegneri meccanici fossero sempre di grande valore. Vorrei, invece, introdurre una distinzione tra vari tipi di trasferimento: il trasferimento facile, secondo cui se so guidare un’auto saprò trasferire facilmente queste competenze nella guida di un camion, il trasferimento attento, per cui la mia esperienza di guidatore d’auto, con qualche accorgimento, mi permetterà di pilotare un aereo, e poi il trasferimento improbabile, per il quale saper navigare in internet non è certo utile per riuscire a navigare in mare.

Allora, una competenza artistica si può trasferire all’attività di business e, viceversa, le competenze nel business si possono trasferire nell’arte? La credenza generale risponderebbe di sì, ma il legame è molto sottile. Per esempio, l’affermazione che ascoltare musica renda più intelligenti sarebbe provata dal cosiddetto effetto Mozart, un test d’intelligenza che consiste nel piegare un foglio di carta più volte, tagliarne alcuni angoli e dire quale sarà l’aspetto del foglio una volta riaperto: i risultati dicono che se si ascolta la musica nel fare questo test si migliora il risultato, la cattiva notizia è che l’effetto positivo dura solo dieci, quindici minuti. Su questa base, così fragile e controversa, è nata la credenza comune sul rapporto tra le arti e l’intelligenza e si è sviluppata un’iperbole mediatica in seguito alla quale il governatore della Georgia ha regalato un cd di Beethoven a ogni mamma da far ascoltare al proprio neonato. E questo sarebbe un tipo di trasferimento. 

Un esempio di trasferimento più classico è stato tratto dal lavoro degli insegnanti di arti visive che durante le loro lezioni trasferiscono sei competenze diverse che possono essere utili anche al di fuori della competenza artistica. In primo luogo, impegnandosi e insistendo in un’attività, si ampliano le proprie competenze, come ha fatto Degas, che ha ritratto decine di volte le ballerine di danza classica, o Jackson Pollock, che non soltanto ha inventato l’uso dei colori a spruzzo, ma li ha utilizzati più volte per produrre quadri che oggi hanno un valore enorme. In secondo luogo, l’arte è espressione, le parole e le linee vengono utilizzate per esprimere qualcosa di significativo, e questo è importante sia per un prodotto commerciale sia in un rapporto professionale con il cliente. Inoltre, nei corsi di arte è molto importante la critica, la cosiddetta metacognizione, il ragionamento sul proprio lavoro, prima e dopo averlo compiuto. Infine, s’impara a prestare attenzione, vedere, osservare, ascoltare sentire le cose. Ci si allena a pensare al futuro, si adotta un modello per poi modificarlo, sforzando l’immaginazione, come per un proprio prodotto. Questo tipo di trasferimento è possibile, ma vorrei provarlo come scienziato. Lasciare che le arti ci coinvolgano o durante il lavoro o dopo il lavoro, potrebbe contribuire alla stima di sé e a rendere la vita più significativa. La giornata è ricca d’interazioni con altre persone, in riunione o nella zona caffè, che possono avvenire in modo attento, con grande cura, o in modo superficiale. Anche il processo di creazione di un prodotto, di un marchio o della pubblicità può avvenire in modo elegante. Per esempio, Milano è la città simbolo dell’eleganza e non si può pensare che questo sia per caso, senza precise ragioni. 

Da trent’anni, ogni anno vado a Reggio Emilia a visitare le migliori scuole per bambini a livello mondiale, in cui ciascuna cosa avviene in modo artistico. I bambini, dall’asilo fino alle elementari, sono continuamente stimolati a lavorare con tanti materiali diversi e colorati, da soli o in gruppo, e ciascun giorno gli insegnanti si riuniscono per discutere della giornata e per capire cosa ha funzionato e cosa occorre migliorare o sperimentare di nuovo. Gli americani, quando arrivano a Reggio Emilia fanno sempre la stessa domanda: quali sono i voti dei bambini quando vanno a scuola? La risposta che ricevono è fantastica: “Guardate le nostre comunità, il territorio funziona bene a livello economico, civile ed estetico. Non possiamo certo dimostrare che sia grazie alle nostre scuole materne, ma c’è una grande differenza tra realizzare l’arte per una questione strumentale o farla solo per il piacere di farla”. 

Il mio messaggio è che non è dimostrato nessun rapporto tra le arti e il business, ma questo non deve frenare a prendere in considerazione l’ipotesi di costruire luoghi dove ci si possa aspettare un trasferimento perché lì si è in grado di mettere assieme un’organizzazione complessa come un’opera d’arte. Nell’arte nulla è fatto per aumentare il punteggio a scuola o aiutare il business, è qualcosa che vale soltanto perché è fatto. Probabilmente i bambini di Reggio Emilia diventeranno ottimi imprenditori, ma non è questa la ragione per cui gli si dà una formazione artistica. Le arti esistono perché sono un aspetto importante della condizione umana, in cui, una volta soddisfatti i bisogni primari, si sviluppa l’esigenza del bello e del piacere.