LA TESTIMONIANZA DELL’OPERA DI CARLO BORROMEO A BOLOGNA

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storico, scrittore

Due degli stemmi dei legati pontifici, vice legati e governatori – succedutisi alla guida della nostra città in circa trecentocinquant’anni – dipinti nella Sala Urbana (o Sala degli Stemmi) del Palazzo d’Accursio a Bologna, appartengono a san Carlo Borromeo, che fu legato pontificio di Bologna ben due volte. Il primo stemma recita: “San Carlo Borromeo Cardinal, nipote di Papa Pio IV, legato 1560”. Nel secondo si legge: “San Carlo Cardinal Borromeo, di nuovo legato, 1565”. La data che c’interessa è il 1560: il 16 aprile fu nominato e il 10 giugno prese possesso della carica. È opportuno ricordare che a metà del 1559, quindi un anno prima dell’arrivo di Carlo Borromeo, il vice cardinal legato di Bologna era stato rimosso dalla sua carica perché travolto da scandali e accusato di corruzione insieme al presidente del Tribunale del Torrone di Bologna. Come la Bologna di oggi, dunque, la città fu commissariata.

Ho cercato di capire dalle cronache dell’epoca se il legato Carlo Borromeo fosse davvero entrato in città il 10 giugno 1560, come si afferma in qualche testo, ma non ne ho trovato alcuna conferma. A mio parere, pertanto, Carlo Borromeo non venne a Bologna, in quanto partecipò a una importante sessione del Concilio di Trento nello stesso anno. Giunse, però, in sua vece, Pier Donato Cesi, un vice legato che si rivelò assai dinamico e al quale va il merito di tutti gli importanti interventi realizzati in città durante la legazione di Carlo Borromeo, anche se si deve ritenere che egli non abbia agito senza consultare lo stesso Borromeo.

Il secondo mandato di Carlo Borromeo ebbe luogo nel 1565. L’unica cronaca che riferisce ampiamente dell’avvenimento, descritto con enfasi e con numerosi particolari, è quella di Giovan Battista Marescalchi, della quale citiamo solo l’incipit: “A dì 12 settembre entrò nella città lo illustrissimo e reverendissimo monsignore Carlo Borromeo, milanese della Santa Chiesa Romana, cardinale dignissimo et meritissimo arcivescovo della città di Milano e legato di Bologna, il quale veniva da Roma e fece l’intrada per la porta di stra maggiore, essendo nettata benissimo la strada e fatto cinque portoni bellissimi dipinti tanto vagamente quanto veder si possa”. La cronaca continua riferendo dettagli della visita: il cardinale si diresse verso la Chiesa Cattedrale di San Pietro e quando entrò nell’attuale via Indipendenza, allora Canton de’ Fiori, quel tratto di strada era anch’esso addobbato a festa. Per l’occasione, erano presenti tutte le autorità del tempo e anche scolari e docenti. È da ritenere, pertanto, che solo in quella data il cardinal Borromeo sia entrato a Bologna, assieme al cardinale Francesco Grassi Medici, che divenne poi il nuovo vice legato, pur non essendo sacerdote. La permanenza in città del legato Borromeo fu assai breve: tre giorni dopo, il 15 settembre, si mise in viaggio verso Milano.

Durante la prima legazione di Carlo Borromeo, con Pier Donato Cesi vice legato, furono realizzate opere importantissime. L’opera più rilevante fu certamente la costruzione dell’Archiginnasio, su progetto dell’architetto Antonio Morandi, che ebbe il merito di recuperare molti vecchi edifici già utilizzati come aule universitarie. Furono abbattuti gli immobili che occupavano l’attuale piazza Galvani, al fine di aprire una piazza che consentisse al cittadino di apprezzare il palazzo in tutta la sua bellezza. In quegli anni, si provvide alla sistemazione dell’alveo del Savena, la cui canalizzazione era utilissima per un quadrante della città che utilizzava le acque del canale di Savena, cioè l’area dei quartieri Santo Stefano e Castiglione; in proposito segnalo che la via Castiglione, l’anno prossimo celebrerà i trecentocinquant’anni da quando è divenuta una strada, con la copertura del canale, che ancora oggi scorre sotto al Torresotto fino a palazzo Pepoli Vecchio. Fu poi decorata la Cappella del Legato, in Palazzo d’Accursio, a opera di Prospero Fontana: l’importante intervento di restauro realizzato nei primi anni novanta, quando ancora il Comune della nostra città restaurava i monumenti e le opere, avendo cura di valorizzare il suo palazzo, consentì di recuperare una parte degli affreschi di Prospero Fontana e l’intera Cappella Farnese. Fu fondata, inoltre, l’Opera dei Mendicanti, una delle grandi istituzioni del “welfare” dell’epoca: in appena due anni, Carlo Borromeo trovò i finanziatori e realizzò l’opera. A quel tempo, gli interventi di welfare non erano finanziati dal Comune o dallo Stato, ma dalla generosità di privati cittadini che destinavano fondi cospicui alle numerose istituzioni benefiche (Opere Pie) della città. L’Opera dei Mendicanti è stata criticata da chi giudica, a mio parere in modo erroneo, iniziative sociali come quella del 1563, utilizzando il metro di valutazione del terzo millennio. Al contrario, fu una grande operazione perché diede un punto di riferimento alle persone che non avevano nulla e che così poterono contare sul pane quotidiano e sull’assistenza igienico sanitaria. Non va poi dimenticata la realizzazione della fontana del Nettuno alimentata dall’acqua fatta giungere in città da San Michele in Bosco. Per realizzare la piazza del Nettuno, fu necessario far ricorso alla emissione di titoli del debito pubblico. La statua del Nettuno, ancor oggi uno dei monumenti simbolo di Bologna, fece scandalo, e più volte si tentò di coprirne le nudità. Qualche sacerdote si rivolse al Senato bolognese sostenendo che alcune signore in confessionale avevano manifestato il loro turbamento nell’attraversare la piazza. Fu allora che le nudità del dio del mare furono coperte da una foglia, ma l’operazione di censura ebbe vita breve e dopo appena tre mesi le superiori ragioni dell’arte prevalsero, facendo rimuovere la foglia. Fu anche realizzata la fontana Vecchia, a fianco del Palazzo Comunale. Tutto ciò ci permette di sottolineare come, in passato, chi si preoccupava di attuare architetture e monumenti tali da destare meraviglia, era il pubblico e non il privato.

A riprova della considerazione e dell’affetto che i cittadini bolognesi rivolsero a Carlo Borromeo immediatamente dopo il 1610, anno della sua canonizzazione, c’è un intero rione a Bologna che volle prendere la denominazione affettuosa di San Carlino, un quartiere povero e vicino al porto, una zona tra le meno qualificate della città. Nel 1612, dopo solo due anni dalla canonizzazione del Borromeo, la Confraternita di Maria Santissima Regina del Paradiso, costituitasi nel 1466, si riconobbe nell’azione di Carlo Borromeo e decise di aggregarsi a una Compagnia che si chiamava dei Santi Carlo e Ambrogio dell’azione lombarda di Roma, assumendo a Bologna la denominazione di Compagnia di Santa Maria del Paradiso e San Carlo. Nacquero, così, in città un insediamento religioso e una confraternita che operava sulla linea di Carlo Borromeo: a fianco della chiesa intitolata a san Carlo fu costruito un Oratorio, sul quale ho pubblicato, insieme a Patrizia Nardi, il libro, ormai introvabile, L’Oratorio di San Carlo (Costa editore), in cui si può trovare la descrizione delle decorazioni presenti nell’Oratorio, che potremmo oggi definire una vera e propria “fiction” sulla vita e sulle opere del Santo, poiché gli affreschi ripropongono con efficacia le fasi fondamentali della sua vita. Nell’Oratorio ci sono poi dipinti di Caccioli e di un autore anonimo che ritrae sant’Ambrogio mentre sostiene la chiesa di San Carlo, nello stato in cui era prima che fosse bombardata nel 1944 e poi ricostruita in forme architettoniche assai modeste. L’Oratorio, che fu soppresso all’epoca di Napoleone, tornò poi nuovamente in possesso della Confraternita. Fu completamente ristrutturato nel 2001 col sostegno finanziario della Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna. L’insediamento di via del Porto è una testimonianza ancor viva di un santo che a Bologna lasciò un segno profondo fra la cittadinanza. Oggi, per merito di Fabiola Giancotti, l’ottima autrice del monumentale volume Per ragioni di salute (Spirali), abbiamo avuto l’opportunità di ricordare una fase importante della storia urbana e spirituale della nostra Bologna.